Omelia del Patriarca nella Messa della Domenica delle Palme (Venezia, 9 aprile 2006)
09-04-2006

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
DOMENICA DELLE PALME
Venezia, 9 aprile 2006

Processione da S. Maria Formosa alla Basilica : Mc 11,1-10

S. Messa: Is 50,4-7; Sal 22 (21), 8-9.17-18.19-20.23-24; Fil 2,6-11; Mc 14,1-1-15.47

OMELIA DEL PATRIARCA S. E.R. ANGELO CARD. SCOLA

1. Carissimi, con la processione delle Palme abbiamo varcato il portico della Settimana Santa, che ci introduce all’azione decisiva che si svolse negli ultimi giorni della vita terrena di Gesù. Egli ne è l’indiscusso protagonista. È al centro sia della scena solare del suo ingresso trionfale a Gerusalemme – che abbiamo sentito narrare all’inizio della nostra processione in Santa Maria Formosa – sia della scena tragica, dominata dalle tenebre della notte, del Passio di San Marco, potentemente anticipato dal canto del Servo del Signore di Isaia (Prima Lettura). In questa, che è l’azione per eccellenza di tutta la storia, si muovono intorno a Gesù, in un rapporto di adesione e di opposizione, tutti gli altri personaggi nei quali ciascuno di noi può di volta in volta ed agevolmente identificarsi.

2. Anzitutto quello intenso della donna che fa irruzione nella casa di Simone il lebbroso, a Betania, dove Gesù è ospite con i suoi, due giorni prima degli Azzimi. Ella non esita a spezzare «un vasetto di alabastro pieno di olio profumato di nardo genuino di gran valore» e a versarne il contenuto sul capo del Signore, suscitando la reazione stizzita di taluni dei presenti: «Perché tutto questo spreco di olio profumato? Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darli ai poveri!» (Vangelo). Due ‘misure’ si scontrano: quella dell’amore, che non conosce misura, propria del gesto della donna, e quella di una pretesa di giustizia propria di alcuni dei commensali scandalizzati. Ai loro occhi il gesto di lei appare come uno ‘spreco’ di cui questa donna è colpevole. Vi è quindi opposizione tra giustizia ed amore?
La questione è più che mai attuale, nella nostra vita personale e nel dibattito che attraversa la società civile.
La risposta ci viene dal Vangelo: «Lasciatela stare» dice Gesù «Ella ha compiuto verso di me un`opera buona; i poveri infatti li avete sempre con voi». Benedetto XVI ha riaffermato con forza nella sua Enciclica che: «Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore» (Deus caritas est n. 28)
La carità non assorbe la giustizia, che è la misura intrinseca di ogni politica, come la fede non surroga la ragione. Così la Chiesa collabora e sostiene la politica, ma non la sostituisce. È un servizio che la Chiesa rende in permanenza agli uomini di ogni generazione, che non si può considerare svolto o compiuto una volta per tutte. Non si tratta, infatti, di formulare una teoria, per poi applicarla alla realtà. Ogni tentazione utopica è battuta in breccia. Al contrario gli uomini, seguendo criticamente i processi storici, sono chiamati a ripensare, di volta in volta, il giusto ordine della società. Per questa ragione, non c’è epoca storica che possa prescindere dalla necessaria purificazione della inevitabile ideologia. Ed il gratuito concretamente esercitato nella carità prepara un terreno propizio a questa sempre necessaria purificazione dell’ordine di giustizia.

3. Mentre il dramma del Protagonista precipita verso il suo tragico epilogo, i discepoli si addormentano: «Tornato indietro, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un’ora sola?» (Vangelo). Lo tradiscono ‘ Giuda -. Lo rinnegano – Pietro – e Lo abbandonano: «Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono» (Vangelo). Una fuga così panica che anche il ragazzino (la tradizione vi riconosce l’evangelista Marco) che, appena prima, in uno slancio generoso lo aveva seguito («Un giovanetto però lo seguiva»), se ne lasciò contagiare e «lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo» (Vangelo).
Poi il popolo Lo condanna, Lo consegna ai pagani, scegliendo Barabba impedisce la sua liberazione e impone la sua crocifissione.
Furia collettiva, una sorta di gara di crudeltà (derisione, scherno, ingiuria, tortura, violenza bruta’) tra giudei e pagani. Purtroppo l’analogia con la nostra cattiveria e i nostri tradimenti è fin troppo facile.

4. Oggi come allora ci sono, nella nostra vita personale come in quella del mondo, luoghi e momenti in cui le tenebre sembrano sconfiggere definitivamente la luce. Il male assume un carattere così radicale da sembrare quasi ir-reparabile, quasi in-giustificabile, quasi im-perdonabile. Il Figlio dell’uomo esperto nel patire se ne lascia ghermire fino in fondo. Ma lo fa per noi, in nostro favore: «Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Vangelo) A questa domanda straziante in un primo tempo non viene data nessuna risposta. La solitudine di Gesù, iniziata nel Getzemani, si fa totale, assoluta; come il silenzio e il buio che avvolge tutta la terra.
Dolore innocente, abissale ingiustizia: il prezzo che l’Innocente Crocifisso paga perché la morte cambi di segno. E nella sua Risurrezione l’uomo, ogni uomo possa sperare. Gesù espia i nostri peccati perché la morte da condanna atroce si trasformi in consegna amorosa all’abbraccio del Padre.

5. Non l’Onnipotente incapace, il Dio lontano, ma l’Impotente capace, il Dio con noi, è l’unico che può redimere e salvare. Secondo quel ‘rovesciamento’ che l’ingresso in Gerusalemme sull’umile asinello (torna la Lettura iniziale di Marco) aveva già lasciato intravedere. Quello di oggi, che gli evangelisti registrano, è infatti un evento ambiguo, che la folla vive con un persistente malinteso (lo stesso, che resiste fino alla fine persino nei discepoli). L’eterno ‘malinteso’ di ogni liberazione che si lascia investire dall’utopia, diventando inevitabilmente preda della violenza. Gesù, invece – già l’aveva manifestato il Padre il giorno del Suo Battesimo – identifica la sua vocazione di Messia col Servo sofferente (Prima Lettura).
L’autentica liberazione del mondo ha inizio dalla consapevole assunzione della «condizione di servo’ facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Seconda Lettura).
Gesù Cristo morto e risorto è la verità vivente e personale, donata alla nostra libertà. In forza dell’obbedienza di Colui che è esperto nel patire tutti coloro che in questo mondo soffrono possono concorrere a costruire il vero Regno di Dio, cioè la situazione definitiva: Verità, Bellezza e Bontà. Diventano preziosi collaboratori della Sua opera di salvezza.

6. In questo ‘svuotamento’ del Crocifisso la libertà dell’uomo afferrata dalla verità vivente si apre alla speranza. Non c’è verità sulla faccia della terra senza libertà. E non c’è prova più grande che si è incontrata la verità della speranza. Infatti se il mistero della salvezza passa inesorabilmente dalla croce, esso non ha però nella croce l’ultima parola. La semplice e netta confessione di fede del centurione, così come la scelta coraggiosa di Giuseppe d’Arimatea, membro del Sinedrio («andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù» annota infatti il Vangelo) sono una prima inequivocabile documentazione della fecondità dell’opera di salvezza del Protagonista. Già dalla croce germogliano le primizie della resurrezione.
Allora, carissimi, attraversato il Portico entriamo nel maestoso Duomo della Settimana Santa carichi di umiltà ma consapevoli che, come per i primi, anche per noi il Suo dono si fa compito. «Il modo di amare di Dio diventa la misura dell’amore umano» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 11).