Omelia del Patriarca nella S. Messa del Crisma (Venezia, Basilica di S. Marco - 24 marzo 2016)
24-03-2016

Messa del Crisma

(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 24 marzo 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della Chiesa che è in Venezia,

chiediamo al Signore che – nell’Anno giubilare della divina Misericordia – questa celebrazione della Messa crismale sia per tutti occasione di grazia, di perdono, di riconciliazione.

Il Vangelo appena ascoltato ci pone dinanzi la figura di Gesù che – all’inizio della vita pubblica – si presenta come il consacrato del Signore, Colui che il Padre ha mandato per salvare gli uomini predicando l’anno di grazia, ossia la misericordia, il perdono, la riconciliazione. E proprio a Lui dobbiamo guardare poiché la Chiesa è il frutto dell’essere sacerdotale di Gesù è l’opera della sua salvezza.

Il salmo 21 – ispirato dai “canti del servo di Jahvé” – termina annunciando che la passione del Giusto rigenera l’umanità e Gesù, in croce, recita proprio questo salmo quindi ne fa sue le parole conclusive:“…io vivrò per lui, lo servirà la mia discendenza. Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunceranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!»” (Sal 21, 30-32).

La pericope del Vangelo di Luca occupa una posizione che – per importanza – è assimilabile, nel Vangelo di Matteo, al testo delle beatitudini. Gesù, infatti, entra nella sinagoga di Nazareth e legge il rotolo di Isaia; il testo ci dice chi è Cristo, la coscienza che ha di sé, la sua scelta preferenziale per i poveri.

Mentre nel Vangelo di Matteo Gesù si presenta proclamando la nuova “carta” del Regno di Dio (le beatitudini), nel Vangelo di Luca si presenta come Colui che, nella sua persona, compie il Regno di Dio: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore. Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»” (Lc 4,18-21).

La liturgia  odierna ci fa guardare, con particolare stima e affetto, a voi cari presbiteri; per voi e per la nostra Chiesa è un giorno importante. Fra poco rinnoverete il vostro “sì” sacerdotale confermando le promesse dell’ordinazione.

A voi il grazie sincero del vescovo e dei fedeli. Senza di voi non si celebrerebbe l’eucaristia e non si donerebbe il perdono nel sacramento della riconciliazione. A voi, dunque, la riconoscenza della Chiesa che è in Venezia, e delle sue piccole e grandi comunità, per quanto fate nel servizio pastorale.

Il prete non sceglie di sua iniziativa l’ambito del suo ministero. Ogni prete, infatti, è e rimane un mandato, un apostolo che per la sua gente è un dono del Signore; egli, infatti, non porta tanto se stesso quanto il suo essere sacerdotale, una particolare presenza di Gesù e il potere di compiere alcuni  suoi gesti.

A voi, cari confratelli nel sacerdozio, un grazie detto con semplicità, sincerità e affetto per quanto dividete con la vostra gente e donate ogni giorno alle vostre comunità servendo, incoraggiando e facendovi carico delle altrui fragilità. Il prete, anche al di là della sua consapevolezza, con la sua umanità e sua santità, plasma la sua comunità. È un grande dono e una grande responsabilità essere prete.

La giornata del Giovedì santo è uno spartiacque; fino all’ora nona siamo in tempo quaresimale mentre con i Vespri e la Messa della Cena del Signore – in cui spicca il significativo gesto della lavanda dei piedi – entriamo nel Sacro Triduo.

La celebrazione del Crisma riveste particolare importanza per i riti che l’accompagnano. In essa, oltre a rinnovare le promesse sacerdotali, vi è la benedizione degli oli; riti ricchi di significato che pongono al centro Gesù Cristo, l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, il vero ed eterno sacerdote.

Colgo l’occasione per salutare i ragazzi e le ragazze che prossimamente riceveranno il sacramento della confermazione, i loro genitori, parroci, cappellani, catechisti, padrini e madrine; la confermazione deve esser sempre più momento ecclesiale che coinvolge tutta la comunità.

Il Giovedì santo pone al centro la teologia del sacerdozio che in Gesù ha la sua origine e compimento. È Lui il vero ed eterno sacerdote; è Lui che dona il suo sacerdozio in diversi modi, quello comune dei fedeli (battesimo) e quello ministeriale (ordine).

E il Concilio Vaticano II insegna che Gesù dona alla sua Chiesa, in modi diversi, il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, fra i quali non si dà solo differenza di grado ma di essenza; realtà differenti fra loro, dove il sacerdozio ministeriale si pone al servizio di quello battesimale (cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, n.10).

L’odierna celebrazione liturgica evidenzia il presbiterio: vescovo e presbiteri insieme, seppur in modi diversi, sono al servizio del popolo di Dio e proprio in esso trovano il loro senso.

Si è sacerdoti per servire Gesù e i fratelli; se non vi fosse tale necessità, non avrebbe senso l’ordinazione dei vescovi e dei presbiteri. La linea di demarcazione tra sacerdozio ministeriale (presbiteri e vescovo) e quello comune (battezzati) è il servizio del primo nei confronti del secondo.

