Omelia del Patriarca nella S. Messa della notte di Natale (Venezia - Basilica S. Marco, 25 dicembre 2004)
25-12-2004

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO

SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE

SANTA MESSA NELLA NOTTE DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE
Is 9, 1-3.5-6; dal Salmo 95; Tt 2,11-14; Lc 2, 1-14

OMELIA DEL PATRIARCA S. E. ANGELO CARD. SCOLA
Venezia, 25 dicembre 2004

1. «Non temete» (Lc 2, 10). Lo stesso annuncio di quella notte ‘ tanto sorprendente, quanto agognato ‘ raggiunge noi questa notte. Nessuno può negare che un inquietante timore ci stringe da vicino. Ha una dimensione personale, legata alla morte e alle molteplici forme che la anticipano (malattia, dolore, fragilità, peccato). Ed ha inoltre, oggi più che mai, una genesi geopolitica. Le guerre, il terrorismo, la mescolanza di uomini e popoli in atto sul pianeta, reso ormai villaggio globale.
Chi ci può dire: «Non temete»? E con quale fondamento?
Oggi, dice l’angelo ai pastori di Betlemme, oggi, in questa fulgida notte, è nato per noi un salvatore (cfr. Lc 2, 11). A dissolvere il timore mortale che rischia di tenerci in schiavitù è una nascita: «un bambino è nato per noi. Ci è stato dato un figlio» (Is 9, 5).
«Et haec est Christi pro nobis, de nobis, in nobis nativitas». «E questa è la nascita di Cristo: per noi, da noi, fra noi». L’icastica formula di Isacco della Stella (Sermone 45) ci dice la ragione per cui siamo convenuti in questa notte straordinaria, da varie parti del mondo, nella splendente Basilica di San Marco.

2. Cristo è nato per noi, cioè per il nostro bene-essere. «Per riscattarci da ogni iniquità» (Tt 2, 14), ci ha ricordato la Seconda Lettura. Il Padre, ricco in misericordia, ha avuto pietà di noi Suoi figli. La Misericordia di Dio ha preso carne ed ossa. È diventata un bimbo che ci intenerisce e ci com-muove. Per questo siamo qui.
Figli carissimi, se Dio che è Dio, e quindi non aveva bisogno degli uomini, ci è venuto incontro a tal punto da diventare un bambino in nostro favore significa che ognuno di noi possiede un valore singolare. Oggi ‘ dalle cattedre accademiche a quelle ben più affollate dei mass media – si fa un gran parlare di libertà e di desiderio. E giustamente. L’uomo post-moderno ha trovato in queste due categorie l’espressione oggettivamente più avanzata della presa di coscienza del valore irripetibile di ogni singola persona. Ma poi, ossessionati dalla paura di legarci, finiamo spesso con il fiaccare l’energia della libertà cui aneliamo con tutte le forze e restiamo prigionieri della solitudine. Ebbene il Dio bambino, l’Emmanuel, il Dio con noi, ha «spezzato le sbarre» (Is 9, 3) di questo timoroso isolamento. Al nostro desiderio stordito e ingannato dalla spudoratezza dei consumi e dei costumi, Egli viene a restituire la strada sicura del compimento: «su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse» (Is 9, 1). Quella del «Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della Pace» (Is 9, 5).
La nascita del Dio bambino che «consolida con il diritto e la giustizia» (cfr Is 9, 6) ci chiede quindi di rispettare e proteggere la vita di ogni singolo uomo dal concepimento fino alla morte naturale, perché ne risulti esaltata la libertà e compiuto il desiderio costitutivo.

