S. Messa nella Novena in occasione della festa di S. Leopoldo Mandic
(Padova – Santuario di S. Leopoldo Mandic, 11 maggio 2016)
Omelia del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia
Fratelli e sorelle carissimi,
trovarci nel luogo dove per anni san Leopoldo Mandic amministrò la grazia del perdono, a migliaia e migliaia di uomini e donne, dà grande gioia e una forte emozione.
Il detto “Gratia supponit naturam” – “La grazia suppone la natura” – esprime bene la visione cristiana dell’uomo; l’idea che soggiace è che la grazia di Dio, in cui siamo salvi, non può esser confusa con la forza e le risorse degli uomini.
Nello stesso tempo, però, il detto “Gratia supponit naturam” significa che la grazia si serve della natura, si appoggia alla natura e così avviene in modo abituale. Sì, di solito la grazia si serve della natura ma questa non è l’unica strada possibile. Anzi, in alcuni casi, Dio per mostrare che è la grazia a salvare – e non le risorse dell’uomo – evidenzia al massimo la differenza tra grazia e natura, tra le risorse della grazia e quelle della natura. E proprio così accadde in san Leopoldo Mandic.
In lui questo “squilibrio” fu evidentissimo, come se Dio volesse ribadire in lui che la salvezza è dono esclusivo di Dio e non solo un puro cammino umano.
In padre Leopoldo troviamo presenti imponenti doni di grazia. La piccola cella/confessionale, in cui esercitò il suo ministero di confessore per quasi trent’anni, fu testimone di conversioni grandiose, di innumerevoli doni spirituali, di grazie particolarissime che cambiarono la vita di migliaia e migliaia di uomini e donne. Talvolta erano grazie materiali come, ad esempio, il trovare – in modo del tutto inopinato – il lavoro da parte di chi aveva già progettato per la disperazione il suicidio. E tutto questo nei modi e nei tempi preannunciati da padre Leopoldo.
Sul piano puramente esteriore – alludo alla figura fisica -, padre Leopoldo poteva apparire non solamente “insignificante” ma anche “sgraziato” tanto che non poteva passare inosservato.
E’ eloquente quanto scrivono, nell’anno 1923, i confratelli cappuccini della Provincia Veneta. La descrizione – che troviamo sugli Annali dei Cappuccini Veneti – è impietosa: “…nell’insegnamento e nella predicazione non riesce, essendo fortemente balbuziente, di debole costituzione e nano…”. Poi, comunque, si deve ammettere: “Nella confessione, però, esercita un fascino straordinario e questo per la sua forte cultura, per il fine intuito e specialmente per la santità di vita…” (Annali dei Cappuccini Veneti, anno 1923, p. 650)
Una persona, quindi, che non solo non poteva passare inosservata ma che suscitava ilarità, dileggio, scherno. Gli studenti universitari, avventori assidui del Caffè Pedrotti erano i primi a distinguersi in questa indegna gazzarra. Tutto concorreva a questa derisione: la sua bassa statura – solo un metro e trentacinque -, la forte balbuzie che creava imbarazzo in lui e in chi lo ascoltava… Ad un certo momento si aggiunse anche l’artrite deformante che gli rendeva penoso il camminare.
Ora, proprio questo squilibro esistente tra il fisico – oggetto di derisione – e il ministero di confessore – legato ad un’abbondanza inaudita di grazia divina – ci dicono come Dio ami servirsi di chi è giudicato inutile o addirittura ridicolo agli occhi del mondo per compiere l’opera più grande, la salvezza degli uomini.
Eppure l’umile frate, era dotato un’anima di fuoco ed era solito rivolgersi al Signore, chiedendogli perdono per le sue colpe, con le stesse parole di san Girolamo: “Pietà di me Signore, sono dalmata”.
Solo quando divenne noto, per il ministero dell’accoglienza dei peccatori, la derisione, lo scherno, le beffe lasciarono il posto al rispetto, alla deferenza e, anzi, ad una vera e propria venerazione. Da parte sua, il piccolo frate era solito dire di sé: “Sono veramente un uomo da nulla, anzi ridicolo”.
Dio si serve realmente delle persone insignificanti e disprezzate per confondere i colti, i potenti. Qui abbiamo una chiara manifestazione delle parole del profeta Isaia: “…i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca” (Is 55, 8-11).
D’altra parte, il perdono è qualcosa che solo Dio può donare; solo Lui, infatti, può rimettere i peccati. Per questo Gesù ha voluto porre nella sua preghiera, il Padre Nostro, la richiesta del perdono inteso come dono che proviene dal Padre che è nei cieli e che l’uomo mai è in grado di donare se prima non l’ha ricevuto come, appunto, grazia.
Se – come è vero in modo ordinario – gratia supponit naturam, è anche vero che, talune volte, Dio – come nella vita dell’apostolo Paolo – decide di sovvertire tale rapporto per manifestare, al di fuori di ogni dubbio, la piena gratuità del perdono e della sua tenerezza nei confronti dell’uomo peccatore, in qualunque situazione egli si trovi.
Così, padre Leopoldo – col suo fisico sgraziato e la sua parola impacciata – mostra in maniera eloquente una fecondità e potenza che ci dicono come Dio – e solamente Lui – si sia reso presente ed abbia agito nelle parole e nei gesti dell’umile frate cappuccino.
