Omelia del Patriarca nella S. Messa del giorno di Natale (Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 25 dicembre 2022)
25-12-2022

S. Messa del giorno di Natale

(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 25 dicembre 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

le parole del prologo del Vangelo di san Giovanni conducono al cuore del mistero del Natale, un mistero grande e, insieme, “sconcertante” perché Dio entra nella storia in modo del tutto inatteso secondo le nostre forze e i nostri pensieri; è “l’improbabile” che si realizza.

Il bambino che contempliamo nel presepe – dal più imponente ed artistico a quello più semplice e povero – è il centro della storia, è il Verbo di Dio che “era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta…Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,2-5.9).

Questo bambino è la “grande luce”, profetizzata da Isaia (cfr. Is 9,1), che appare sul cammino di un popolo immerso nelle tenebre. Quante sono le tenebre che anche oggi oscurano e gravano il nostro procedere: tenebre che riguardano i nostri rapporti personali e familiari, le relazioni di amicizia, lavoro, vicinato, le relazioni economiche e sociali, i rapporti internazionali tra i popoli e tra gli Stati. Quanto abbiamo bisogno di questa “grande luce” che è il Bambino Gesù!

Egli è luce e vita. Senza la luce, che è energia, non c’è vita. Basta pensare cosa succede quando si è costretti senza luce e cosa è successo più volte, nel passato, in alcune grandi metropoli americane, in occasione di improvvisi black-out: tutto si ferma, tutto si rallenta, tutto diventa insicuro e fragile, perché viene meno ogni riferimento, ed è subito il caos.

La contrapposizione luce-tenebre ritorna spesso nelle Scritture e, in particolare, nei Vangeli in differenti momenti della vita di Gesù. È Lui a dire: “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (GV 8,12) e “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12,46).

Poco prima della sua ultima Pasqua, rivolgendosi ai suoi discepoli, Gesù dirà: “Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce” (Gv 12,35-36). E nell’orto degli Ulivi: “…questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre” (Lc 22,38).

Dinanzi al presepio, quindi, al dischiudersi dell’icona del Natale, riconosciamo che in quel bambino – Gesù, il Figlio di Dio – vi sono la vera luce, la forza necessaria, l’energia vitale che consentono di riprendere il cammino, di muoversi diradando le tenebre e ponendo piccole o grandi luci nel cammino della vita. Sì, quel bambino è la luce che rende possibile una vita nuova, redenta, purificata, riconciliata.

Così il Natale è l’esortazione e la spinta positiva, immessa nella nostra storia, per tornare a camminare con Dio e gli altri nella luce, nella verità, nella libertà, nella giustizia, nell’amore, nella pace.

Il segno del Natale è innanzitutto questo: camminare con Dio e, quindi, con gli altri. A differenza del mito greco di Narciso – che si innamorò della sua immagine -, il Natale ci invita ad uscire da noi stessi perché solo nella relazione con l’Altro e gli altri possiamo ritrovarci e riprendere il cammino.

È l’invito a riscoprire il pronome “noi”, non restando imprigionati nel pronome “io”, spesso invadente, addirittura egemone, egocentrico.

La guerra, con cui anche in Europa siamo tornati a confrontarci, ci ricorda che l’uomo è capace di tanto male e che questo male inizia dal cuore. Quanti sono gli uomini sbagliati, nei posti sbagliati e nei momenti sbagliati, ci ricorda la storia. E così la legge della forza sostituisce la forza della legge.

Vivere secondo il principio del “noi” – nella grande storia ma anche in quella quotidiana che ci riguarda direttamente – fa sì che anche i soggetti più lontani fra di loro ed antagonisti (se non ostili) possano trovare un punto d’incontro e di conciliazione: questo, oggi, vale per russi e ucraini, per palestinesi e israeliani, cinesi e americani, per le persone del Nord e del Sud del mondo.

È necessario tornare ad usare il pronome “noi” anche, e soprattutto, nelle relazioni personali e di prossimità, in famiglia, con i colleghi, gli amici, i vicini di casa, le persone che incontriamo dove viviamo, in parrocchia, nelle realtà associative, nel nostro quartiere o paese.

