S. Messa nello stabilimento Pilkington Italia
(Porto Marghera, 15 dicembre 2017)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
È per me tradizione celebrare, nell’imminenza del Natale, in una fabbrica. In questi anni sono stato, tra l’altro, al Petrolchimico, alla raffineria dell’Eni, alla Cereal Docks e alla Mecnafer. Oggi sono qui con voi e ringrazio dell’invito.
È per me molto significativo celebrare almeno una Messa, a turno, in un luogo significativo di lavoro della nostra Diocesi ed essere in questo spazio dove voi lavorate, vi realizzate e vi confrontate con una realtà difficile quale è il luogo di lavoro, un posto dove non tutto va come si vorrebbe… Eppure proprio qui compiamo quel gesto che per il cristiano è il fondamento di tutto, quel gesto che Gesù ha compiuto nell’ultima cena e che ci da – vi dà – un motivo in più per vivere la realtà bella, difficile, contraddittoria e significativa del mondo del lavoro.
Il lavoro – dobbiamo ricordarcelo e ricordarlo anche a chi ha in mano le nostre sorti – non è una ricchezza perché produce; è anche una ricchezza perché produce ma noi sappiamo che la Costituzione italiana inizia dicendo “La Repubblica italiana è fondata sul lavoro”.
La vera ricchezza del popolo italiano è, quindi, il lavoro e allora dovremmo fare un passo ulteriore; vuol dire che la vera ricchezza del popolo italiano sono i lavoratori, coloro che lavorano! Per questo, certe volte, rimaniamo un po’ perplessi per come viene trattato il mondo del lavoro e, innanzitutto, per come vengono trattati i lavoratori.
Il lavoro disegna intorno alle nostre persone un triplice cerchio e il primo riguarda la dignità personale. Si parla molto di flessibilità ma, molte volte, questa flessibilità si legge come precarietà e ciò non va bene perché mi rende impossibile il vivere, non mi permette di programmare la mia vita, di pensarmi come uomo.
Ma poi c’è un altro cerchio che è quello della vita familiare. Una famiglia dipende dal lavoro, dal lavoro del papà e della mamma, dei capifamiglia. E c’è, infine, anche una relazione sociale che il lavoro disegna intorno a noi.
In un periodo in cui si vive nella società definita “liquida” – una società in cui conta il momento presente e in cui l’io ha il sopravvento sulla solidarietà – siamo chiamati (e chi appartiene alla storia del mondo del lavoro lo capisce meglio degli altri) a solidarietà. Quest’anno celebriamo il centenario di Marghera, che dice molto del lavoro nel nostro territorio, e allora noi ci sentiamo davvero sulle spalle dei nostri genitori, dei nostri nonni, di chi ha lavorato qui prima di noi…
Non so se avete avuto occasione di leggere almeno qualche articolo sul rapporto del Censis di quest’anno… Vi è scritta una cosa che ci preoccupa: il Censis cerca di fotografare l’Italia dal punto di vista economico e sociale e cerca di darne anche una cifra interpretativa e sapete qual è la parola che più interpreta la situazione italiana in questo anno? È la parola “rancore”, un rancore sociale. Ed è l’Italia che non abbiamo fotografato io o voi, non un partito politico od un sindacato – potrebbero essere visioni di parte -, ma questo istituto di ricerca sociale ed economica.
Per la prima volta poi, dalla fine della seconda guerra mondiale si è interrotta quella “regola” generazionale che faceva sì che i figli ed i nipoti sarebbero stati meglio dei genitori e dei nonni. E dobbiamo legare questa situazione anche all’interno della grande rivoluzione del lavoro; oggi si parla della quarta rivoluzione del lavoro.
Il lavoro dipende sempre dalla scienza applicata alla tecnica che produce strumenti per cui il lavoro può prendere una forma o un’altra; la prima rivoluzione industriale è legata alla scoperta del vapore, la seconda a quella dell’elettricità e alla catena di montaggio (con tutto quello che comportava), la terza rivoluzione è legata ai computer e adesso parliamo di quarta rivoluzione, cioè la cibernetica. E si stanno delineando degli scenari che ci dovranno far capire che la persona deve essere veramente il riferimento di tutto, altrimenti il mercato cambierà, profondamente, almeno alcune parti del mondo del lavoro e a pagare saranno i più deboli.
Il lavoro è una ricchezza, non solo una ricchezza economica; è una ricchezza della persona, una ricchezza della società. Il lavoro deve essere difeso e capito a partire dalla dignità della persona, dei lavoratori, e noi dobbiamo essere portatori consapevoli di questa dignità.
Rivolgo gli auguri di Natale a tutti voi ed alle vostre famiglie. Li faccio soprattutto a chi ha la fortuna di avere dei bambini che sono sempre una spinta verso il futuro, un futuro rilanciato continuamente dalle esigenze dei bambini che crescono, che vogliono crescere e che ci tengono giovani. Io ho otto nipotini e vedo quanto è importante interagire con loro.
Il Natale non è una favola e, anzi, uno dei drammi più grandi è che – ormai cresciuti – pensiamo che il Natale sia una bella fiaba. Il Natale, se preso sul serio, ha la capacità di cambiarmi. Il Natale è un po’ come arrivare ad una stazione dove ci sono due treni; su entrambi c’è scritto “Natale” ma uno è il Natale del consumismo e degli spot pubblicitari… Non li possiamo escludere dalla nostra vita – perché il Natale è anche un momento di festa – ma il dramma è quando il Natale diventa solo un’occasione per spendere e, allora, anche il regalo perde il suo significato vero. Io ai miei fratelli, per i nipoti, dico: pochi regali e che siano desiderati altrimenti, se diamo troppi regali e che non sono neppure desiderati, noi amiamo nel modo sbagliato.
Sull’altro treno, invece, c’è scritto: “Il Natale di Betlemme”. Che è una realtà difficile – altro che favola! – e che io, voi, tutti fatichiamo tanto a prendere sul serio e ad accettare che cambi la nostra vita.
A tutti rinnovo allora l’augurio di un santo e sereno Natale, soprattutto pensando che in ogni famiglia ci sono luci ed ombre, gioie e dolori, ci sono progetti e delusioni e chi vuol bene ad una persona soffre di più quando vede non realizzata o affaticata o ferita quella persona e soffre di più rispetto a quando fatica, soffre ed è ferita personalmente.
E vi assicuro che vi ricorderò, uno ad uno, nella Messa di mezzanotte a San Marco. Buon Natale a tutti!