Omelia del Patriarca nella S. Messa al Padiglione Anthares del Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia (Porto Marghera, 20 dicembre 2017)
20-12-2017

S. Messa al Padiglione Anthares del Parco Scientifico e Tecnologico di Venezia (Porto Marghera, 20 dicembre 2017)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

È con un sentimento di grande rispetto che noi stiamo in questo luogo e in questo ambiente che – anche attraverso la mostra qui allestita con oggetti, pannelli, volti, suoni ed immagini – ci fa ripercorrere un periodo importante e ci fa comprendere come l’uomo, qui, ha cercato di organizzare il lavoro.

Dove ci sono insediamenti umani, c’è la necessità di garantirsi la vita, la sicurezza e il lavoro è quella attività  umana che permette il crescere, il progredire di una comunità. Marghera è una tappa del lavoro di questo territorio.

Noi sappiamo che nel Medioevo la Serenissima Repubblica mandò le fabbriche, soprattutto le vetrerie, a Murano per evitare il rischio di incendi. E poi sappiamo che gli opifici si diffusero nelle isole, soprattutto nella zona della Giudecca… Cento anni fa fu individuata quest’area che, crescendo e dando lavoro, è diventata significativa e trainante su questo territorio, per questo territorio, in questo territorio.

Come è stato detto bene all’inizio, si tratta di una storia di ferite, di successi e di crescita, anche nel cercare le giuste tutele del lavoro e, soprattutto, dei lavoratori. Questo ha comportato anche inevitabili sconfitte ma proprio quelle sconfitte e quelle sofferenze aiutarono a crescere nella consapevolezza, nella coscienza e nel rispetto verso chi è il vero attore del lavoro cioè l’uomo, i lavoratori.

Certamente Marghera ebbe, quindi, nel 1954 uno snodo importante quando la scienza e la tecnica fecero fare un salto in avanti alla chimica e alle sue produzioni fino a circa cinquant’anni fa, quando si raggiunse l’apice; poi venne il momento del declino.

Questa memoria, questa storia, questo ricordare appartengono all’uomo. Sant’Agostino, in una delle sue riflessioni più profonde sul tempo, diceva: “Se tu mi chiedi che cos’è il tempo, non ti so rispondere, se non me lo chiedi lo so…”.

Noi siamo fatti di presente ed è un istante che non riusciamo a cogliere. Siamo fatti di memoria, siamo fatti di speranza. E questa mostra, questo fare il punto dopo cento anni di storia del lavoro qui a Marghera, ci aiuta a recuperare la dimensione antropologica del lavoro.

Il lavoro è attività prettamente umana, appartiene agli uomini ed è sempre perfezionabile; dipende profondamente dalla scienza del momento al punto che alla prima, seconda e terza rivoluzione industriale segue l’attuale, la quarta rivoluzione, nella quale si aprono degli scenari di una ricchezza, di una profondità ed anche di una pericolosità inaudita, in particolare per ciò che riguarda il tema – da non sottovalutare – dell’occupazione.

Questa quarta rivoluzione industriale chiede una cosa che tale mostra (e la preoccupazione che vi sta dietro) mette bene in evidenza: la storia del lavoro umano mette al centro le persone. Colpisce vedere la doccia di emergenza e sicurezza che sta all’inizio (o alla fine) della mostra, a seconda da dove la si incontra. Dice una preoccupazione che dovrà essere elevata a criterio della quarta rivoluzione del lavoro: l’uomo, la persona con le sue esigenze, con le sue capacità, le sue necessità e le sue tutele che non sono mai abbastanza, perché Marghera è stata anche una storia di tributo umano  alla produzione, al lavoro.

C’è stato, poi, anche il capitolo dolorosissimo degli “anni di piombo” in cui si è cercato di colpire una realtà che era significativa e trainante, che caratterizzava e sosteneva il territorio, Marghera, le aziende, i lavoratori…

Marghera diventa veramente una cifra che ci aiuta ad interpretare con saggezza il presente e il futuro; chi non ha memoria non ha futuro. Aver voluto fermare nella memoria tutto ciò – attraverso questi spazi e l’allestimento di questa mostra – dice che vogliamo avere un futuro, un futuro che faccia tesoro di un passato, che non lo rinneghi ma aiuti a vivere meglio il nostro presente ed il nostro futuro.

Tutto questo noi lo dobbiamo a tutti i lavoratori di Marghera; lo dobbiamo a chi ha passato decenni della sua vita in questo reticolo di vie e di canali, con la bicicletta individuata come realtà che identificava il lavoro in questo territorio.

Ricordiamo tutti coloro che qui hanno lavorato, che qui hanno vissuto, che qui hanno sofferto e potuto anche realizzare qualcosa – nella loro vita personale e familiare – attraverso il lavoro che qui, lentamente, ha cercato di crescere e di maturare con le sue fatiche, con le sue luci e con le sue ombre, con il suo desiderio di crescere a favore di un’umanità sempre più capace di incontrarsi.