Omelia del Patriarca nella S. Messa del pellegrinaggio mariano al Santuario di S. Maria Assunta (Borbiago di Mira, 7 maggio 2016)
07-05-2016

Pellegrinaggio mariano al Santuario di S. Maria Assunta

(Borbiago di Mira, 7 maggio 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi confratelli e fedeli tutti, è un momento importante il pellegrinaggio diocesano al santuario della Misericordia. Quest’anno, infatti, ogni santuario deputato ad essere chiesa giubilare diventa luogo / spazio di misericordia.

E, allora, dove può iniziare il nostro cammino di conversione reale? Mi riferisco al Vangelo che abbiamo appena ascoltato (Gv 16,23-28). Gesù dice: “Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16,24).

Il pellegrinaggio è un mettersi in cammino, è un andare oltre se stessi; è abbandonare, come Abramo, la terra delle nostre sicurezze umane per lasciarsi guidare nella fede dalla parola del Signore. L’Anno della Misericordia è questo pellegrinaggio dell’anima, è questo andare oltre se stessi, è questo superare l’uomo vecchio che ci appartiene, purtroppo, sempre.

La parola di Gesù è: conversione. Ma oggi, lo abbiamo ascoltato nel Vangelo, bisogna anche convertire il nostro modo di pregare. Bisogna chiedere nel nome di Gesù, portare ogni nostra domanda – ogni nostra preghiera – di fronte a lui e, prima di innalzarla al Padre, confrontarla con la persona di Gesù. Come cambierebbe, allora la nostra preghiera! Gesù ci ha detto tutto questo rispondendo alla domanda dei discepoli: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1).

Dobbiamo comprendere che l’Anno giubilare o diventa un anno di conversione oppure non sarà l’Anno della Misericordia. La misericordia / conversione inizia da quello che è il rapporto più diretto con Dio: lo stare di fronte a Lui nella preghiera.

Vi siete mai chiesti, ad esempio, come mettere in pratica la parola di Gesù che dice di “pregare sempre, senza stancarsi mai” (Lc 18,1)? Molte volte, noi abbiamo nel Vangelo le chiavi che aprirebbero le porte chiuse della nostra vita e, invece, preferiamo andare dal teologo di grido, dallo psicologo, dall’amico ci dà ragione, non da quello che ci dice la verità…

Potremmo andare da Gesù. E, se ci mettiamo di fronte al Crocifisso, ci lasciamo prendere da questa verità di fondo: poteva scegliere un altro modo per salvare il mondo, ma ha scelto questo. Se iniziamo a dare importanza, significato e accoglienza al crocifisso nella nostra vita, allora quelle domande – quei problemi insolubili – incominciano a sciogliersi.

Ci sono nel Vangelo delle frasi, delle parole, che noi – in modo molto spiccio – liquidiamo come genere letterario. Le beatitudini sono divenute una bella pagina letteraria con il biblista e l’esegeta a metterne in evidenza la preziosità letteraria… ma Gesù non intendeva dire belle lettere quando ha pronunciato le beatitudini. Intendeva parlare al nostro cuore e dire: se sei tribolato, arrabbiato, affaticato, scoraggiato, incomincia a lasciar parlare le beatitudini nella tua vita.

Un testo cristologico molto antico dice: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» (Mt 11,28-30).

Tutte le volte in cui compiamo degli atti contro l’umiltà e la mitezza, noi non troviamo riposo, ci affatichiamo, ci esauriamo e cresce in noi quello stato di inquietudine, rabbia,  scoraggiamento e disincanto che poi si traduce nelle parole. Si è detto giustamente che le parole sono come le pietre, ma possono essere anche luci nella notte. E ricordiamo quello che san Giacomo dice sulla lingua: è il più piccolo dei muscoli ma quanto male può fare (cfr. Gc 3,5-ss.)!

La conversione è andare dal Signore con fiducia. Noi andiamo invece con fiducia – molte volte – dall’opinion leader, dallo psicologo, dal giornalista di grido e… gli chiediamo di spiegarci le cose. Il credente va dal Crocifisso e prende quelle pagine – quelle parole che non capisce e che particolarmente confliggono con  la sua psicologia e con la sua spiritualità – ed incomincia a dirle con Gesù.

Qual è il senso della parola del Vangelo che abbiamo proclamato: “finora non avete chiesto nulla nel mio nome” (Gv 16,24)? Qui Gesù ci vuole dire: chiedere nel mio nome è chiedere dandomi la fiducia, pensando e ritenendo – in una fede che si vuole convertire – che io ti dica quello di cui tu hai bisogno. Chiedere nel Suo nome non è un fatto linguistico; è un fatto di cuore, di conversione, è prendere sul serio il Vangelo, prenderlo come caso serio della nostra vita.

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi…» (Mt 11,28) e scoprirete che il peso che vi sembra insopportabile è, invece, leggero perché scoprirete che io lo porto con voi e io lo porto al vostro posto.

Se riscoprissimo di più nella nostra vita spirituale le vite dei santi, scopriremmo la caratteristica costante del martirio, dai primi secoli fino ai martiri attuali, perché non ci dimentichiamo che l’epoca dei martiri continua; in certi paesi si può entrare in chiesa e non uscirne vivi eppure quelle comunità cristiane, nonostante questo, continuano a celebrare l’eucaristia. La caratteristica del martire è quella di sentirsi portato dal Signore; dal martirio di Felicita e Perpetua al martirio del ministro cattolico pakistano Paul Bhatti l’idea che esce fuori, la loro consapevolezza, è questa: sentirsi portati da Lui. E poi il battesimo. Troppe volte ci dimentichiamo che il Battesimo è: prometto, prometto, prometto… rinuncio, rinuncio, rinuncio… Il martire è colui che vuol essere fedele al suo battesimo e a Gesù Cristo.

Pensiamo alle ultime parole che Gesù ci ha detto in croce, il suo testamento: il pensiero e l’affidamento al Padre, il perdono dell’umanità che lo sta crocifiggendo e l’affidamento a sua madre. Chiedere nel nome del Signore, fare più spazio alla paternità misericordiosa di Dio nella nostra vita che – se non è una burletta – è conversione, perdonare perché è il cuore del Padre Nostro. Se faremo così, respireremo un’aria diversa nella nostra vita e vedremo anche una luce diversa: le cose che prima sembravano importanti diventeranno risibili e quelle che prima neppure vedevamo diventeranno centrali nella nostra vita. E, infine, affidiamoci a Maria che è la strada più diretta per  giungere a Gesù.