San Leopoldo, in questo Anno giubilare della Misericordia, ci è stato indicato da Papa Francesco come esempio mirabile del confessore; in lui vediamo come la grazia si attinge direttamente dalla Croce di Cristo, dal suo sangue, e non dagli uomini e dalle loro risorse.
Il piccolo frate dalmata ci ricorda, quindi, che solo Dio è l’artefice della conversione delle anime e che ogni anima, in qualunque situazione si trovi, appartiene solo e unicamente al Crocifisso.
Come anche altri grandi ministri del sacramento della riconciliazione, padre Leopoldo ci ricorda che, in tale sacramento, tutto viene da Dio e che la confessione è altra cosa rispetto all’accompagnamento psicologico o il cammino pedagogico. Il sacramento della confessione non deve ridursi a parole e gesti umani che svuotano, fino a vanificarlo, il sacramento dalla grazia e dal sangue di Cristo; infatti, nel sacramento della riconciliazione, tutto avviene nell’amore di Dio che si esprime in pienezza nella croce di Cristo e nel suo sangue versato.
Perdere di vista tutto ciò significa smarrire il senso del sacramento della penitenza/riconciliazione, decadendo a una pura pratica umana.
Desidero qui richiamare due altre grandi figure di confessori – ministri della Divina Misericordia – che, come San Leopoldo, passarono molta parte della loro vita in confessionale. Mi riferisco a san Pio da Pietrelcina e a san Giovanni Maria Vianney, il santo curato d’Ars. Essi, come padre Leopoldo, fecero davvero del ministero della confessione il centro del loro sacerdozio e giunsero anche a stare in confessionale, in modo continuato, dalle quindici alle diciotto ore al giorno.
Padre Leopoldo – come confessore – fu ritenuto, a torto, dagli stessi confratelli di manica eccessivamente larga; lo accusavano di perdonare tutti senza aver richiesto il necessario pentimento, fu ritenuto troppo indulgente nell’andare incontro ai peccatori e sembrava esser troppo accondiscendente; tale diceria – come spesso accade – si diffuse soprattutto per l’azione incessante di chi non era benevolo nei suoi confronti.
Ma ciò non corrisponde al vero. In lui, in realtà, vi era una concezione esigente e teologicamente ineccepibile della misericordia solo che, come avviene nei veri ministri del sacramento della riconciliazione e diversamente da chi non ha penetrato la realtà profonda di tale ministero, era lui – il confessore – che spesso si sostituiva al penitente e prendeva su di sé il carico delle mortificazioni che i suoi penitenti non erano ancora in grado di fare.
Sì, parlar troppo facilmente di perdono vuol dire aver smarrito il senso del peccato. Questo, però, non fu il caso di Leopoldo Mandic che “anima e corpo” si era dato a vivere la drammatica realtà del sacramento del perdono. Non erano rare le notti di sofferenza in cui l’umile fraticello riviveva le ore trascorse da Gesù nell’orto degli Ulivi. Ed è significativo che solo la parola del suo confessore – nel sacramento – gli donasse tranquillità e lo ristabilisse nella pace.
Non dimentichiamo, comunque, il modo in cui padre Leopoldo trattava quelli che – per opportunità, per abitudine o, addirittura, per metterlo alla prova – andavano al suo confessionale senza dolore o desiderio di conversione.
Un giorno, dopo averle tentate tutte con un penitente particolarmente indisponente e che, in modo ostinato, difendeva i suoi peccati e rispondeva con ironia e derisione alle parola del frate, di colpo scattò in piedi e ad alta voce esclamò: “Se ne vada! se ne vada! Lei si mette dalla parte dei maledetti di Dio!”. Innanzi a quella reazione del tutto inaspettata, da parte del mite fraticello, l’uomo si buttò a terra piangendo e chiedendo perdono. Allora padre Leopoldo, sollevandolo prontamente con affetto e tenerezza, gli disse: “Vedi, ora sei di nuovo mio fratello”.
Altre volte usciva dalla sua celletta/confessionale e si indirizzava, con decisione, verso una persona e la conduceva direttamente in confessionale aiutando, in tal modo, chi da solo non avrebbe avuto la forza a compiere l’ultimo passo verso il perdono di Dio.
Richiamo, infine, quanto disse san Giovanni Paolo II nell’omelia della canonizzazione di Leopoldo Mandic circa lo spirito ecumenico che, in ogni momento della vita, pervase il piccolo fraticello dalmata: “…aveva uno spirito ecumenico così grande da offrirsi vittima al Signore con dono quotidiano perché si ricostituisse la piena unità tra la Chiesa latina e quelle orientali”.
Insieme al ministero del perdono, in Leopoldo Mandic vi fu l’anelito all’unità dei cristiani. Sì, l’ecumenismo fu l’altra grande vocazione di san Leopoldo Mandic, frate cappuccino, dalmata, piccolo di statura ma grande agli occhi di Dio per il ministero silenzioso, nascosto e sofferto del perdono donato, per grazia, nel sangue del Cristo crocifisso.
Ci aiuti san Leopoldo, in questo Anno della Misericordia, a riscoprire il senso del peccato e del perdono e a sentire, in noi e nelle nostre comunità, la bellezza e la gioia di una vita realmente riconciliata nell’amore di Dio.