S. Messa a Quero Vas nel Centenario della Grande Guerra
(19 novembre 2017)
Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Stimate autorità, cari fedeli,
ringrazio l’Arciprete don Alessio, il Sindaco Bruno Zanolla e l’intera comunità di Quero Vas per l’invito a presiedere questa celebrazione che vuol esser un doveroso ricordo che ci aiuta a comprendere – ancora una volta – come la guerra non sia, in alcun modo, la soluzione ai problemi dell’umanità; al contrario, la guerra aggiunge ulteriori problemi a quelli che, erroneamente, si pensava potesse risolvere.
Questa celebrazione diventa così un monito e, soprattutto, preghiera per quanti hanno pagato con la vita o hanno visto mutare radicalmente la loro vita – e quella delle loro famiglie – perdendo o il padre o il marito o i figli. La guerra è quella lezione che l’umanità non impara mai abbastanza e che ogni generazione dovrebbe insegnare alla successiva.
Siamo riuniti in questa chiesa e in questi luoghi che sono stati teatro di eventi efferati e che, in modo drammatico e come sempre avviene nelle guerre, hanno coinvolto militari e civili, uccisori e uccisi.
Oggi – come dicevo – siamo qui per ricordare la tragedia accaduta cent’anni fa, i fatti che hanno drammaticamente segnato questo territorio e, in particolare, la comunità di Quero Vas.
Ricordare, in questi casi, è doloroso ma doveroso e ci domanda di riflettere sulla nostra storia affinché ciò che ha prodotto lacrime e morte non si ripeta più e, col passare degli anni e il crescere del potenziale distruttivo delle armi, non generi ai nostri giorni distruzioni ancora maggiori per l’intera umanità. La distruzione e le morti che oggi provocherebbe una guerra sarebbero infinitamente maggiori rispetto al passato.
Avvertiamo così un grande timore innanzi a scacchieri geopolitici del nostro pianeta che sembrano lontani ma, in realtà, sono così vicini… E ci chiediamo che cosa potrebbe provocare una guerra in cui venissero impegnati armamenti nucleari.
Riflettiamo su quante morti, quante vite spezzate, quante famiglie sono state distrutte ieri da una semplice granata, da una sventagliata di mitragliatrice o da un solo lanciafiamme… E, oggi, cosa comporterebbe l’impiego di centinaia di testate nucleari pronte a essere trasportate da missili intercontinentali?
Siamo qui a ricordare e a pregare per non essere, domani, a piangere. Preghiamo e ricordiamo perché ciò che ha provocato sofferenze e morte nel passato non abbia a ripetersi.
Oggi, nel 2017, i mezzi a nostra disposizione sono mutati ma non è mutato l’uomo. I mezzi di distruzione sono evoluti, più potenti; l’uomo, invece, è sempre lo stesso. Non si va più in guerra con l’ascia, le pietre, le mazze, ma si continua ad andare in guerra.
Le forme cambiano: pensiamo anche alla nuova tipologia di guerra che è il terrorismo, pensiamo alle lotte tra le varie mafie e lobby per spartirsi un territorio ma anche alle battaglie ideologiche contro l’uomo, la sacralità della vita, il bene del matrimonio aperto alla vita. Siamo di fronte a politiche che non rispettano la natura e, in particolare, il bene primario della vita umana, sacra dal primo istante, quando inizia a palpitare nel grembo materno e fino al suo naturale spegnimento!
Siamo qui per pregare e per rendere omaggio ai nostri morti; è questo un gesto che esprime gratitudine da parte di chi sa d’esser stato risparmiato, senza suo merito, dalla guerra. Siamo qui a pregare per i nostri morti, per quanti hanno visto spezzata la trama della vita e che avrebbero voluto vivere. Idealità ed entusiasmo caratterizzano il dono della vita che precede gli altri e che noi uomini fatichiamo ad apprezzare nella sua gratuità.
La guerra mai potrà essere pensata come soluzione dei problemi politici. La guerra, purtroppo, rimane quella lezione che l’umanità non impara mai abbastanza eppure basterebbe tener desto il ricordo delle sofferenze personali, familiari e sociali che ogni guerra si lascia dietro le spalle, anche in quanti credono d’esserne usciti vincitori.
Ogni guerra dice con tragica chiarezza che a pagare di più sono i più deboli, i più fragili, i più poveri. Accade infatti, come in ogni scontro, che a riportarne i danni più gravi sono sempre i più fragili, coloro che hanno minori protezioni sociali, politiche, economiche. Sì, anche nelle guerre, sono i più deboli – bambini, donne, vecchi, malati – a pagare di più.
La guerra in generale e ogni singola guerra in particolare – anche se presentata come risolutiva di problemi non altrimenti superabili – chiede un prezzo troppo alto, ingiusto e doloroso. La guerra è, innanzitutto, dimostrazione di un fallimento!
