BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EV.
DOMENICA DELLE PALME
PROCESSIONE DA SANTA MARIA FORMOSA ALLA BASILICA E SANTA MESSA
OMELIA DEL PATRIARCA DI VENEZIA, CARD. ANGELO SCOLA
Venezia, 20 marzo 2005
1. Siamo entrati in questa sfolgorante Basilica di San Marco in processione. Secondo un’antica tradizione della Chiesa con un gesto concreto, personale e comunitario, abbiamo voluto come cristiani accompagnare «esultanti il Cristo, nostro Re e Signore» (Orazione iniziale della Commemorazione dell’ingresso a Gerusalemme). Lo riconosciamo, Lo acclamiamo come la folla di allora: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt, 21, 9).
Taluni forse al nostro passaggio, come allora, si saranno posti la domanda: «Chi è costui?» (Mt. 21, 10, Vangelo della Commemorazione dell’ingresso a Gerusalemme). In ogni caso, oggi come allora, Gesù Cristo non cessa di provocare la libertà.
2. Ma la Settimana Santa (cioè “vera”, paradigma di tutto l’anno) dà subito a questa Domenica delle Palme non solo la forma dell’esultanza. Questa Domenica è chiamata anche Domenica di Passione. Il binomio Palme-Passione ben esprime il realismo dei cristiani. Infatti, come scrive Claudel, «La vita in parti eguali di gioia e di dolore è fatta». Gioia e dolore. Trionfo e sconfitta. Gloria e immolazione. Contro il dolore lotta, giustamente, ogni uomo, nel tentativo di ridurne il più possibile l’aggressione. Ogni nostra fibra, infatti, grida alla vita e si ribella alla morte. Ultimamente però l’uomo con le sue forze non riesce ad eliminarla.
Impotenti a sconfiggere il male con la sua pesante condanna al dolore, alla malattia e alla morte, alla fine ci arrendiamo a ‘subirlo’. Di fronte al dolore e alla morte, come insinua la stessa parola passione, c’è un’ultima inevitabile passività. La morte umanamente parlando ha sempre il sapore di un’estorsione. Perché esultanza allora?
3. Commentando i fatti di questa giornata, Sant’Andrea di Creta, nel suo Discorso sulle Palme afferma: «Venite e andiamo incontro a Cristo, che si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra redenzione. Viene di sua spontanea volontà: è disceso dal cielo per farci salire lassù». E quello spontaneamente Lo accompagnerà fino sulla croce («Egli, offrendosi liberamente alla morte’»).
Gesù in prima persona ha voluto passare da questa nostra condizione per rovesciarla, cambiarla radicalmente di segno. La Sua Passione non è stata una ‘resa’, ma una scelta amorosa. Colui che poteva non morire ha scelto liberamente di morire in nostro favore.
Immedesimiamoci un poco nel singolare movimento della libertà di Gesù che si inoltra nella Settimana di Passione, morte e risurrezione. Ci aiuta il 3° canto del Servo di Jahvé propostoci dalla Prima Lettura. Quella del Servo che la Chiesa propone come figura di Gesù è una libertà sovrana che, di fronte all’aggressione del male, non si ritrae («non mi sono tirato indietro’ non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi»: Is 50, 5), né si limita a subirla, ma la accetta liberamente («ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba’ rendo la mia faccia dura come pietra»: Is 50, 6), perché è certo di non essere abbandonato dal Padre («Il Signore mi assiste, per questo non resto confuso»: Is 50,7). Viene in mente la Preghiera di Giovanni Paolo II dopo lo tsunami: «Noi siamo certi, Signore, che tu non ci abbandoni».
L’intero passio di Matteo (Mt 21, 4; 26, 53-54; 56; 27,9 …), singolare in ciò rispetto agli altri sinottici, è ritmato da questo ritornello: «Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta’». È il disegno del Padre a guidare, provocare e sorreggere la libertà del Figlio. Il Figlio si fida e si affida al Padre.