3. Gesù Cristo, dice sempre Isacco della Stella, è nato da noi. «Nato da donna» – così si esprime San Paolo (Gal 4, 4) – come ognuno di noi. Proprio da noi perché – afferma il poeta Péguy – Dio si è ‘immischiato’ fino in fondo con gli uomini. Questo bimbo ha assunto tutto, proprio tutto, di noi: tranne il peccato, che non è un valore, essendo pura privazione di bene.
Ciò che non è assunto dal Bambino Gesù non è salvato. «Quod non est assumptum non est servatum» ci ha ricordato, fin dalle origini, la saggezza della Chiesa. Tale esperienza è, in qualche modo, alla nostra portata. Ciò che non è accolto fino in fondo, portato su di sé e dentro di sé, non è posto in salvo, non soddisfa, alla fine, la libertà. È un principio basilare dell’amore, ben noto a tutti coloro tra voi che sono madri e padri.
Così il Figlio di Dio incarnandosi, facendosi bambino, si è «in qualche modo unito ad ogni uomo» (Gaudium et spes 22), ha voluto essere per noi nascendo da noi. Il Figlio di Dio ha deciso di venire umanamente incontro all’uomo. Lo ha affermato con particolare forza fin dagli inizi del suo pontificato Giovanni Paolo II: «quest’uomo è la via della Chiesa, via che corre, in un certo modo, alla base di tutte quelle vie, per le quali deve camminare la Chiesa, perché l’uomo – ogni uomo senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando quell’uomo non è di ciò consapevole» (Redemptor hominis 14).
Nel Natale di Cristo si instaura un misterioso scambio di doni tra Dio e l’uomo. Nonostante la nostra pochezza noi veniamo innalzati fino a partecipare alla stessa vita di Dio. Il Prefazio, che tra poco reciteremo, afferma: «In lui oggi risplende in piena luce il misterioso scambio che ci ha redenti: la nostra debolezza è assunta dal Verbo, l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne». E la Preghiera sulle offerte pone l’accento sullo straordinario frutto di questo scambio: «Per questo misterioriso scambio di doni trasformaci nel Cristo tuo Figlio». Si manifesta in tal modo la ragione per cui i cristiani sono pronti a condividere, nella verità, ogni anelito, ogni desiderio e ogni bisogno dei loro fratelli uomini. E anche quando il confronto si facesse pacificamente duro, dovrà sempre esprimere il desiderio di vivere fino in fondo questa logica di amoroso scambio a cui ci ha definitivamente introdotti il Figlio di Dio facendosi uomo. Una logica per la quale l’Onnipotente sceglie l’impotenza della croce facendosi, simultaneamente, sacerdote e vittima. Cosa può esserci di più liberante e di più rispettoso per ogni uomo credente o non credente? Veramente ogni timore è spazzato via, per fare strada all’esultanza natalizia: «Dio poteva obbligare gli uomini a seguire la via che aveva tracciato per loro, a obbedire come fanno le stelle. Ma Egli si è fatto uomo ed ha deposto la sua onnipotenza sull’uscio del mondo degli uomini (Charles Möller).

4. Gesù nato per noi e da noi ha voluto vivere in permanenza fra noi (Isacco della Stella). «Ecco, io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20).
La Sua condivisione dell’umana avventura assume concretamente i connotati precisi del tempo e dello spazio: a Betlemme duemila anni fa nel Suo corpo mortale, oggi in ogni angolo della terra nel corpo della Sua Chiesa.
In questo modo Gesù diventa la Via alla Verità e alla Vita. Il «mestiere di vivere» ‘ come lo chiamava Pavese ‘ non ci vede più soli. Sappiamo che il travaglio che lo accompagna è tutto teso ad una nuova nascita. Per questo non temiamo più il necessario e doloroso ‘lavoro’ che esso implica. Il travaglio dell’uomo post-moderno, se vissuto in Cristo, ne esalterà la libertà e ne compirà il desiderio.
«Una culla è l’inizio di ciò che germoglia/ inizia di nuovo la terra», dice Novalis nella sua poesia natalizia ‘Conforto del mondo, vieni!’. Non una culla, potremmo aggiungere noi, ma quella culla: la mangiatoia dove era adagiato il Figlio di Dio che i pastori hanno visto e adorato.
Sul terreno della speranza lieta che il Bambino Gesù porta con Sé attecchisce la tanto agognata pace: «pace in terra agli uomini che egli ama» (Lc 2, 14). Per questo la liturgia della santa notte di Natale stilla una gioia ininterrotta: dalla profezia di Isaia – «Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia», Is 9, 2 – all’incalzare della preghiera del Salmo – «Gioiscano i cieli, esulti la terra», Salmo 95 -, fino all’annuncio dell’angelo ai pastori raccontato dal Vangelo – «Ecco, vi annunzio una grande gioia», Lc 2, 10-. Una gioia tenace e inestirpabile, non ingenua, presente anche dentro il travaglio più doloroso perché sa con certezza che il suo esito sarà, appunto, una nuova nascita.

5. La salvezza, cioè la liberazione dalla schiavitù in cui ci costringe il timore della morte, viene da Uno che ci insegna «a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza’» (Tt 2, 12). Egli ha generato «un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone» (Tt 2, 14). Noi abbiamo parte a questa preziosa compagnia ecclesiale.
Maria «lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia» (Lc 2, 7). L’ordinaria materialità degli atti compiuti da questa Madre santa ci aiuti a fare concreto spazio, ogni giorno, a Gesù Cristo nella nostra vita personale e sociale. Il Natale è certo commozione, ma se non giunge a cambiarci in profondità, se non mette in moto la nostra libertà per dar ragione di come Gesù Bambino sia speranza della gloria per l’uomo, si riduce a sentimentalismo. Ed il sentimentalismo è forse la più sottile forma di scetticismo. La nebbia ovattata di un generico ‘vogliamoci bene’ finisce per insinuare in noi e intorno a noi smarrimento circa la più grande delle verità: il Verbo si è fatto carne e, vero Dio e vero uomo, abita ora in mezzo a noi. Amen