Omelia del Patriarca nella S. Messa con il presbiterio e la comunità diaconale in occasione della peregrinatio corporis di S. Pio X (Venezia / Basilica della Salute, giovedì 19 ottobre 2023)
19-10-2023

S. Messa con il presbiterio e la comunità diaconale in occasione della peregrinatio corporis di S. Pio X

(Venezia / Basilica della Salute, giovedì 19 ottobre 2023)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Cari presbiteri, diaconi, persone consacrate, fedeli,

viviamo oggi questa concelebrazione eucaristica alla presenza delle spoglie mortali di un santo pastore che ha guidato come Patriarca la nostra Chiesa diocesana tra il 1893 e il 1903, prima di diventare pontefice della Chiesa universale fino al momento della morte avvenuta il 20 agosto 1914, mentre stava per iniziare quello che lui chiamava il “guerrone”, ossia la prima guerra mondiale.

Poiché viviamo giorni di guerra in più parti del mondo (Papa Francesco ha parlato più volte di “guerra mondiale a pezzi”), prolunghiamo – anche attraverso l’intercessione di san Pio X – la nostra preghiera e richiesta di pace e riconciliazione per l’Ucraina, la Terra Santa e per tanti altri luoghi del mondo – pensiamo al Nagorno Karabakh – tuttora martoriati o a grave rischio di escalation, senza dimenticare tutte le tante guerre dimenticate ma, non per questo, meno dolorose.

Oggi fissiamo i nostri sguardi su Pio X, pastore. Il prefazio della messa propria dei santi pastori mette sulle nostre labbra queste parole che rivolgiamo al Signore: “Tu doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare la festa del santo papa Pio X, con i suoi esempi la rafforzi, con i suoi insegnamenti l’ammaestri, con la sua intercessione la proteggi”.

Le spoglie mortali di un santo – anche quelle di Giuseppe Melchiorre Sarto, Pio X – rimandano alla concretezza della sua vita e, quindi, alla concretezza della sua santità personale che ha preso forma e si è sviluppata in queste terre venete dove egli ha vissuto quasi tutta la sua vita: nativo di Riese, fece il Seminario a Padova; divenuto presbitero, fu cappellano a Tombolo, parroco a Salzano, cancelliere della Curia e padre spirituale del Seminario a Treviso; successivamente fu vescovo a Mantova, patriarca a Venezia e, infine, pontefice della Chiesa universale a Roma.

Giuseppe Melchiorre Sarto, in un contesto sociale e culturale che sempre più si distaccava dalla fede, annunciò dovunque, e con coraggio, il Vangelo, non cercando il plauso degli uomini o il facile consenso. Il suo proposito rimase, sempre, quello di essere fedele al Signore Gesù e al suo Vangelo.

Guardiamo, allora, a Pio X come ad uno di noi e non come a un “superuomo”; è un battezzato a cui il Signore ha usato una particolare misericordia. In tal modo quest’uomo fu raggiunto e plasmato dalla grazia di Dio diventando presenza del Signore in mezzo al Suo popolo chiamato ad esserne guida. Il santo, nella sua umanità, è uomo nuovo, Vangelo vivo!

Vorrei, con voi, ripercorrere alcuni momenti della vita di Papa Sarto perché il contesto familiare, sociale e culturale di cui si è parte – i nostri “luoghi” originari – rappresentano, per ogni persona, “realtà” decisive ed irripetibili che rimangono in noi e ci segnano la vita. Anche la santità ha un suo specifico divenire e germoglia in un preciso contesto umano e sociale.

Sappiamo che per Giuseppe Melchiorre Sarto, detto Bepi, i primi riferimenti furono la famiglia e la comunità parrocchiale, alcuni sacerdoti, come don Tito Fusarini, parroco, e don Pietro Jacuzzi, cappellano, il paese di Riese con la sua storia e le sue tradizioni; Bepi era, inoltre, solito recarsi al vicino santuario mariano delle Cendrole di cui mantenne un ricordo vivissimo anche da papa.