Celebrare il Natale ci conduce alla vera fonte della luce e della vita, “ridimensiona” ogni forma di onnipotenza, contesta alla radice il dominio della tecnoscienza e di chi sogna il “transumano” o il “post-umano”, aprendo a scenari inquietanti che si intravedono ogni qualvolta l’uomo s’illude d’essere la misura di tutto. Questo è l’oggi che ci interpella, ci spaventa, ci sfida.

“Vanno alla perdizione, e se ne vantano – faceva dire Dostoevskij ad un personaggio dei suoi romanzi – , invece di rivolgersi all’unica Verità; ma vivere senza Dio non è che una tortura. E si finisce col maledire la stessa luce che c’illumina senza rendersene conto. L’uomo non può vivere senza inchinarsi dinanzi a qualcosa; un uomo simile non sopporterebbe se stesso e nessuno lo sopporterebbe. E chi nega Iddio, finirà coll’inchinarsi dinanzi a un idolo di legno o d’oro, magari a un idolo astratto“.

Il Natale, infine, ci mette in guardia dal pensiero unico dominante – che tutto uniforma e sbiadisce, a partire dallo strapotere dei media –, dai diktat del “politicamente corretto” che ci condiziona pesantemente nella forma e nei contenuti. Natale, poi, è invito ad affrancarsi dallo strapotere e dall’onnipotenza del denaro che incide non solo sulle esistenze delle persone ma anche sulla democrazia, riducendola a pura forma.

L’uomo è creatura dalle mille risorse e dalle molte fragilità fisiche e spirituali; non è possibile trascurare alcuno di questi aspetti. L’uomo è anche ciò che mangia ma – nello stesso tempo – è cultura, scelte etiche, apertura all’altro e a Dio. L’uomo è tale realtà unitaria: spirito, anima e corpo.

Torniamo, allora, a contemplare il Bambino Gesù nel presepio. Facciamolo insieme ai nostri cari, cominciando dai più piccoli e dalle persone più deboli per età, salute o circostanze della vita. Dinanzi al presepio si sta con semplicità, senza ipocrisia, col carico della propria storia, i propri giudizi (o pregiudizi), le violenze subite o inflitte, i dolori patiti, i ricordi e le nostalgie del passato, le speranze del futuro. Ogni storia, infatti, chiede d’essere ascoltata ed è presente nel presepio.

Il presepio è critica al “politicamente corretto”, di cui rifiuta lo stile e i linguaggi, ricordandoci che Dio cammina con l’uomo, anche se a suo modo, ossia lasciandolo libero. Dio ripete sempre: “Se vuoi”.

Nel presepio, infatti, troviamo un bambino accolto liberamente da una giovane donna – Maria – che non pensava di diventare madre, ma che acconsente a quel bambino – e da un giovane uomo – Giuseppe – che sceglie di prendersi cura d’entrambi. Essi lasciano che Dio entri nelle loro vite ed iniziano, insieme, un cammino.

Il Bambino Gesù – come ricorda l’inizio della lettera agli Ebrei – è “irradiazione della sua gloria (la gloria di Dio) e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente” (Eb 1,3).

La divina rivelazione, iniziata con la creazione, si compie in questo bambino che oggi contempliamo unendoci all’adorazione perfetta che la sua umanità rende a Dio Padre con tutta la sua esistenza, dalla grotta di Betlemme al tempo vissuto a Nazareth, durante il suo ministero pubblico, e a Gerusalemme con la sua passione, morte e risurrezione.

“Entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato” (Eb 10.5): è questa, infatti, l’adorazione perfetta – non quella, sempre parziale, che possiamo dare noi oggi o che potevano rendere i pastori e i Magi – ed è questa, per usare ancora una parola cara a Dostoevskij, la vera “bellezza che salverà il mondo” e che oggi, nel Natale, ci è di nuovo donata.

“In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta…Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv 1,4-5.9).

Ritorniamo al presepio, alla sua vicenda pienamente umana e divina; qui il protagonista è Dio con la sua Misericordia. Adorando il Bambino Gesù, possiamo ritrovarci e ritrovare gli altri come compagni di strada, fratelli e sorelle nel cammino della vita. Guardiamo al presepio e camminiamo insieme.

Buon Natale a tutti!