Omelia del Patriarca nella S. Messa con la Fraternità di Comunione e Liberazione in suffragio del Servo di Dio Mons. Luigi Giussani e nell’anniversario del riconoscimento pontificio (Venezia / Basilica cattedrale S. Marco, 6 febbraio 2023)
06-02-2023

S. Messa con la Fraternità di Comunione e Liberazione in suffragio del Servo di Dio Mons. Luigi Giussani

e nell’anniversario del riconoscimento pontificio

(Venezia / Basilica cattedrale S. Marco, 6 febbraio 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Cari amici e amiche di Comunione e Liberazione,

ci ritroviamo come ogni anno a celebrare l’Eucaristia per esprimere la nostra gratitudine nel ricordo del Servo di Dio mons. Luigi Giussani e dell’anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione.

In questo giorno la liturgia della Chiesa ci offre la testimonianza dei Santi Martiri Giapponesi, Paolo Miki (primo religioso appartenente a questo popolo) e i suoi compagni; essi hanno dato la vita, oltre quattro secoli fa, per testimoniare fino all’ultimo la loro fede e il loro amore verso il Signore Gesù. Nella preghiera di colletta abbiamo invocato la loro intercessione per essere in grado anche noi “di testimoniare con coraggio fino alla morte la fede che professiamo”.

Nella prefazione che l’allora Cardinale Joseph Ratzinger fece ad un libro – piccolo ma prezioso – di don Giussani, pubblicato nel 1994, il futuro Benedetto XVI così scriveva: “…è inquietante che la voce della Chiesa appaia incapace di raggiungere le orecchie e i cuori degli uomini. In qualche modo ci si è convinti che tutto ciò che la Chiesa può dire già si conosce e già è superato. Apparentemente quasi nessuno si aspetta da essa una risposta che apra una prospettiva; si cerca e si brancola in tutte le possibili direzioni, ma solo raramente in direzione della parola della fede cristiana, apparentemente troppo conosciuta” (Luigi Giussani, Il senso di Dio e l’uomo moderno, Milano 1994, p. 3). Ratzinger proseguiva osservando come, invece, la voce di Giussani emergesse e fosse in grado di mostrare come nell’oggi, nelle “semplici esperienze fondamentali di ogni uomo”, “negli interessi quotidiani”, Cristo ci viene incontro e, quindi, sia ancora possibile far risuonare – nella concretezza della vita – la testimonianza e l’annuncio della fede.

Ma le parole di Ratzinger spingono soprattutto a riconsiderare la realtà della Chiesa che, secondo la tradizione dei Padri e come riaffermato dal Concilio Vaticano II, appare quel pianeta opaco (la luna) che riflette la luce del sole, ossia il corpo celeste da cui per noi provengono la luce, il calore e la vita. Essendo Cristo “lumen gentium”, esiste come uno specchio che ne riflette la luce; la luce è sempre Gesù Cristo.

Il salmo responsoriale, che abbiamo pregato poco fa, ci ha mostrato come, attraverso le opere del creato, si può giungere al riconoscimento – stupito e riconoscente – del Dio Creatore: “Benedici il Signore, anima mia! Sei tanto grande, Signore, mio Dio! Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza…” (dal Sal 103-104).

C’è bisogno – e questo, nel tempo della modernità e postmodernità, non è scontato ma è, spesso, problematizzato – che la ragione dell’uomo si apra al riconoscimento della realtà, non pretendendo d’essere “misura della realtà, ambito esauriente dell’essere” (sono parole di Giussani), non impossessandosi in modo totalizzante della realtà e della coscienza dell’uomo che è e rimane sempre sulla “soglia di un abisso” con la conseguente “vertigine” che si prova quando si è di fronte al mistero di Dio, al senso ultimo e alla verità profonda delle cose.

