Omelia del Patriarca nella S. Messa della Festa diocesana dei Giovani (Pala Arrex - Jesolo, 10 maggio 2015)
10-05-2015
S. Messa durante la Festa diocesana dei Giovani
(Pala Arrex – Jesolo, 10 maggio 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia[1]
Carissimi giovani,
riprendiamo quanto abbiamo sentito in questa mattinata, cercando di darvi un senso di compiutezza. Siamo partiti dal viaggio: la vita è un viaggio e voi siete all’inizio di questo viaggio.
Sbagliamo se pretendiamo di conoscere già tutto, di sapere tutto; la vita è anche rischio, è grazia, è sorpresa. Ma è sbagliato anche l’atteggiamento di chi dice: a me non importa niente, perché il Signore potrebbe passare e… a noi potrebbe non importare nulla.
Vi ho consegnato un verbo: scegliere. Vivere è scegliere; siamo costretti a scegliere ed allora dobbiamo avere un progetto, quel progetto che abbiamo ascoltato soprattutto nel Vangelo di oggi (Gv 15, 9-17) e nella seconda lettura (1Gv 4, 7-10) che parlano dell’amore. Dio è amore e Gesù dice: “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9). E allora quella guida affidabile, alla quale ci consegniamo all’inizio del nostro viaggio, ci dice: la tua scelta deve essere l’amore.
Io, però, vado in confusione perché tante sono le sirene intorno a me e dentro di me, che mi dicono che questo è amore e poi scopro, molto presto, che non era amore. Questa parola “amore” – così importante per un uomo, per una donna, per un cristiano l’abbiamo stropicciata e rovinata. Noi diciamo: facciamo l’amore. E vuol dire fare sesso.
I telegiornali ci dicono che c’è l’amore che uccide, che ci sono i piccoli grandi ricatti dell’amore: se mi ami, fai questo… E poi sappiamo molte volte, tra ragazzo e ragazza, che cosa voglia dire: se mi ami, devi fare questo… Non di rado l’amore coincide con la possessività: sei mio, sei mia. A volte con la gelosia, altre volte ancora con il capriccio di un momento.
E allora alla vostra età, sì proprio alla vostra età, la proposta è: perché non vogliamo capire e domandarci che cosa è l’amore per quella guida affidabile che è Gesù? Guardate che ciascuno di noi è frutto di un atto di amore, un atto di amore di Dio. Ma Dio non vuole essere solo ad amare: ecco la grandezza di Dio, ecco la grande proposta che Dio ci fa. Dio non è geloso del suo amore, vuole che l’amore sia fuori da sé, esista anche di fronte a Lui e noi siamo il frutto d’amore di due persone.
È importante anche riascoltare la seconda lettura di oggi perché che cos’è l’amore non me lo dice la rete e non me lo dice – o, almeno, non è detto che me lo dica, potrebbero anche dirmelo… – il mio compagno o la mia compagna di banco. Pensiamo a quella frase terribile: tutti lo fanno, perché io non potrei?
L’amore di cui parla la seconda lettura di oggi è quell’amore concreto in cui Gesù diventa la tenerezza di Dio, l’amore che Dio ha per noi ha un volto, è una persona, è una vicenda storica, è una vita vissuta anche sul piano strettamente umano. Ripeto, siamo chiamati a vivere l’amore di Gesù.
Guai se Gesù fosse un corollario buono per alcuni gesti che compiamo durante la settimana o durante il giorno! O il Signore Gesù è il senso del mio amore anche quando mi muovo per strada, quando studio, quando incontro gli altri o quando partecipo ad una festa oppure il Signore diventa una superstizione e le superstizioni non cambiano la nostra vita; solo il Signore la può cambiare.
La storia d’amore dei nostri genitori ci precede – anche se, certe volte, le nostre famiglie non sono perfette -, il loro incontro, il loro donarsi, le loro fragilità fanno parte del loro modo di amare e allora, in questo modo, l’amore è veramente la sorgente e la cifra del mondo e della storia.
La vita è scegliere: da che cosa devo liberare il mio cuore? Dal giudizio altrui, sì, è vero… Ma abbiamo visto bene che la paura del giudizio altrui dice la mia fragilità, dice che sto inseguendo in modo sbagliato – magari concentrandomi sullo specchio e trovandomi bruttissimo – le mie insicurezze, dei modelli che mi dominano, dei modelli che sono diventati i miei padroni, i miei tiranni. Prima che del giudizio altrui, io ho paura del mio giudizio.
Dicevo già questa mattina: la vita è fatta anche di difficoltà e di problemi che possono diventare opportunità ma la difficoltà e il problema principale non riguarda gli incontri, le persone, le cose… È il mio cuore e, cioè, sono io. Il timore del giudizio altrui nasce da un rapporto sbagliato con noi stessi; è aver fatto un progetto bello e importante che, però, è diventato l’idolo, il padrone della nostra vita.
