Omelia del Patriarca nella S. Messa con i Vescovi della Conferenza Episcopale della Slovacchia e della Conferenza Episcopale Triveneto (Slovacchia, Nitra - Basilica Cattedrale Sant’Emmerano, 1 marzo 2023)
01-03-2023

S. Messa con i Vescovi della Conferenza Episcopale della Slovacchia e della Conferenza Episcopale Triveneto

(Slovacchia, Nitra – Basilica Cattedrale Sant’Emmerano, 1 marzo 2023)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

abbiamo la gioia, come Vescovi provenienti dal Nordest dell’Italia, di vivere la prima settimana di Quaresima immersi nelle realtà delle chiese sorelle che sono in Slovacchia e, in particolare, gioiamo per l’incontro fraterno con i Vescovi della Conferenza Episcopale di questo Paese.

Viviamo tutto ciò con profonda gratitudine, condividendo la celebrazione eucaristica. La liturgia ci ricorda una verità fondamentale, ossia che il tempo ci è dato non solo come kronos – uno scorrere meccanico – ma soprattutto come kairos, tempo e spazio di grazia, che ci è donato per la conversione e per la crescita nostra e delle nostre comunità nel Signore Gesù.

La meta è la Pasqua del Signore e il tempo appena inaugurato – i 40 giorni quaresimali segnati dai forti richiami biblici (i 40 anni del popolo e i 40 giorni di Gesù nel deserto) – ci offre dei giorni di preparazione per celebrare di nuovo, insieme, all’interno del Cammino sinodale della Chiesa universale, l’evento centrale della fede cristiana.

La Quaresima, già nel IV secolo, caratterizza l’anno liturgico; dal VI/VII secolo – per esattezza numerica – verrà fatta iniziare il mercoledì precedente la domenica nel giorno denominato, appunto, Mercoledì delle Ceneri.

Ai nostri giorni, il Concilio Vaticano II ne sottolineerà la dimensione comunitaria: “La penitenza del tempo quaresimale non deve essere soltanto interna ed individuale, ma anche esterna e sociale” (SC 110); il Concilio, qui, riprende il pensiero di papa san Leone Magno che la presenta come il grande ritiro comunitario della Chiesa, ossia “quadraginta dierum exercitatio”.

Vogliamo, allora, raccogliere l’invito del Santo Padre Francesco che, nel suo messaggio scrive: “…lo Spirito Santo ci animi in questa Quaresima nell’ascesa con Gesù, per fare esperienza del suo splendore divino e così, rafforzati nella fede, proseguire insieme il cammino con Lui, gloria del suo popolo e luce delle genti”.

Le letture di oggi mettono al centro la figura di Giona. Il testo biblico non è un libro di storia e – a differenza degli altri profeti – non raccoglie profezie, discorsi o visioni; siamo semplicemente dinanzi ad un racconto didattico, ad una “novella”, che ha per protagonista il profeta Giona.

Qui emerge Dio e la sua misericordia e, nello stesso tempo, appare tutta l’inadeguatezza di chi è chiamato ad annunciare e portare ad altri il messaggio della divina misericordia.

Dio ha a cuore la conversione degli uomini ma qui si manifesta, in modo chiaro, che il primo a cui Dio chiede la conversione è lo stesso Giona, chiamato ad annunciare la riconciliazione tra Dio e gli uomini e tra gli uomini. Proprio chi è mandato ad altri deve, per primo, convertirsi altrimenti, nella sua persona, rischia di vanificare l’annuncio.

La conversione è richiesta a colui che annuncia la misericordia e che così diventa capace di confessare la misericordia di Dio – pensiamo al sacramento della penitenza – solo chi vive tale sacramento nella sua vita fa esperienza di misericordia e può annunciarla e celebrarla in modo degno.

Nel libro di Giona (cfr. Gio 3,1-10) si parla di un decreto, di un bando pubblico e si racconta che tutta la città – animali compresi! – è chiamata alla preghiera, al digiuno, alla penitenza e alla conversione. È importante che il tempo di Quaresima conservi e manifesti questa dimensione comunitaria in modo vivo e partecipato; c’è una comunità di persone (non si parla solo di singoli) che ritorna a Dio e fa penitenza.

Nel Vangelo (Lc 11,29-32) Gesù sottolinea che “questa generazione cerca un segno”. Sì, chiede un “segno” perché i “segni” coinvolgono e scuotono le persone. Ma Gesù rifiuta di dare un segno a chi ne fa richiesta al di fuori del desiderio autentico d’entrare in rapporto col mistero della salvezza.

Torna alla mente il passo dell’evangelista Giovanni in cui Gesù, sulle rive del mare di Tiberiade, dice alla folla che è venuta a cercarlo: “…voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà” (Gv 6,26-27).

È il Signore a scegliere quali segni dare e quando darli e, per questo, è essenziale aprirsi alle “sorprese” di Dio. Bisogna essere pronti e andare oltre le proprie “comprensioni” e i propri desideri mettendo da parte atteggiamenti ancora troppo umani ed evitando di ripiegarsi su di sé, non aprendosi a Dio.

Il “segno” che ci dà Dio è, per eccellenza, la morte e risurrezione di Suo Figlio, il chicco di grano che muore per produrre frutto; un “segno” che è dato non a misura della nostra situazione e neanche delle nostre piccole domande che sempre chiedono di lasciarsi condurre dal Signore.

Così potremo prepararci, purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua ed attingeremo dai divini misteri della redenzione la pienezza della vita nuova in Cristo, nostro unico Salvatore (cfr. Prefazio Quaresima I).