Omelia del Patriarca nella S. Messa del Crisma (Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco - 2 aprile 2015)
02-04-2015
S. Messa del Crisma
(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 2 aprile 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Carissimi confratelli nel sacerdozio, carissimi diaconi, consacrati, consacrate e fedeli laici, prima di ritornare sulla Parola di Dio appena ascoltata, desidero ricordare i confratelli che per età, salute o per altri motivi non possono partecipare a questa celebrazione del Crisma; a loro la nostra vicinanza e il nostro affetto. Un caro e sempre riconoscente ricordo rivolgo al Patriarca Marco, di cui celebreremo tra poco più di un mese il primo anniversario della morte. Ricordo anche coloro che, lungo quest’anno, saranno unti con gli Olii santi che stiamo per benedire; in particolare, i ragazzi della Confermazione e i malati.
La pericope di Luca, proclamata dal diacono, ci presenta l’inizio del ministero pubblico di Gesù. Siamo nella sinagoga di Nazareth, la città dove è cresciuto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore… Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»” (Lc 4, 18-19.21).
            Queste sono le parole del profeta Isaia, lette da Gesù nella sinagoga di Nazareth, e che – riproposte dalla liturgia della Messa del Crisma – assumono, per la nostra Chiesa di Venezia, un significato particolare.
            Innanzitutto perché ci parlano di “anno di grazia del Signore”, mentre noi ci apprestiamo a vivere l’Anno santo della misericordia che è stato indetto da Papa Francesco, e poi perché è un testo che aiuta la Chiesa di Venezia a vivere l’impegno evangelizzatore di cui, con forza, ci parla Papa Francesco.
            Che cosa vuol dire, allora, vivere oggi queste parole? Cosa comporta ricentrare su di esse tutta la nostra realtà ecclesiale?
            Gesù si presenta ai suoi uditori come l’Unto del Signore, ossia come Colui che è inviato e diventa il segno efficace della presenza del Dio che salva; è inviato a portare agli uomini quanto essi, da soli e con le loro sole forze umane, non sono in grado di darsi da se stessi.
            Una lettura ecclesiale del Vangelo parte proprio dal fatto che la Chiesa – come insegna  il Concilio Vaticano II di cui ricordiamo il cinquantesimo anniversario – è il sacramento di Cristo. Nella Chiesa tutto assume significato da Colui del quale la Chiesa è, appunto, il segno sacramentale.
Colgo l’occasione per chiedere, una volta di più, che il Concilio – nei suoi grandi documenti e soprattutto nell’anno dell’anniversario – sia letto e possibilmente studiato nella nostre comunità.
 Circa la lettura ecclesiale del testo di Isaia, che l’evangelista Luca pone sulle labbra di Gesù, ascolteremo nella recita della preghiera del prefazio le seguenti e chiare parole: “Con l’unzione dello Spirito santo hai costituito il Cristo tuo Figlio Pontefice della nuova ed eterna alleanza, e hai voluto che il tuo unico sacerdozio fosse perpetuato nella Chiesa. Egli comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti, e con affetto di predilezione sceglie alcuni tra i fratelli che mediante l’imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza” (dal Prefazio della Messa del Crisma).
Viene qui delineato in modo chiaro il profilo teologico della Chiesa secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, la cui ecclesiologia – come giustamente è stato detto – è ecclesiologia di comunione..
(Il testo integrale dell’omelia è contenuta nel file allegato in calce)