Avere dei sogni nella nostra vita è necessario, è necessario soprattutto alla vostra età ed anche in ogni stagione della vita, ma guai a non avere dei sogni! Attenzione, però, che i sogni non diventino idoli o allucinazioni.
La paura del giudizio altrui è, in realtà, paura del mio giudizio; è la mia insoddisfazione, sono le mie delusioni, le delusioni di progetti diventati idoli nella mia vita. Per non temere i giudizi altrui bisogna essere liberi dentro, non in-catenati ma s-catenati dal proprio io, non lasciarsi in-catenare dai propri progetti.
Il rischio è: o tutto o niente. E invece il Signore si serve, molte volte, per fare le cose più belle nella vita di un uomo o di una donna anche dei fallimenti e dei limiti di quell’uomo o di quella donna. San Paolo dice: “…quando sono debole, è allora che sono forte” (2Cor 12, 10), perché mi apro al Signore.
Scatenare e liberare il cuore dalla sfiducia in se stessi è possibile solo scoprendo la bellezza e la verità dell’umiltà, non temendo di chiedere aiuto e non considerando la vita come una perenne competizione.
La scoperta di Francesco d’Assisi: quando era nella condizione di poter essere il number one di Assisi nella sua epoca, in quel momento Francesco – guidato da quella guida affidabile -, non pretendendo di sapere tutto quello che avrebbe fatto nella sua vita, anche le virgole e i punti di sospensione, e non avendo l’atteggiamento di chi dice “a me che importa?”, in quel momento incontra coloro che gli danno più problemi – i lebbrosi – e inizia un cammino nuovo.
Ancora un altro modo di scatenare e liberare il nostro cuore dalle nostre ferite è pensare – vorrei che su questo riflettessimo – che le nostre ferite possano essere esperienze capaci di medicare o addirittura impedire le ferite degli altri.
Dalle sue piaghe siamo stati guariti (cfr. 1Pt 2, 24). Le nostre piaghe – che bruciano, ci fanno soffrire e ci fanno fare notti insonni – possono avere un senso, un significato. Le ferite delle nostre famiglie di provenienza… Nessuno cerca il colpevole, ma quanti bambini hanno sofferto per situazioni dei genitori… Quelle tue ferite possono, un domani, evitare le ferite dei tuoi bambini, dei tuoi figli; possono farti incontrare una persona ferita e aiutarla come il buon samaritano anche se, non stupiamoci, l’oste chiede al samaritano i soldi per ricoverare quel malcapitato.
Voglio dire: molte volte dobbiamo essere anche disposti a rimanere da soli ma affidandoci a quella guida affidabile che è Gesù. Per essere liberati ci vuole Lui, Lui è colui che è capace di dare senso alla mia vita. Scatenare e liberare i timori vuol dire dare senso e significato nuovo alla propria vita.
Abbiamo bisogno del pane, ogni giorno, ma guardate che l’uomo, ogni giorno, come del pane ha bisogno di dar senso alla sua vita. Consegnarsi a Gesù pensando ed essendo convinti che io gli interesso e gli interesso così come sono, non come gli altri mi vorrebbero o come io vorrei essere. Consegnarmi a Lui pensando che Lui mi vuole felice, che Lui su di me ha un progetto e sa dare le risposte vere alle mie domande più brucianti, quelle a cui chi mi sta intorno non sa rispondere.
Che cos’è l’amicizia, che cosa vuol dire amare una persona, come si fa per farsi amare, come posso dire la parola giusta che può ridare il sorriso a quell’amica o quell’amico? Essere libero o libera da noi stessi vuol dire avere uno sguardo nuovo, uno sguardo finalmente capace di vedere per essere capaci di amare in modo vero, in modo reale, in modo fedele.
La cifra dell’amore nel tempo è la parola “fedeltà”; per essere capaci di amare in modo fedele, reale e vero bisogna aver fatto l’esperienza di essersi lasciati amare, perdonare, bisogna aver provato che cosa vuol dire sentirsi perdonati. Ricordate che Pietro non voleva lasciarsi lavare i piedi dal Signore? Per guardare con purezza una persona, bisogna che qualcuno ci abbia guardato con purezza.
Gesù ha, insieme, domanda e risposta; Gesù è colui che per primo ti ama, ti guarda con purezza, ti perdona e così ti svela che cosa sono l’amore, la purezza, il perdono. Solo Lui ti guida, solo Lui ti s-catena il cuore dalle catene, solo Lui può insegnarti ad amare.
Gesù dice a quella donna che gli avevano portato davanti, dopo averla guardata e dopo che gli altri se ne erano andati: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8, 11). E a Pietro, lui che per tre volte aveva mancato di fedeltà al Signore, chiederà per tre volte fissandolo negli occhi: «Mi ami più di costoro?» (cfr. Gv 21, 15-ss.). E al giovane ricco dice: se vuoi seguirmi, fallo, ma liberati le mani ed il cuore dalle ricchezze.
Carissimi giovani: sia lodato Gesù Cristo!


[1] Il testo riporta la trascrizione dell’omelia pronunciata dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del “parlato” che lo ha contraddistinto.