L’amor proprio – costante del nostro tempo – e una ragione non disinteressata e non limpida spingono, invece, a circoscrivere o mettere da parte questo mistero, fino ad esprimere una certa idea di uomo come criterio e misura di tutto. Ed è proprio qui che nasce ogni idolatria e la grande tentazione che ci riguarda.

Siamo, del resto, al cuore del peccato originale: non più Dio, riconosciuto come il Signore, il Creatore, il Salvatore ma l’uomo che erige se stesso a criterio e misura; non ci si aspetta più nulla da Dio quando, invece, come insegna la rivelazione e l’esperienza religiosa “Dio (cioè l’origine della realtà) è mistero insondabile, incommensurabile, è fatto che ci trascende. Perciò la posizione dell’uomo di fronte ad esso è quella di una ‘vigilanza’, cioè di un rispetto che attende qualunque eventualità, perché ‘a Dio è possibile ogni cosa: la stessa sorpresa che ci obbliga ad essere in posizione di imprevedibile attesa” (Luigi Giussani, Il senso di Dio e l’uomo moderno, Milano 1994, p. 40).

Uno dei più grandi teologi della modernità – a cui Joseph Ratzinger / Benedetto XVI ha dedicato sempre grande attenzione –, John Henry Newman, ha parlato del primato della coscienza sottolineando nello stesso tempo la difficoltà dell’uomo moderno nel vivere tale primato in quanto si trova, tra l’altro, stretto e quasi paralizzato nella contrapposizione tra soggettività e autorità in riferimento all’esercizio della libertà.

Per Newman il primato della coscienza esiste sempre connesso indissolubilmente alla verità tanto che, per lui, “primato della coscienza non significa che il soggetto è il criterio decisivo di fronte alle pretese dell’autorità, in un mondo in cui la verità è assente… La coscienza è piuttosto la presenza percepibile e imperiosa della voce della verità all’interno del soggetto stesso; la coscienza è il superamento della mera soggettività nell’incontro tra l’interiorità dell’uomo e la verità che proviene da Dio” (Paolo Gulisano, John Henry Newman. Profilo di un cercatore di verità, Milano 2010, p. 99).

La ragione, nel tempo della modernità intesa in senso illuministico, ritiene di possedere e dominare tutta la realtà – quasi esaurendola -, eppure l’uomo non si comporta mai così perché continuamente usufruisce e si relaziona con ciò che non è misurabile e non è del tutto conoscibile nell’origine e nel funzionamento. E ciò, in fondo, è profondamente e autenticamente umano e ragionevole.

Per questo don Giussani, in quel piccolo e prezioso libro sul rapporto tra il senso di Dio e l’uomo moderno, sottolineava l’ineluttabilità e la rilevanza del “senso religioso” per l’uomo, perché fa parte della sua natura e perché – sono parole di Giussani – “il senso religioso è l’iniziativa di Dio che ci crea. Non possiamo evitarla, anche se possiamo insipientemente cercare di rifiutarla o contraddirla” (Luigi Giussani, Il senso di Dio e l’uomo moderno, Milano 1994, p. 15).

L’esempio di fede, giunto sino al martirio per crocifissione, dei Santi giapponesi che ricordiamo oggi – Paolo Miki e compagni – ci rimanda alla concretezza storica del “Fatto cristiano” su cui molto ha scritto don Giussani. E ci fa comprendere come si possa e cosa significhi accogliere la rivelazione di Dio, nella fede, sapendola trasformare in testimonianza verace, anche in contesti storici e culturali profondamente diversi da quelli dei tempi di Gesù, del Vangelo e della prima Chiesa.

Ma, e concludo ancora riferendo alcune parole di don Giussani, “non è ai fattori storici che si obbedisce; è a Cristo. Ma non si obbedisce a Cristo se non attraverso i fattori storici ‘formati”, plasmati dal Suo Fatto. Cristo si attua in noi e tra noi attraverso la nostra compagnia” (Luigi Giussani, Il senso di Dio e l’uomo moderno, Milano 1994, p. 135).