Ricordo la bella espressione di Papa Francesco che due anni fa, durante la messa crismale, delineava così la caratteristica del ministro ordinato: “Una gioia che ci unge. Vale a dire: è penetrata nell’intimo del nostro cuore, lo ha configurato e fortificato sacramentalmente… La grazia ci colma e si effonde integra, abbondante piena in ciascun sacerdote. Unti fino alle ossa… e la nostra gioia, che sgorga dentro, è l’eco di questa unzione ” (Papa Francesco, Omelia nella Santa Messa del Crisma, 17 aprile 2014). Chiediamo per noi i per i nostri confratelli tale gioia

La Messa crismale ha il suo centro nel Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini; Egli dona il suo sacerdozio – comune e ministeriale – alla Chiesa e solo perché inseriti in Lui, noi siamo il suo popolo.

Nella lettera pastorale che oggi consegno, con gioia, alla diocesi – e che è frutto d’un cammino comune di quattro anni – si indica con forza il fondamento cristologico della Chiesa, che è tale perché è segno (sacramento) di Gesù Cristo; la Chiesa ha senso perché rimanda a Lui e vive di Lui.

La lettera riguarda le collaborazioni parrocchiali e il titolo prende a prestito un passo del discorso di Papa Francesco al V Convegno Ecclesiale di Firenze: “Se la Chiesa non assume i sentimenti di Gesù, si disorienta, perde il senso. Se li assume, invece, sa essere all’altezza della sua missione. I sentimenti di Gesù ci dicono – continua il Santo Padre – che una Chiesa che pensa a sé stessa e ai propri interessi sarebbe triste. Le beatitudini sono lo specchio in cui guardarci, quello che ci permette di sapere se stiamo camminando sul sentiero giusto: è uno specchio che non mente” (Papa Francesco, Discorso al V Convegno della Chiesa italiana, Firenze 10 novembre 2015).

Questo invito risuona proprio nell’anno della divina Misericordia e ci chiede di guardare, con più fede, a Gesù Cristo e al suo cuore trafitto (cfr. Gv 19, 33-37). Siamo infatti chiamati a vivere il mistero della Chiesa, la sua sacramentalità, il suo esser segno efficace di Cristo; la Chiesa è comunità che vive non di luce propria ma riflette quella del suo Signore (cfr. Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 1).

Così, mentre i presbiteri rinnovano le promesse sacerdotali, l’impegno dei diaconi, dei consacrati, dei fedeli laici è far propri i senti­menti di Gesù che sono la ragione ultima delle promesse battesimali e presbiterali secondo il loro specifico.

Con gioia diciamo grazie al Signore per la nostra vocazione ecclesiale, qualunque essa sia, e chiediamo di sapervi rispondere in maniera più evangelica, lasciandoci rinnovare da Gesù e dalla sua Parola.

Riscopriamo la vocazione come dono che matura già in famiglia e, poi, nella Chiesa, comunità di famiglie.

Riconosciamo la bellezza e la varietà delle vocazioni radicate nell’unico battesimo che tutti ci unisce; apprezziamo poi il sacramento dell’ordine – diaconato, presbiterato, episcopato -, del matrimonio e della vita di consacrazione speciale a Dio; è questo l’essere polifonico della Chiesa.

Questo è il vero inizio di una collaborazione reale e non solo funzionale; un essere “sinodale” della Chiesa che nasce non tanto dal fare, l’agire pastorale fine a se stesso, ma dalla consapevolezza che la Chiesa è differenti vocazioni e carismi, tutti essenziali.

Riconoscendo e sapendo gioire delle differenti vocazioni non si corre il rischio  di ridurre la Chiesa a una sola vocazione a scapito di altre; per il passato, talvolta, questo è accaduto per il ministero ordinato. Il clericalismo nasce o da una teologia “azzoppata” o da un efficientismo che preferisce – mi servo di un’immagine – pescare da soli piuttosto che condividere l’affascinante arte della pesca. Al di là dell’immagine, la Chiesa si rigenera – alludo a nuove vocazioni matrimoniali, presbiterali, diaconali e di speciale consacrazione – attraverso una vera corresponsabilità che gioisce nel riconoscere la bellezza e la specificità delle altrui vocazioni e le promuove.

Le supplenze – se prolungate – portano alla “discrasia”, ossia ad uno squilibrio che non consente di vivere la Chiesa come essa è, ossia, realtà sinfonica nella quale le voci si arricchiscono a vicenda; così la voce del solista, che può essere anche stupenda, rimane solitaria, isolata.

Dopo il rinnovo delle promesse sacerdotali, l’odierna liturgia prevede la benedizione degli olii in cui ancora una volta si esprime il mistero della Chiesa, sacramento di Cristo e sua sposa.

Gli olii benedetti accompagneranno, nell’anno liturgico, le differenti celebrazioni che caratterizzano la vita della nostra Chiesa diocesana; sarà così per il battesimo, la confermazione, l’ordinazione dei nuovi preti, l’unzione dei malati.

Infine, gli olii benedetti scandiscono le stagioni della vita del cristiano di cui la Chiesa – come madre affettuosa – è chiamata a prendersi cura, passo dopo passo.

Rinnoviamo, ancora, ai nostri carissimi preti il grazie per quanto fanno con fede e amore nelle loro comunità come padri, fratelli e amici.

Il santo Curato d’Ars, patrono dei parroci, diceva: “…un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina”.

Per la preghiera di Maria – la Nicopeia, la Madonna della Salute, madre del sommo ed eterno Sacerdote – chiediamo, in questo anno della Misericordia, per noi e le nostre comunità – la gioia che nasce dal perdono ricevuto e donato.