S. Messa con gli imprenditori di Confindustria Venezia e Rovigo
(Venezia – Basilica San Marco, 4 luglio 2019)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Signor Presidente,
Signori Consiglieri,
Signor Direttore Generale,
la celebrazione eucaristica odierna è diventata, ormai, una piccola ma significativa tradizione che segna un momento importante, quello che con un termine marinaro – qui a Venezia molto appropriato – indica il “giro di boa” di metà anno.
È l’occasione per un primo, anche se parziale, bilancio che è in parte consuntivo e in parte preventivo. Mi riferisco non tanto alle stime aziendali ma a quelle umane e spirituali, perché ci troviamo intorno all’altare e l’imprenditore e l’imprenditrice rimangono sempre persone che non vivono solo di numeri, di coefficienti, di stime o di correzioni di strategie aziendali.
L’imprenditore e l’imprenditrice sono innanzitutto uomini e donne e, quindi, persone chiamate anche – e proprio per il loro tipo di professione -a trovare un equilibrio e una ben calibrata stabilità psicologica e spirituale che risulta decisiva nelle quotidiane e incalzanti, piccole o grandi, decisioni che sono chiamati a prendere.
La realtà non è sempre quella che ci si attende e le contingenze sono fluttuanti, talvolta imprevedibili; agire comunque è necessario. E tutto questo non è facile quando alla decisione sono legati anche destini di persone e famiglie.
È importante, quindi, trovare un riferimento ed un equilibrio che fondino la persona su criteri che sappiano andare oltre l’ambito lavorativo e professionale, proprio per sostenerlo e potendolo “giudicare” dall’esterno.
Essere timonieri della barca su ci si sta navigando vuol dire non essere un tutt’uno con essa o una sua appendice, ma piuttosto servirsi di essa come di uno strumento. Chi è al timone è un microcosmo intelligente e responsabile, di 70/80 chili di peso chiamato a governare migliaia e migliaia di tonnellate; bisogna guidare, non lasciarsi guidare.
È importante amare il proprio lavoro, è essenziale essere competenti e possiamo dire anche che essere imprenditori richiede una mentalità particolare, un carattere che non tutti hanno: si richiede, infatti, un “genio” manageriale. Ma l’importante è che l’imprenditore sia capace soprattutto d’essere buon manager di se stesso, intendo dire della propria umanità.
Quello che si vuol dire è che bisogna avere la capacità di dominarsi, nel senso migliore del termine, di sapersi mettere sanamente in questione, di conoscere i propri limiti, di interpretare con autorevolezza e umiltà vera il proprio ruolo conoscendo anche i limiti di un sistema ed inquadrando poi ogni particolare all’interno di un tutto che si chiama “vita umana”.
La vita umana – la nostra e quella degli altri – è sempre qualcosa che va al di là dell’intelligenza, delle doti, delle energie, dei risultati conseguiti; la vita è qualcosa di più di tutti gli addendi che la compongono.
Tale convinzione ci dà umanità, facendoci crescere come persone che hanno responsabilità e doveri nei confronti di altri uomini e altre donne, di famiglie, di un territorio.
In questa prospettiva e al di fuori della facile retorica e di ogni forma di spiritualismo – lo spiritualismo è la perversione della spiritualità -, comprendiamo più che mai che essere imprenditore, in questa prospettiva a 360°, vuol dire rispondere ed incarnare ogni giorno una “vocazione”.
Certamente c’è anche chi riduce la professione dell’imprenditore solo ad utile e guadagno personale; qui, lo sottolineo, non s’intende demonizzare e neppure deprimere il guadagno che, per molti imprenditori, non vuol dire darsi alla bella vita ma investire, risanare e far crescere la propria attività.
Ricordo che la Costituzione italiana all’articolo 1 recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. E all’articolo 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”.
È chiaro che, alla luce di questi articoli della Costituzione che promuovono il lavoro, quanti creano lavoro e coloro che si adoperano affinché la propria attività abbia rilevanza positiva e benefica ricaduta sociale e sul territorio debbano essere riconosciuti in questa loro opera che riveste un’importanza che appartiene al profilo che una comunità politica, economica e sociale assume di fronte a sé, agli altri stati e alle istituzioni internazionali.
Ora voi che siete associati a Confindustria – e rappresentate nel nostro territorio la principale organizzazione che raccoglie, su base volontaria, imprese manifatturiere e di servizi, raggruppando a livello nazionale oltre 150.000 imprese – siete, quindi, una grande forza economica, culturale e anche “politica” (almeno nel senso greco della parola); sappiate, dunque, sempre “pensarvi” ed anche “proporvi” come portatori dei valori della persona, della famiglia e della società.
Vi affido perciò due passaggi del messaggio che Papa Francesco ha indirizzato ai partecipanti alla 108.ma Sessione dell’International Labour Conference, svoltasi a Ginevra lo scorso mese di giugno.
Nel primo passo Francesco cita San Giovanni Paolo II, il Papa che ha scritto moltissimo sul lavoro e sulla questione sociale (ricordo qui: la Laborem exercens, la Sollicitudo rei socialis, la Centesimus annus).
Ecco il primo pensiero che vi consegno: “Oltre a essere essenziale per la realizzazione della persona, il lavoro è anche fondamentale per lo sviluppo sociale. Il mio predecessore san Giovanni Paolo II – afferma Papa Francesco – lo ha espresso molto bene quando ha spiegato che «lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri»; e come suo frutto, il lavoro offre «occasione di scambi, di relazioni e d’incontro»”.
In un altro passo ci ricorda poi che tutti siamo custodi della terra che, per il cristiano, non è solo un pianeta o un ecosistema fragilissimo e neanche solo un insieme di diversissime biodiversità ma è creazione di Dio, per usare un’espressione francescana a noi tutti cara – tratta dal Cantico delle Creature – è “sorella e madre Terra, la quale ci sostiene e ci nutre, e produce diversi frutti con fiori colorati ed erba”.
Ed ecco il secondo passo del sopracitato discorso di papa Francesco che desidero sottoporre alla vostra attenzione: “«La terra è essenzialmente una eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti» ed «essere partecipati equamente a tutti». Tale aspetto assume una particolare importanza in relazione al possesso della terra, tanto nelle aree rurali quanto in quelle urbane, e al processo legale per garantire l’accesso ad essa. A questo proposito, il criterio di giustizia per eccellenza è l’applicazione del principio della «destinazione universale dei beni» della terra, dove «il diritto universale al loro uso» è il «primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale»”.
A tutti l’augurio di un lavoro sereno e proficuo per voi e per la nostra amata Italia.