Omelia del Patriarca nella S. Messa al Cimitero di Mestre per la solennità di Ognissanti (1 novembre 2015)
01-11-2015

Solennità di Ognissanti – S. Messa al Cimitero di Mestre (1 novembre 2015)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

 

 

 

 

In questa giornata ricordiamo i fedeli santi. Siamo chiamati tutti a questa vocazione, perché nel piano di Dio è abbastanza secondario quello che facciamo ma è fondamentale come lo facciamo. In Paradiso saremo tutti uguali ma profondamente diversi; ci sarà una gerarchia, ma l’unica gerarchia che rimane sarà la santità.

Quando usciremo da questa vita, insomma, non ci verrà chiesto tanto che cosa abbiamo fatto, perché tante cose dipendono da noi ma tante altre non dipendono da noi… A ciascuno di noi verrà chiesto: come hai fatto quella cosa? E allora anche la cosa umanamente parlando – e secondo il giudizio degli uomini – più semplice, più umile, più secondaria, se è fatta con molto amore, vale più del gesto dell’uomo più importante di questa terra.

La fede cristiana, poi, realizza la vera democrazia; uno non entrerà nella vita eterna a partire dal posto che ha occupato nella società civile o nella Chiesa, ma entrerà nella vita eterna secondo il modo in cui ha risposto alla carità in quel posto in cui la Provvidenza e le situazioni lo hanno collocato nella sua vita.

Ci può essere, quindi, una vita anche molto breve – quante vite stroncate sul nascere! – di fronte alla quale, per noi uomini, c’è la confusione poiché non teniamo conto che Dio è onnipotente e che questa vita terrena – che per noi è il tutto – in realtà è, semplicemente, il punto di partenza di una retta infinita… È molto importante il tempo che ci è dato da vivere, perché la nostra eternità dipende dall’amore.

Il capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo ci mette di fronte l’immagine di Gesù che siede in trono, giudica e divide: da una parte gli uni, dall’altra gli altri. È una pagina del Vangelo un po’ dura e che verrebbe la voglia di leggere di corsa. Ma quale sarà il criterio di divisione degli uomini tra loro? Sarà la carità.

L’intelligenza e la cultura possono essere cose legate a condizioni particolari – alcuni le hanno, altri no – ma un atto di carità o un atto di perdono lo può fare il nullatenente e lo può fare il Presidente della Repubblica, lo può fare l’uomo più ricco e il più povero del mondo. Un atto di carità è un po’ come un sorriso; non costa niente, lo possono fare tutti.

In questa giornata siamo chiamati a scoprire le cose che rimangono alla fine della vita. È un po’ come quando, da bambini, si giocava in spiaggia con la sabbia: si prendevano manciate di sabbia e ad un certo punto i granelli di sabbia scappano… Non rimane più niente. Rimarrà però tutto il bene che abbiamo fatto, tutti i piccoli atti di bontà e di perdono, i piccoli atti di accompagnamento e accoglienza.

C’è una santa che è alla portata di tutti, la si chiama anche con il diminutivo: santa Teresina  (del Bambin Gesù), che è diventata dottore della Chiesa senza essersi laureata né a Tubinga, né a Roma, né in qualsiasi altro centro accademico ma che ha proposto la strada della santità come la via delle piccole cose.

Pensate un po’ quante cose noi in una giornata dobbiamo fare comunque; diventa, allora, decisivo il modo in cui io le facciamo. Le cose più piccole – che devo fare comunque – fatte con amore e per amore e allora… tutto cambia, sia per chi ha ricevuto quel gesto ma soprattutto per me che l’ho compiuto.

La solennità dei Santi ci ricorda che la santità non è una cosa complicata né difficile. E non è neppure una cosa per ricchi, è una cosa che appartiene o può appartenere a tutti noi. Con questo pensiero, dunque, alziamo lo sguardo verso la giornata di domani.

Alcuni di noi sono qui perché hanno dei lutti recenti, altri hanno dei lutti meno recenti ma certe piaghe rimangono soprattutto, ad esempio, quando si è condivisa una vita intera o quando quella persona così significativa per noi ha allungato il passo… Non parliamo poi dei figli che, certe volte, precedono i genitori e questo è straziante.

La fede cristiana non è solo vera – cosa certamente importante – ma è anche bella. E non è “consolatoria”; lo sarebbe consolatoria se mi dicesse: tu non morirai… Invece noi sappiamo che l’atto che ci ha costituiti come cristiani è un atto di immersione nella morte di Qualcuno e nella sua risurrezione. La fede cristiana non è consolatoria ma è bella perché ti dice: guarda che, comunque sia, la morte non è la parola ultima sulla tua vita e su quella delle persone a cui vuoi bene.

Preghiamo, allora, per i nostri fratelli e per le nostre sorelle, per tutti i defunti. E chiediamo anche che ciascuno di noi sappia recuperare il senso cristiano del vivere. Pensa al fine della tua vita; la fine della tua vita non ti sorprenderà.