È il fallimento della politica e dell’uomo in un determinato periodo storico. Dinanzi a una questione che chiede d’esser risolta secondo giustizia e verità si imbracciano le armi e, quindi, ci si pone di fronte ad essa in modo non umano, non cercando le ragioni che permettono di percorrere una strada che sia giusta e vera, attraverso il dialogo e – non ultimo – il perdono che il Vangelo pone al centro di ogni relazione personale e sociale ma, che, talvolta può diventare anche strada politica che consente di ripartire.
Albert Einstein – a proposito degli strumenti – ci mette dinanzi la modernità e ricorda che da quando l’uomo ha liberato la potenza dell’atomo è cambiato tutto… Purtroppo però, come prima si notava, non è cambiato l’uomo, il suo modo di pensare e questo è il dramma dell’umanità poiché l’uomo, così, va verso inaudite catastrofi.
Ogni guerra, alla fine, lascia dietro a sé macerie, lacrime e nuove tombe. E le guerre hanno termine non perché è stata imposta la forza del diritto ma il diritto della forza, perché il più forte ha prevalso sul più debole e non è detto – come si sa – che il più forte sia colui che aveva ragione ed esprimeva la posizione più vera e giusta. La guerra sancisce la vittoria delle armi più evolute e più potenti; ecco il perché della corsa agli armamenti.
Ma promuovere la giustizia è, piuttosto, lavorare per la pace, cosa differente dal pacifismo che è l’ideologia della pace.
La pace è il risultato della tranquillità dell’ordine, è riscoprire l’uomo, chi l’uomo veramente è e quali sono le rette relazioni fra gli uomini e le sue legittime attese. L’uomo, la comunità, la società, lo Stato, gli Stati devono essere “spazi” di pace e di rispetto reciproco. Impegnarsi nella giustizia vuol dire investire nella pace non attraverso facili slogan ma tramite la costruzione di un tessuto di relazioni che siano espressioni di verità, di giustizia, di dialogo, di riconoscimento reciproco.
C’è poi un contributo specifico, particolarissimo, che il cristiano può dare alla pace ed è la consapevolezza di condividere – con ogni uomo e donna – una relazione che unisce all’altro, sempre e comunque.
E così – prima del contrasto, prima della frattura, prima della menzogna – troviamo Dio, il Dio della vita da cui tutti proveniamo e verso cui tutti siamo incamminati.
Fino a quando ci sarà un’umanità che prega e si lascia illuminare da Dio, fintanto che si è parte di un’umanità che porta in sé i segni del timore di Dio, allora sarà difficile essere fra coloro che iniziano una guerra ma – a ben vedere – anche una violenza verbale, un litigio, un’offesa o, comunque. tutto ciò che non è rispettoso dell’altro e degli altri.
Se ritorniamo all’epoca della grande guerra, proprio in quegli anni san Pio X, già Patriarca di Venezia, profetizzò – completamente inascoltato – la minaccia incombente di quello che lui continuava ad evocare, con espressione dialettale veneta, el gueron. Ciò che Papa Sarto lucidamente intravedeva sarebbe iniziato nel 1914 e avrebbe distrutto gran parte della civilissima Europa. La sua profezia si avverò con grande precisione e, non possiamo che aggiungere… purtroppo!
La sofferenza dell’anziano Papa lo portò a morire di crepacuore, il 20 agosto 1914; erano passate solo due settimane dalle dichiarazioni di guerra e mancavano pochi giorni all’inizio della grande carneficina, che vide andare a morire milioni di giovani. In un certo senso, Pio X fu la prima vittima di quella che è passata alla storia come la prima guerra mondiale.
Anche il successore di Pio X -ì Giacomo della Chiesa / Benedetto XV – dall’inizio del suo pontificato (settembre 1914) mantenne una piena imparzialità tra i contendenti per favorire la pace, così come conviene a chi è Padre comune e tutti ama, operando per il bene comune senza distinzione di nazionalità e di religione e non tralasciando alcunché di ciò che potesse affrettare la fine di un’immane calamità, cercando di condurre tutti ad una «pace giusta e duratura».
Benedetto XV il 1° agosto 1917 – tre mesi e mezzo prima di quel tragico 17 novembre in cui si consumò il dramma della chiesa parrocchiale della Annunciazione della Beata Vergine Maria – scriveva: “Noi intanto, fervidamente unendoci nella preghiera e nella penitenza con tutte le anime fedeli che sospirano la pace, vi imploriamo dal Divino Spirito lume e consiglio”.
Desidero infine concludere con quanto ha detto, circa l’importanza essenziale della pace, Papa Francesco nel recente Convegno, tenutosi lo scorso 10 novembre in Vaticano, a proposito delle prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale.
Ecco le sue parole: ”Non possiamo non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari. Pertanto, anche considerando il rischio di una detonazione per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso e possesso. Le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici” (Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno “Prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, 10 novembre 2017).