S. Messa in occasione dell’incontro dei diaconi permanenti della Regione Ecclesiastica del Triveneto
(Opera della Provvidenza S. Antonio/Sarmeola di Rubano, 8 ottobre 2016)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Ai confratelli nell’episcopato, ai delegati e ai responsabili del diaconato permanente delle Chiese della Regione Ecclesiastica Triveneta, rivolgo il più cordiale saluto.
Ai nostri carissimi diaconi va la riconoscenza dei Vescovi per il prezioso ministero che svolgono nelle nostre Chiese; il saluto e il ringraziamento, poi, si estende alle loro spose che partecipano al servizio.
Questo incontro, di cui ringrazio il Signore, avviene nel giorno in cui la Chiesa di Padova della quale siamo ospiti celebra la memoria liturgica della Beata Vergine Maria del Rosario. Chiediamo quindi a Lei, Madre della Divina Misericordia, che ci aiuti a vivere l’unità del ministero ordinato secondo il grado specifico di appartenenza: episcopato, presbiterato, diaconato.
Al vescovo Claudio, pastore di questa Chiesa, il grazie per l’accoglienza.
Desidero oggi riflettere con voi su alcuni spunti relativi al ministero del diaconato. Il diacono – come voi sapete – non è costituito per una sua decisione o, ancor più, per una voglia di primeggiare nella comunità ma per il bene della Chiesa; è un “mandato”, inviato dal Vescovo là dove la Chiesa ha bisogno. È così che il diaconato arricchisce la Chiesa proprio attraverso il ministero inteso come servizio.
Tale disponibilità è un primo riscontro della verità di una vocazione e di un ministero realmente in atto; l’accento qui cade sull’avverbio “realmente”.
Come primo grado del sacramento dell’ordine, il diaconato attesta che nella Chiesa il servizio non è solo qualcosa che appartiene alla sfera ascetico-spirituale della persona ma alla stessa istituzione-Chiesa; così il primo grado della gerarchia ecclesiale, appunto il diaconato, si caratterizza tout court come servizio. Ovviamente presbiterato ed episcopato – all’interno della loro diversa specificità sacerdotale – mantengono tale caratteristica che, però, è già data nel primo grado dell’ordine; il modello è sempre Gesù, il Figlio dell’Uomo che “non è venuto per farsi servire, ma per servire” (Mc 10,45).
Qui abbiamo la specificità del diacono, che chiede d’esser salvaguardata e mai confusa con quella sacerdotale o laicale. Il diacono, infatti, non è un “super-laico” o un “quasi-prete”; guardiamoci da queste derive spirituali, pastorali e teologiche. Al contrario il diacono è “diacono”, ossia colui che – nella Chiesa – ricorda il servizio come realtà che appartiene all’istituzione e che, anche sul piano ascetico-spirituale, esprime tale realtà ecclesiale.
In quanto diaconi siete, in tal modo, chiamati a esprimere la vostra identità che è essenziale per la Chiesa, popolo di Dio, corpo di Cristo, suo sacramento. E le vostre spose sono chiamate a svolgere – come bene attesta il rito d’ordinazione – un compito che accompagna e, in certi momenti, integra il vostro ministero.
Voi diaconi sposati siete, in tal modo, chiamati a vivere i sacramenti del matrimonio e dell’ordine e così a servire la Chiesa. Diventate annunciatori della Divina Misericordia e, ogni giorno, vivete questa duplice realtà sacramentale che specifica ulteriormente la vostra identità battesimale.
Carissimi diaconi, siete i preziosi collaboratori dell’ordine episcopale e la vostra vocazione si comprende solo a partire dal sacramento che siete chiamati ad esercitare nella Chiesa e nel mondo.
E’ essenziale ribadire come tutto abbia inizio dal sacramento e si compia attraverso il sacramento; come diaconi, infatti, siete identificati dal sacramento che vi costituisce e vi plasma a partire dall’intimo. Il sacramento nella sua realtà obiettiva – l’ex opere operato – si confronta sempre però con la realtà personale ed ecclesiale.
La carità pastorale del diacono, le parole e gli atti del suo ministero esprimono il dono che ha ricevuto al momento dell’ordinazione, conferita una volta per sempre; tale dono lo abilita a fare ciò che da solo, con le sole sue forze, non sarebbe in grado di fare.
Il Vangelo secondo Giovanni è chiaro: “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 4-5).
Sì, senza di Lui non si può far nulla; il cristiano, già nel battesimo, appartiene a Cristo e senza di Lui non può far nulla proprio in quelle realtà che gli sono più necessarie per la salvezza.
Il ministero diaconale non svolge una funzione di pura solidarietà o sostegno umano, ma dona qualcosa che sgorga dall’altare e all’altare ritorna. Egli,infatti, porta in sé, in modo sacramentale, Gesù-servo e il suo ministero non è, quindi, riconducibile a un servizio qualsiasi prestato, ad esempio, nell’ambito del volontariato. Siamo su piani differenti, anche se l’azione sacramentale trova comunque riscontro ed ha ricaduta sul piano umano. Comunque, l’agire del diacono esprime la presenza e l’azione di Cristo-servo e sempre si riferisce a Lui.
Un esempio ci può aiutare a capire. Quando Paolo scrive la sua lettera-biglietto a Filèmone non intende affrontare la questione della schiavitù in termini sociali, politici o giuridici, ma intende porre le premesse che portino a una maturazione del pensiero a livello sociale, politico e giuridico e così superare la realtà della schiavitù. Certo, Paolo è contro la schiavitù e lo mostra con tutta la sua predicazione e, nella lettera ai Galati, lo afferma in modo esplicito: “Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù“ (Gal 3, 26-28).
