Omelia del Patriarca nella S. Messa della III Domenica di Quaresima (Mestre / Duomo S. Lorenzo, 15 marzo 2020)
15-03-2020

S. Messa nella III Domenica di Quaresima

(Mestre / Duomo S. Lorenzo, 15 marzo 2020)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi fedeli,

ringraziamo anche questa domenica Rete Veneta, Antenna 3 e Gente Veneta Facebook che ci consentono di poterci incontrare attraverso i nuovi mezzi di comunicazione.

Attendiamo ancora, e certamente con trepidazione, il momento in cui potremo ricostituirci come comunità che si incontrano anche fisicamente e anche questa terza domenica di Quaresima sottolinea la fatica che siamo chiamati a fare. Ci incontriamo oggi dal Duomo di San Lorenzo in Mestre, una città legata in modo particolare all’arcangelo Michele (suo patrono) e a cui – alla fine della Messa – ci rivolgeremo con una preghiera speciale.

Stiamo vivendo un momento difficile e, come succede in tutti i momenti difficili, gli uomini e le donne di buona volontà sanno qui tirar fuori il meglio. E i cristiani sanno che la grazia di Dio passa anche attraverso le vicende di tutti i giorni.

Quando ero vescovo a La Spezia ho vissuto la grande inondazione dell’ottobre 2011 (che ha causato anche dei morti) ed ho visitato una ad una le zone colpite delle Cinque Terre; più recentemente, nel novembre scorso, ho vissuto l’esperienza dell’”acqua granda “ di Venezia. Ed ho visto così che quando ci sono queste grandi difficoltà, quando saltano le certezze scontate ed abituali, quando vengono meno anche quelle sicurezze e tutele del vivere sociale, allora l’uomo è chiamato a riprendersi in mano.

È questo sicuramente un tempo difficile, che vorremmo non dover vivere, ma lo dobbiamo vivere cercando di pensare ad un futuro nuovo per le nostre comunità, come cittadini e come cristiani.

Mi voglio ora soffermare brevemente sulla parola di Dio, perché la parola di Dio è sempre attuale. La prima lettura era tratta dal libro dell’Esodo (Es 17,3-7) ed iniziava così: “In quei giorni, il popolo soffriva…” (Es 17,3). Allora soffriva la sete, in questi giorni il nostro popolo – e ciascuno di noi, che è parte di questo popolo vivo – sta soffrendo e ci manca l’ordinarietà della vita, ci mancano gli altri, ci manca la comunità, ci manca la celebrazione dell’Eucaristia. Proviamo una sete spirituale e nella Bibbia l’acqua è segno dello Spirito e il luogo privilegiato, dove ci viene donato lo Spirito, è la domenica nell’Eucaristia.

Mosè fa quello che dobbiamo fare noi oggi: si rivolge a Dio. Mosè grida al Signore: “Che cosa farò io per questo popolo?” (Es 17,4). Sono questi giorni in cui il cristiano, il credente e la comunità devono riscoprire la preghiera come rapporto personale con il Signore.

In molte Diocesi il suono delle campane richiama che l’inizio della giornata, il cuore della giornata ed il termine della giornata sono momenti in cui dobbiamo ripensare chi siamo, dove stiamo andando, come stiamo andando.

E sottolineo, anche, quello che i parroci cercano di fare: momenti di incontro e di preghiera, soprattutto alla sera, la recita del rosario (o di una parte di esso) e l’ascolto della parola di Dio. Il cristiano nel tempo della prova prega; prega sapendo che chi prega – come dicevano i Padri della Chiesa – ha le mani sul timone della vita.

Dalla seconda lettura – tratta dalla lettera di san Paolo ai Romani (Rm 5,1-2.5-8) – riprendo soltanto il richiamo dell’apostolo su fede, speranza e carità ma, soprattutto, quel passo in cui l’apostolo dice: “La speranza poi non delude…” (Rm 5,5).

Noi viviamo questi giorni sicuri che non verremo meno e che questa prova ci arricchirà in umanità e in vita cristiana. Il cristiano è l’uomo della speranza. La comunità cristiana è quella comunità che appartiene al Signore Risorto e allora la speranza – se non è una delle tante speranze umane, perché si può anche mondanizzare la speranza cristiana… – deve essere fondata sulla fede e deve essere una speranza capace di carità.

Una speranza che non è fondata sulla fede spera solo nelle cose umane e negli uomini. E noi uomini, in questi giorni, tocchiamo con mano quanto siamo fragili e quanto siamo impotenti. Una speranza che non si esprime nella carità è una fuga dalla vita quotidiana.

La seconda lettura ci chiama dunque ad essere in questi giorni comunità di speranza,. Una speranza fondata sulla fede nel Signore Gesù e che vive i gesti possibili della carità, meditando magari su quelli che forse prima facevamo in modo un po’ sbrigativo e che, invece, ora dobbiamo ripensare perché questi giorni ci devono aiutare a ripensare il nostro futuro di cittadini e di cristiani.

Il Vangelo (Gv 4,5-42): è un incontro e ogni incontro con Cristo cambia la vita. La donna samaritana, alla fine di questo dialogo, non sarà più quella di prima ed è interessante notare il fatto che sia una donna che appartiene all’eterodossia del popolo ebreo.

Nel capitolo precedente, invece, avevamo un altro dialogo, quello con Nicodemo: uno scriba, un fariseo, un membro del Sinedrio. Anche quel dialogo cambierà l’uomo che andava a trovare il Signore ma di notte per non compromettersi. E dopo il dialogo con la samaritana avremo quello con il funzionario del re di Galilea, e quindi un pagano.

Vorrei che riprendeste – se possibile nella giornata – questi tre dialoghi perché il dialogo con Gesù, con il Vangelo e con la Parola di Dio ci deve cambiare. Non siamo noi a dover cambiare il Vangelo, non dobbiamo essere noi ad interpretare il Vangelo a partire da quello che ci sembra o ci va bene, perché dicono o fanno tutti così… No, il Vangelo deve cambiarci; c’è una parola che è una parola di Quaresima ma è soprattutto una parola di speranza e una parola pasquale: conversione.

Dobbiamo leggere il Vangelo lasciandoci condurre da Cristo, come la samaritana che viene intercettata in quelli che sono i problemi della sua vita (“«Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero»” (Gv 4,16-18).

Noi abbiamo bisogno di riscoprire la verità della nostra vita, abbiano bisogno di lasciarci prendere per mano dal Signore proprio lì dove esprimiamo il nostro modo di essere uomini, donne, comunità e dove abbiamo più bisogno di convertirci. Gesù accoglie questa donna con amore e la ama dicendole la verità.

Continuiamo, dunque, questo cammino quaresimale nella sofferenza di non poter celebrare  insieme l’Eucaristia incontrandoci fisicamente e come comunità, ma è questo il momento di pensare che la fede, il Signore Gesù e il valore dell’Eucarestia vanno oltre l’incontro fisico che pure è importante e desideriamo ristabilire al più presto. In questo periodo di digiuno quaresimale – di “diaspora” quaresimale – cerchiamo di chiedere al Signore la grazia di vivere bene questi giorni per essere un domani cittadini e cristiani diversi e migliori.