Omelia del Patriarca nella S. Messa con la Fraternità di Comunione e Liberazione in occasione dei 100 anni dalla nascita del Servo di Dio Mons. Luigi Giussani (Venezia / Basilica cattedrale S. Marco, 18 febbraio 2022)
18-02-2022

S. Messa con la Fraternità di Comunione e Liberazione in occasione dei 100 anni dalla nascita del Servo di Dio mons. Luigi Giussani

(Venezia / Basilica cattedrale S. Marco, 18 febbraio 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Amiche e amici di Comunione e Liberazione,

è bello vivere quest’Eucaristia e, così, ricordare all’altare del Signore don Luigi Giussani nell’imminenza del giorno in cui ricorre l’anniversario della sua nascita al cielo.

Siamo anche nell’anno in cui cade il centenario della sua nascita terrena; don Luigi nacque a Desio nel 1922, il giorno di S. Teresa d’Avila (15 ottobre).

La liturgia della Parola oggi ci aiuta ad entrare nel profilo del credente mettendo al centro il tema della fede e, soprattutto, l’uomo di fede.

L’antifona d’ingresso della Messa, tratta dal Salmo 30, recita: “Sii per me una roccia di rifugio, un luogo fortificato che mi salva. Tu sei mia rupe e mia fortezza: guidami per amore del tuo nome” (cfr. Sal 30,3-4).

La fede ci è presentata come certezza, ma anche come relazione, un’apertura verso l’Io per eccellenza, che è Dio; è l’apertura verso una Persona – Dio – che la rivelazione cristiana ci dice essere un Noi, una comunione, anzi, la Comunione per eccellenza.

E qui qualcosa ci rimanda a don Giussani e alla sua creatura – Comunione e Liberazione –. La comunione, in fondo, è ciò che ci libera dall’io individualista e ci fa ritrovare la verità profonda del nostro io: relazione e comunione.

La prima lettura, tratta dall’apostolo Giacomo (Giac 2,14-24.26), è importante poiché unisce fede e opere. La fede non è un’astrazione velleitaria, neppure una semplice messa a fuoco di valori; non è neanche un identificarsi con dei valori che, pure, sono espressione della fede ma che, da soli, diventano idoli.

È la fede che genera i valori, proprio nel momento in cui, in Gesù, noi incontriamo Dio. La fede è qualcosa che si misura e si verifica con le opere. Certo, non siamo salvati dalle opere e su questo san Paolo – come sappiamo – è chiarissimo; rileggiamo a questo proposito soprattutto la lettera ai Galati ma è un tema che ricorre in tutta la teologia paolina. È la fede che salva.

Fede come relazione con Dio e come sapienza che cambia le nostre fragilità umane e, nello stesso tempo, come qualcosa che si verifica (si rende vera) in un preciso concreto cambio di cambio di vita. Le opere, allora, sono la dimostrazione di una conversione in atto.

Nel Vangelo (Mc 8,34-9,1) si delinea un nuovo aspetto legato alla fede: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mc 8,34). La fede è una scelta forte e drammatica in cui siamo chiamati ad affidarci a Qualcuno che è più grande di noi e che ha le risposte alle nostre domande, domande a cui noi non siamo in grado di dare piena risposta.

Tutti questi temi – che sono i temi maggiori della fede – li troviamo pensati ma soprattutto vissuti in Luigi Giussani.

Proprio in questi giorni ho ripreso un libro di don Giussani – “Tracce d’esperienza cristiana” –. In esso sono riediti insieme tre scritti della fine degli anni ’50 e dell’inizio degli anni ’60 del secolo scorso: sono i testi che hanno accompagnato i primi passi di quella che sarebbe divenuta Comunione e Liberazione e che, allora, si chiamava Gioventù Studentesca.

Alludo, nello specifico, a ”Riflessioni sopra un’esperienza” del 1959, a “Tracce d’esperienza cristiana” del 1960 e ad “Appunti di metodo cristiano” del 1964. Sono piccoli “manuali” – così li denomina l’introduzione – confluiti, poi, in un’unica pubblicazione che ha privilegiato e posto in rilievo, nel titolo, “Tracce d’esperienza cristiana”.

Mi piace richiamare quanto don Giussani dice nel primo capitolo “Esperienza dell’umano”. Sono pensieri che vorrei condividere con voi: “Per incontrare Cristo, quindi, dobbiamo innanzitutto impostare seriamente il nostro problema umano… Bisogna stare molto attenti perché troppo facilmente non partiamo dalla nostra esperienza vera, cioè dalla esperienza nella sua completezza e genuinità. Infatti spesso identifichiamo l’esperienza solo con delle espressioni parziali…” (Luigi Giussani, Tracce d’esperienza cristiana, Milano 1977, p.18).

Per incontrare Cristo – è il suo insegnamento – bisogna aprirsi e “guardare con simpatia all’umano che è in noi”. E partire da esso per aprirsi finalmente a Cristo.

Nelle pagine seguenti si parla di Cristo asceso al cielo (è l’inizio del libro degli Atti) e dell’uomo in termini di impotenza e di solitudine. Giussani afferma: “Più scopriamo le nostre esigenze, più ci accorgiamo che non le possiamo risolvere da noi, né lo possono gli altri, uomini come noi…” (Luigi Giussani, Tracce d’esperienza cristiana, Milano 1977, p.20). Ed ecco allora emergere e crescere quel senso di impotenza e di solitudine che attraversa, in fondo, ogni “seria esperienza di umanità”.

Così l’umano che è in noi può aprirsi all’incontro con Cristo, l’unico Salvatore. “Siamo soli con i nostri bisogni – prosegue Giussani –, col nostro bisogno di essere e di intensamente vivere. Come uno solo nel deserto, l’unica cosa che possa fare è aspettare che qualcuno venga. E a risolvere non sarà certo l’uomo perché da risolvere sono proprio i bisogni dell’uomo” (Luigi Giussani, Tracce d’esperienza cristiana, Milano 1977, p.21).

Queste parole sono la saggezza di un cristiano che ha interpellato, con intelligenza, il suo cuore e la realtà. E si è potuto aprire – e ha guidato altri a farlo – all’esperienza di Cristo e della fede, non come qualcosa di consolatorio ma come risposta all’umano.