Omelia del Patriarca nella S. Messa al carcere femminile della Giudecca (Venezia, 5 gennaio 2019)
05-01-2019

S. Messa nel carcere femminile della Giudecca

(Venezia, 5 gennaio 2019)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

 

L’Epifania porta a compimento la grande festa del Natale e, allora, innanzitutto, desidero fare gli auguri ai bambini qui presenti e che sono chiamati a fare, in questo luogo, l’esperienza dell’inizio della loro vita insieme alle loro mamme.

Si rimane male sempre quando viviamo i momenti che seguono delle scelte sbagliate. Quando viviamo tali momenti, siamo invitati a fare una sola cosa: rialzarci. Io posso anche vivere un momento della mia vita con l’atteggiamento della rabbia – sono qui e sono arrabbiato – ma, capite, che così i giorni, le settimane e i mesi si ripiegano su se stessi e questo sentimento ci fa male e, soprattutto, non ci fa crescere.

Un altro atteggiamento potrebbe essere quello del guardare l’orologio e dire: un giorno di meno… Ma non è bello neppure questo atteggiamento, è come subire il tempo.

C’è, poi, un terzo atteggiamento: la consapevolezza che io adesso devo preparare per me, per i miei bambini e per le persone che mi vogliono bene un domani diverso. Vivere senza il bene della libertà, vivere secondo delle regole (che, pure, devono esserci), soprattutto quando si è in tante e gli spazi sono limitati non è certamente facile, però ognuna di voi qui sta costruendo il suo futuro.

La rabbia, invece, mi porta ad essere sempre più arrabbiato e allora finisco per dire che non vanno bene anche le cose che vanno bene. La sopportazione del tempo (la settimana di meno, il mese di meno) può anche andar bene, perché è una buona notizia, ma io vorrei che tutte sposaste un altro sguardo: che cosa posso fare qui in questi giorni e in queste settimane?

Io ho aperto le celebrazioni natalizie nel carcere maschile e, alla fine, c’è stata la testimonianza di una persona che ha avuto il coraggio di dire la sua vita agli altri. Durante la sua narrazione di bambino, di adolescente, di giovane e di uomo ha detto: “Ad un certo punto non ho saputo resistere alla tentazione di un amico che mi chiedeva di fare certe cose e… le ho fatte. Ed ora, quando le mie tre figlie e mia moglie mi vengono a trovare, io sono dispiaciuto per loro perché mi dispiace che mi vengano a trovare in questo luogo”. Alla fine, parlandogli personalmente, gli ho chiesto: quando esci? Mi ha risposto: a marzo. E io gli ho detto: manca poco, impegna bene questi mesi.

Ognuna di voi ha una storia diversa, ognuna di voi viene da una situazione diversa, ognuna di voi è chiamata a guardare il futuro con occhi diversi. E come si fa a dire che noi stiamo guardando il futuro con occhi diversi? Quando cerchiamo di essere buoni oggi, buoni adesso, buoni con quella compagna, buoni in quella situazione, buoni con chi non ci sta trattando bene.

Dico questo perché il bilancio di un’esperienza triste e faticosa, in cui siete chiamate a ripensare la vostra vita, solo voi lo potete fare. E spero che questi mesi, per almeno alcune di voi, possano essere l’inizio di un altro modo di guardare la vita. Guardare la vita in un modo diverso inizia nel modo in cui io guardo me e quando incomincio a dire: “Signore, ho sbagliato, non posso dare la colpa agli altri; Signore, io voglio cominciare a guardarmi e a guardare gli altri in modo diverso”.

Bisogna avere stima di sé e la stima di sé noi la leggiamo negli occhi degli altri, da come gli altri ci guardano e ci parlano… Avete ascoltato il Vangelo, con la figura di Erode: il suo male inizia dalla bugia. Ai Magi dice: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo» (Mt 2,8).

Per Erode, come per me, il male dove inizia? Quando io incomincio a non dire la verità, a nascondere le cose, a mentire, quando la mia vita incomincia ad essere un nascondere qualcosa. Ecco, allora, la figura di Erode ci aiuti a trovare un momento in cui sappiamo resistere a qualcosa che ci può travolgere. Quante cose, quanti gesti, quante scelte sbagliate derivano da una bugia! Una bugia ne chiama un’altra e poi un’altra ancora e poi… dico che sarà l’ultima e invece ne segue un’altra ancora, più grande…

L’augurio che ci facciamo reciprocamente è questo: guardarci con stima, vivere il momento che stiamo vivendo pensando al futuro, un futuro migliore. E non accettare mai di dire le bugie, le falsità, le cose non vere perché le diciamo agli altri ma, prima di tutto, le stiamo dicendo a noi. Quante cose buone vengono dal coraggio della verità, quante cose sbagliate dalla bugia e dalla menzogna!

Ci sarà un momento, più avanti, in cui potremo farci gli auguri personalmente. Adesso affidiamo in questa Messa soprattutto le vostre famiglie, i vostri mariti, i vostri compagni, questi bambini. Altre di voi avranno bambini più grandi… Mettiamo un po’ tutto in questo momento che, per noi, è il momento in cui i nostri desideri diventano preghiere.