Omelia del Patriarca nella Messa della notte di Natale (Basilica S.Marco - 25 dicembre 2005)
25-12-2005

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
SOLENNITÀ DEL NATALE DEL SIGNORE
SANTA MESSA NELLA NOTTE DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE
Is 9, 1-3.5-6; dal Salmo 95; Tt 2,11-14; Lc 2, 1-14
OMELIA DEL PATRIARCA S. E. ANGELO CARD. SCOLA
Venezia, 25 dicembre 2005

1. La luce, che i nostri presepi evocano e a cui rimandano ‘ fosse pure in modo abbagliante e superficiale – le mille luminarie delle nostre città, è letteralmente e fisicamente, quel Bambino che Maria «diede alla luce» come narra Luca nel Santo Evangelo. Egli è «la grazia di Dio che è apparsa» (Tt 2, 11), come ci annuncia Paolo nella Seconda Lettura. Noi siamo qui per sostare davanti a questo prodigioso evento e ci ritroviamo dentro ancora un po’ dello stupore con cui da bambini, a Natale, sostavamo davanti ai doni.
Anche per i più scettici e distratti tra noi la sosta del Natale non ha ancora perso, dopo duemila anni, la capacità di stupire. Come minimo di questo stupore resta in tutti una qualche nostalgia. Altrimenti non saremmo qui questa notte, non faremmo questa sosta che rinnova il profumo degli affetti e suggerisce un qualche rientro in noi stessi.
Che cosa ci porta questa nascita? Non ci conduce certo al ‘fanciullino d’oro’ foriero di un magico e sentimentale ritorno ad una mitica società del puro positivo (New Age). Questa nascita è «apportatrice di salvezza» (Tt 2, 11): la salvezza è una liberazione dal male – mio, tuo, nostro – che nella libertà consente la piena riuscita dell’io e della comunità a cui appartiene.
Il Natale di Gesù Cristo viene così incontro alla nostra domanda di felicità e libertà, al nostro desiderio di amare e di essere definitivamente amati, alla nostra supplica di eternità. Non è forse questo energico bisogno di durare per sempre che vorrebbero perseguire, non senza rischio di titanismi, la scienza e la tecnica? Il Figlio di Dio che si è fatto uomo compie, con realismo, questo desiderio. Con la Sua nascita l’eterno è entrato nel tempo. Dio si è fatto uomo e, con la Sua vicinanza, ci dona la via per ritrovare la ‘voglia di vita’ che ci muove.

2. Sono sicuro che, almeno per qualche frazione di secondo, la sosta del Natale riesce a bucare la crosta del nostro scetticismo. Sentiamo che qualcosa in noi si mette in moto’ Certo il rischio è che quasi subito tutto torni immobile come la superficie dell’acqua del lago dopo che vi abbiamo gettato un sasso. E il quotidiano riprende il suo ritmo ripetitivo, noioso, senza speranza.
Allora cosa ci garantisce che la promessa, che questa notte ci fa rialzare la testa dinanzi alla «grande luce» (Is 9, 1), non sia un’illusione? La fedeltà di Dio. Egli, da quando con Gesù è entrato nella storia, non si è mai più tirato indietro. Non si disincarna, Dio. In questo bambino Egli è Emanuele, Dio-con-noi. Per sempre. Ne è segno questa splendida Eucaristia nella notte benedetta. Mediante essa la comunità cristiana, dal cui grembo ognuno di noi è stato rigenerato, ci accompagna – regge, sorregge e corregge – fino all’ultimo istante della nostra esistenza terrena. Su di noi, popolo di Dio, etnia sui generis qui convocata questa notte da diverse razze, lingue, culture e censo, che assiste commosso al compimento delle promesse fatte dal Signore ad Israele, «una luce rifulse», perché tu, o Signore, «hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia» (Is 9, 1-2).

3. In questo Bambino Dio stesso si coinvolge con noi, si fa nostro interlocutore, nostro partner per sempre. Ad una condizione: che anche noi ci coinvolgiamo con Lui. Se, come ci ha ripetuto Paolo nella Seconda Lettura, noi impariamo a «rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt 2, 11). C’è un lavoro in cui veniamo coinvolti in prima persona, da protagonisti. A questa impresa, personale e comunitaria, siamo sempre più provocati dall’affascinante ma delicato contesto storico che ci è dato di vivere. Infatti le radicali trasformazioni in atto nella sfera affettiva non meno che in quella culturale, sociale, politica ed economica, ci impongono di assumere ogni giorno uno stile di vita sobrio, giusto, positivamente timorato di Dio. I cristiani desiderano portare questo stile natalizio di vita nell’agone della società civile, laica, libera e plurale, ma tesa alla vita buona.

4. Carissimi figli, il dono che in questa notte eucaristica riceviamo acuisce la responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti dei propri cari, degli amici, dei vicini di sestiere, dei colleghi di lavoro o di studio, di tutti i fratelli uomini, soprattutto dei bisognosi e dei sofferenti.
E questo dono si fa compito, perché ‘ come annota Camus nei suoi Taccuini ‘ «quando si è visto lo splendore della felicità sul volto di una persona che si ama, si sa che per un uomo non ci può essere altra vocazione che suscitare questa luce sui volti che lo circondano». E chi ti ama di più del Dio che si è fatto Bambino per te?
Buon Natale a tutti!