Omelia del Patriarca nella S. Messa celebrata a Nyahururu / Kenya (25 luglio 2022)
25-07-2022

S. Messa a Nyahururu / Kenya (25 luglio 2022)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Saluto innanzitutto S. E. il Vescovo Joseph, il Vescovo emerito Luigi, voi confratelli nel sacerdozio e tutti coloro partecipano a questa Eucaristia nel giorno della festa di san Giacomo Apostolo.

Per me è davvero una grande gioia concludere i giorni della mia visita alla parrocchia di S. Marco Evangelista di Ol Moran, così strettamente e da tempo legata al Patriarcato di Venezia, con questa celebrazione insieme a tutti voi.

L’Eucaristia, come sapete bene, è il momento in cui la Chiesa realizza la sua maggiore “visibilità”, si riconosce come Chiesa del Crocifisso Risorto e vive l’esperienza più ricca e più grande; è, infatti, il momento della croce e della risurrezione del Signore Gesù.

Croce e risurrezione: è l’annuncio pasquale (nella sua interezza), è il cuore e il centro della nostra fede, è il kerygma che sostiene e da cui proviene ogni altra affermazione cristiana ed ecclesiale.

Ricordiamo oggi la figura dell’Apostolo Giacomo, così cara alla tradizione cristiana, e il Vangelo che è stato appena proclamato (Mt 20, 20-28) ci fa capire come anche i discepoli più vicini a Gesù abbiano dovuto fare un cammino di conversione.

La madre dei figli di Zebedeo e loro stessi, i due fratelli, mostrano infatti all’inizio di questo racconto evangelico un atteggiamento di autoreferenzialità, ossia affermano soprattutto se stessi e, quindi, vogliono e chiedono il primo posto.

Gesù, però, li indirizza chiaramente ad una necessaria conversione e sappiamo che questo invito troverà un terreno fecondo nella vita e nell’intera vicenda umana dei due apostoli. Questo appare evidente soprattutto in Giacomo che sarà il primo – tra gli apostoli – a coronare la sua appartenenza piena al Signore, la sua testimonianza e la sua opera di evangelizzazione con il martirio.

La festa di san Giacomo ci dice anche che, pur all’interno della stessa chiamata apostolica, ci sono diversità e specificità di vocazioni. Giacomo, Giovanni, Pietro sono coloro che partecipano più da vicino ad alcuni momenti e gesti “essenziali” con i quali il Signore Gesù ha voluto istruire i suoi discepoli e futuri apostoli.

Solo loro – Giacomo, Giovanni e Pietro – sono presenti quando Gesù ridona la vita e risuscita la figlia di Giairo (Mc 5,21-43); solo loro sono presenti alla trasfigurazione (Mc 9,1-8), preannuncio della Pasqua e conforto in vista della Passione; solo loro sono presenti al dramma della sofferenza dell’orazione di Gesù nell’orto degli Ulivi (Mc 14,32-42).

Siamo chiamati tutti a vivere il sacerdozio comune battesimale, alcuni (parecchi tra noi qui presenti) sono chiamati a vivere il sacerdozio ministeriale nel presbiterato, altri ancora alla pienezza del sacerdozio nel grado episcopale, ma – al di là della singola e specifica chiamata – ciò che è importante è la speciale storia personale che ciascuno di noi ha con il Signore Gesù.

L’Apostolo Giacomo è stato chiamato ad una testimonianza e ad una vicinanza particolarissima. La vera vicinanza con il Signore, però, non è data mai da una vicinanza fisica o dal “sogno” (o desiderio) di occupare un posto migliore rispetto agli altri; la vera vicinanza è condividere con Lui la sua stessa realtà, la sua stessa vita. Anche con il sacrificio più grande, se richiesto e necessario, come avverrà per Giacomo che sarà, appunto, il primo a seguire Gesù fino al dono della vita per Lui.

I santi ci parlano sempre, parlano anche dopo la loro morte e, quindi, oltre il loro passaggio terreno in mezzo a noi. Sappiamo tutti, infatti, che i resti mortali di Giacomo, trasportato in Galizia (Spagna), ha generato un luogo che ancora oggi – come tanti santuari mariani o centri di spiritualità – è diventato meta di pellegrinaggi molto frequentata e a cui giunge la gente più varia e proveniente da ogni parte del mondo.

In una società secolarizzata come quella in cui viviamo e che, per molti versi, non ammette o non vuole più avere un rapporto con Dio, il santuario di Santiago de Compostela rimane un punto di riferimento per molte migliaia di persone, soprattutto giovani, che ogni anno si mettono in cammino per andare a riscoprire qualcosa che potrà riconsegnare loro un’umanità riconciliata e rappacificata perché, finalmente, convertita in Cristo.

Questo della santità è il grande messaggio che tutti noi, come Chiesa del Signore, dobbiamo cercare di rendere vivo e visibile anche attraverso la nostra personale santità.

Saluto di nuovo e ringrazio tutti voi per l’accoglienza, in particolare il Vescovo Joseph e il Vescovo emerito Luigi, i confratelli nel sacerdozio, i consacrati e le consacrate, tutti i fedeli laici della Diocesi di Nyahururu, una Chiesa che – seppur lontana molte migliaia di chilometri – da Venezia sentiamo sempre molto vicina.

Dio ci benedica tutti e ci accompagni sempre attraverso la guida, l’esempio e l’intercessione di san Giacomo Apostolo.