Particolari furono anche le dinamiche familiari che lo segnarono soprattutto in rapporto alla vocazione. Sarto veniva da una famiglia di condizioni modeste ma non povera, almeno fino a quando fu in vita il capofamiglia; il papà, Giovanni Battista, viene ricordato come un “buon cristiano” ma quando Bepi manifestò l’intenzione d’entrare in Seminario, si mostrò per nulla propenso all’idea. Fu, anzi, decisamente contrario poiché riteneva che dovesse rappresentare, invece, un aiuto necessario alla famiglia.

La decisione di Bepi, per il padre, non fu mai qualcosa di scontato e d’indolore. Raccontò la sorella Lucia nella testimonianza per la Positio della causa di beatificazione: “…papà era tanto buono, ma non era affatto contento che il servo di Dio… si facesse prete, qualche volta ci fu diverbio con la mamma e il babbo (…)”. E ancora: “…ha dovuto lottare con papà che non lo voleva lasciare andare per la carriera ecclesiastica, anzi dice la mamma che non voleva lasciarlo fare neanche il chierichetto in Chiesa parrocchiale, quando era piccolo” (Positio Summarium, anno 1949).

La mamma Margherita, invece, era di tutt’altro avviso rispetto al marito e fu un validissimo appoggio per il figlio che sempre incoraggiò e, concretamente, aiutò rendendogli possibile seguire la vocazione al sacerdozio. E quando suo figlio Bepi, diventato vescovo, si presentò alla donna, ormai anziana, mostrandole l’anello episcopale, mamma Margherita indicò al figlio la fede nuziale dicendogli: “Se io non avessi questo anello al dito, tu non avresti il tuo”. Margherita era una donna forte, laboriosa e intelligente a cui non difettavano tenacia e coraggio, che mostrò pienamente alla morte del coniuge rimanendo vedova con dieci figli da crescere e il secondogenito da sostenere nella scelta seminaristica.

Nella vocazione di Giuseppe Sarto furono determinanti gli esempi viventi di alcuni sacerdoti che ne accompagnarono la crescita umana e spirituale: innanzitutto il parroco don Tito Fusarini e il cappellano della parrocchia don Pietro Jacuzzi che poi diverrà anche rettore del Seminario vescovile e vicario generale della Diocesi di Treviso. Il giovane Sarto “vide in essi un modello di prete che si stampò nella sua mente e che rappresentò quasi il tipo ideale cui si attenne, al quale s’ispirò sempre. Difficilmente la loro importanza potrebbe essere esagerata” (Gianpaolo Romanato, Pio X. La vita di papa Sarto, Rusconi, 1992, pag. 27).

Quando si tratta di un’autentica testimonianza di vita che si propone alla libertà delle persone e in particolar modo dei giovani, allora, vediamo realizzarsi in maniera reale e concreta l’efficacia della paternità spirituale.

Proprio il parroco – don Tito Fusarini – viene a sapere che i patriarchi di Venezia avevano diritto a borse di studio per seminaristi poveri e meritevoli; pensò, allora, a quella strada per venire incontro alla difficile situazione economica del chierico Sarto creatasi dopo la morte del papà. In quel tempo era patriarca di Venezia il cardinale Jacopo Monico – originario di Riese – e lo zio del futuro papa, Angelo Sarto, ne era il cameriere personale; attraverso questa via, quindi, per Bepi fu possibile essere accolto come borsista presso il Seminario di Padova e, così, avviare il suo cammino verso il sacerdozio.

Tutto questo ci fa dire quanto fu importante per Giuseppe Sarto la comunità di Riese e la vita di parrocchia con i vari momenti della liturgia e della catechesi e con le figure di riferimento, ad iniziare dal parroco e dal cappellano, ma non solo loro; ci sono sicuramente tanti altri volti a noi ignoti ma capaci di imprimersi nella vita del giovanissimo Bepi.

Un ruolo insostituibile – desidero sottolinearlo, anche pensando al nostro tempo – rimane quello del prete che in parrocchia, con il sostegno della grazia del Signore, esercita un ministero di prossimità che incoraggia, accompagna, fa crescere nei momenti di gioia e di lutto ed aiuta ad intravedere quanto ad uno sguardo superficiale e efficientista sfugge.