Ma, a Filemone, Paolo vuol indicare una strada differente che non è quella socio-politica e giuridica; viene prima e che si radica nel cuore dell’uomo. L’Apostolo guarda ciò che precede la realtà sociale, politica, giuridica e che realmente permette di superare la schiavitù anche dal punto di vista sociale, politico, giuridico.
Così, mentre è in carcere, scrive a Filemone in questi termini: “…pur avendo in Cristo piena libertà di ordinarti ciò che è opportuno, in nome della carità piuttosto ti esorto… Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene… Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore… Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo…” (Fm 8-10; 12.14;15-16).
Ritornando al nostro tema, certamente, il diacono si impegna anche a mettere in pratica la giustizia sociale ma la sua azione prima di tutto si muove su un altro livello, quello della carità, che ovviamente non dimentica l’ambito socio-politico ma lo sa precedere, con l’azione ministeriale che mira, prima di tutto e in modo specifico, al rinnovamento del cuore; questa è la novità della rivoluzione cristiana, che la differenzia da tutte le altre rivoluzioni in cui si guarda ai nemici esterni e alle strutture.
Voi diaconi siete presenze vive, chiamate a vivificare la Chiesa. Il mandato conferito dai Dodici a Stefano, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola (cfr. At 6,5-6) viene considerato l’inizio del ministero diaconale. L’apostolo Paolo, poi, menziona i diaconi con i vescovi e presbiteri (cfr. Fil 1,1).
Il Direttorio per il Ministero e la Vita dei Diaconi permanenti attesta, infine, che questa struttura gerarchico-ministeriale nella Chiesa riconduce alle origini e lo stesso direttorio ci ricorda la bella testimonianza di Ignazio di Antiochia (107 d.C.) che afferma, tra l’altro, come una Chiesa particolare senza vescovo, senza presbiteri e senza diaconi sia impensabile. La testimonianza ecclesiale – che parla del ministero del diacono – ritorna poi nella lettera alla Chiesa di Filadelfia, di Smirne e di Magnesia, Chiese che Ignazio incontra nel suo viaggio verso il martirio.
Le parole di Ignazio sono chiare: “…il ministero di Gesù Cristo, il quale prima dei secoli era presso il Padre ed è apparso alla fine dei tempi – poi aggiunge – … Non sono, infatti, i diaconi per cibi o bevande, ma ministri della Chiesa di Dio…” (Lettera alla Chiesa di Filadelfia, 4; Lettera alla Chiesa di Smirne, 12,2; Lettera alla Chiesa di Magnesia, 6,1).
Dopo il lento ma inesorabile declino nel V secolo, e nonostante il Concilio di Trento ne avesse decretato il ripristino, si dovette attendere il Concilio Vaticano II per vedere effettivamente ripristinato il ministero del diaconato.
Chiediamo, ora, alla Vergine del Santo Rosario – meditando i misteri della vita di suo Figlio – che tutti i ministri ordinati, e in particolare i diaconi, diventino simili a Gesù “venuto per servire” (cfr. Mc 10,45).
Nel Vangelo secondo Giovanni il dialogo al Calvario fra Gesù, la Madre e il discepolo che Gesù amava e il successivo dialogo sulle rive del Lago di Tiberiade, tra Gesù e Pietro, rimarcano come Maria – nella sua persona – è l’espressione completa del mistero ecclesiale, mentre Pietro – nella sua persona – è colui che detiene in sommo grado il ministero ordinato.
Questi due momenti e dialoghi, al Calvario e sulle sponde del lago di Tiberiade, ci dicono che prima d’esercitare il ministero ordinato nella Chiesa (Pietro) è necessario entrare a far parte del mistero della Chiesa (Maria).
Solo dopo aver compreso, e quindi esser entrati nel “mistero della Chiesa”, si può pensare di esercitare il “ministero ordinato”, all’interno di tale mistero, senza mai presumere di far coincidere noi e il nostro ministero col tutto del mistero e rimanendo sempre in comunione con la Chiesa, al suo interno, come umili servitori della vigna del Signore, partecipi di quella “inutilità” che, nella grazia, ci rende necessari.
Carissimi diaconi, le Chiese del Triveneto – nella imminente funzione di “chiusura” delle Porte Sante, attraverso i loro Vescovi – si affideranno alla Divina Misericordia. E così anche voi siete chiamati a un cammino di conversione e purificazione; un cammino particolarmente necessario per chi, come voi, è chiamato a servire la Chiesa e vuole riscoprire e vivere nell’umiltà del “sì” di Maria di Nazareth, il suo esserne parte viva e grata.
Le vostre spose – collaboratrici del vostro ministero – vi accompagnino lungo la strada del servizio ecclesiale e così possiate recepire il bene del matrimonio e dell’ordine nel grado del diaconato che esercitate nelle nostre Chiese particolari, là dove si rende presente l’unica Chiesa universale.
Sì, nelle prossime celebrazioni – con cui chiuderemo nelle nostre Diocesi l’Anno Giubilare – il gesto semplice, ma ricco di significato, con cui i Vescovi affideranno le nostre Chiese e le genti del Nordest alla Divina Misericordia, per le mani materne di Maria, vi veda presenti e capaci di testimoniare una fede gioiosa insieme a quanti beneficiano del vostro ministero. E, fin d’ora, affidiamo voi e le vostre famiglie alla Divina Misericordia.