Cosa dice tutto questo? Una cosa semplice eppure mai scontata: la pienezza della libertà è l’amore. In questo modo, incarnando il volto stesso dell’amore misericordioso del Padre, Gesù segna la strada alla nostra libertà nel suo percorso. Per ogni uomo la croce, se accolta in Cristo Gesù, conduce alla resurrezione.
4. Proprio perché mette in gioco fino in fondo la libertà è sempre un percorso drammatico.
Lo è per la libertà del Protagonista, Cristo, di cui il passio di Matteo descrive tutti i movimenti – tesi, decisi e consapevoli- e tutte le battute del dialogo serrato con gli altri attori del dramma: anzitutto il Padre – «Padre mio, se possibile passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!» (Mt 26, 39) -, poi i suoi amici più intimi – «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me» (Mt 26, 38) ‘ «Così non siete stati capaci di vegliare un’ora sola con me?» (Mt 26, 39) -, infine lo stesso Giuda, colui che stava per tradirlo – «Amico, per questo sei qui!» (Mt 26, 50).
E lo è per la libertà, spesso confusa e contraddittoria, degli altri co-agonisti: Pietro e i compagni – «’Anche se dovessi morire con te non ti rinnegherò’. Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli» (Mt 26, 33) -, Giuda, i farisei, la folla, la stessa che prima ne aveva acclamato la regalità – «Osanna al figlio di Davide!» (Mt 21, 9) – e poi l’aveva accusato – «Sia crocifisso!» (Mt 27, 22) – , Pilato’
5. Infatti, di fronte allo scandalo [ scandalon significa proprio pietra d’inciampo, ostacolo che ferma ] -«Voi tutti vi scandalizzerete ‘ in questa notte» Mt 26, 30) della prova – pensiamo alla recente tragedia dello tsunami, ma anche ai tanti piccoli tsunami personali (le ferite e le lacerazioni cui sono sottoposte le nostre famiglie, la malattia, la solitudine, l’abbandono’) -, la nostra libertà può cedere allo smarrimento, alla confusione, addirittura al tradimento’, ma l’Innocente condannato e crocifisso è sempre pronto ad abbracciarla.
Di fronte a Lui, ognuno di noi è chiamato a decidere tra il pianto di Pietro (che comunque non si sottrae al Suo sguardo) – «E uscito all’aperto pianse amaramente» (Mt 26, 75) – e la disperazione di Giuda o il ‘chiamarsi fuori’ di Pilato: «Non sono responsabile di questo sangue; vedetevela voi!» (Mt 27, 24).
6. Movimento paradossale dell’amore incarnato: «Cristo è disceso dal cielo per farci salire lassù» (Andrea di Creta). «Assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso’per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Seconda Lettura, Fil 2, 9). I due aspetti del mistero pasquale ‘ morte e resurrezione – sono indissolubili: condividendo la nostra morte, il Risorto ci offre la Sua vita.
È il grande mistero della misericordia: la libertà infinita dell’Onnipotente non teme l’impotenza. Si consegna alla libertà finita della sua creatura. E noi? Continueremo ad avere paura del sacrificio richiesto ogni giorno per vivere con verità affetti e lavoro? Saremo ancora timorosi di fronte all’ingiustizia, alla pace calpestata, alla miseria endemica di cui sono vittime intere popolazioni del pianeta, soprattutto bambini? Cittadini delle opulente democrazie occidentali resteremo ancora a lungo insensibili di fronte alla tragedia della vita innocente eliminata, soprattutto attraverso l’aborto e l’eutanasia?
Il Crocifisso Risorto è la risposta del Padre al male e alla morte.
Ma è una risposta che domanda l’assunzione libera e personale di ciascuno di noi come cristiani e, fatte le debite distinzioni, come cittadini.
Il Santo Padre, che della vittoria del Redentore è infaticabile testimone, afferma: «Credere nel Figlio crocifisso significa ‘vedere il Padre’, significa credere che l’amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male, in cui l’uomo, l’umanità, il mondo, sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. Questa, infatti, è la dimensione indispensabile dell’amore, è come il suo secondo nome» (Dives in misericordia, 7).