Per questo non è fuori posto domandarsi: ma avremmo avuto un santo papa come Pio X senza mamma Margherita? Senza un parroco attento e vicino alla sua gente come don Tito Fusarini e un cappellano come don Pietro Jacuzzi sarebbe maturata la santità sacerdotale di Pio X? E ancora: senza quel paese di Riese – con la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni e le quotidiane relazioni tra i paesani – e senza l’esistenza cristiana vissuta in modo concreto in quella comunità parrocchiale avremmo avuto una guida coraggiosa e ferma per la santa Chiesa di Dio come papa Sarto?

I tempi e i luoghi, oggi, sono profondamente cambiati ed anche la vocazione al sacerdozio ha, spesso, dei passaggi e dei ritmi molto diversi; la vocazione, poi, rimane dono esclusivo di Dio, ricco di misericordia. Non dimentichiamo però che Dio ordinariamente – ovvero quasi sempre – si serve di presenze personali vive e reali e rivolge a noi la sua parola attraverso la voce degli uomini e delle donne che ci pone accanto.

Rimane così decisiva – particolarmente in chiave vocazionale per i bambini e i giovani – la testimonianza e la presenza di un sacerdote, di un diacono, di un religioso o di una religiosa, di una catechista, di quanti svolgono un servizio o partecipano attivamente alla vita di una comunità parrocchiale ed oggi alla vita di una collaborazione pastorale.

Il prete don Giuseppe Sarto – per la gente don Bepi – a Tombolo, dove fu cappellano, e a Salzano, come parroco, si distinse come un comunicatore intelligente, capace d’interessare e suscitare il confronto (si preparava quanto più poteva) e, anche per questo, riusciva a catturare l’attenzione della gente.

Scrisse di lui mons. Antonio Niero: “…tutti erano rimasti ben impressionati innanzi ad un argomentare così sicuro e di idee tanto chiare nella spiegazione del Vangelo! Anche la voce, sonora e pastosa, aveva avuto il suo peso… Ed era piaciuto il tema di quella prima predica (a Salzano), incentrato sul pastore che deve render conto al Signore di ciascuno dei suoi figli. Pressappoco come dirà trent’anni dopo, circa, dal pulpito di San Marco a Venezia, nel dì del suo ingresso, nello splendore della porpora cardinalizia: che sarebbe di me se non vi amassi!” (Mons. Antonio Niero, In parrocchia a Tombolo e Salzano in Pio X. Un Papa e il suo tempo, Edizioni Paoline 1987, pagg. 65-66).

Chiediamo al Signore un po’ della santità e della piena umanità che caratterizzarono san Pio X, un po’ di quello Spirito di sapienza e fortezza che lo animò e lo condusse in tempi difficili, svolgendo autenticamente e con verità, il suo ministero pastorale e divenendo riferimento per l’intera Chiesa.

Con il suo conosciutissimo motto “Instaurare omnia in Christo” volle esprimere la sua scelta totale per Cristo, senza compromessi. Per lui, infatti, Gesù Cristo era l’alfa e l’omega, l’inizio e la fine poiché, proprio in Gesù, il Padre ha ricapitolato l’universo.

Egli, soprattutto, mai volle essere altro se non un “pastore d’anime” – il parroco del mondo – nel senso più alto e nobile del termine; in ogni stagione della vita (come prete, vescovo, cardinale, papa), ebbe a cuore la cura dei fedeli; dovunque fu mandato, fu sempre attento a promuovere la vita di fede della gente che era affidata alle sue cure.

Cari confratelli, cari diaconi, cari consacrati e consacrate, cari fedeli, guardiamo a san Pio X – oggi tra noi nelle sue spoglie umane, fragili ma rivestite di santità – e chiediamo che tutti, ciascuno secondo la propria personale vocazione nella Chiesa e nel mondo, corrisponda al meglio ai doni che ha ricevuto a partire dal Battesimo.

Tutti, pastori e fedeli, possiamo arrivare a vivere come il Signore attende da noi, nella santità, e così “ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra” (Ef 1,10).