Commemorazione dei fedeli defunti
S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (2 novembre 2022)
Omelia del Patriarca Francesco Moraglia
Un ringraziamento alle autorità civili e militari qui presenti perché ci ricordano, proprio con il loro essere qui, che molti cittadini – uomini e donne – muoiono per il bene comune e sacrificano la loro vita.
E, allora, nella giornata del 2 novembre accanto ai ricordi familiari, parentali e amicali di persone che sono state molto importanti nella nostra vita, vogliamo ricordarci che esiste anche una società ed una convivenza più larga. Il bene comune è sì un’astrazione ma è una realtà che tiene insieme una società ed è per questo che – anche in una giornata così intima e “personale” – desideriamo ricordare che alcuni tra noi, spesso uomini e donne in divisa, hanno sacrificato il bene della loro vita per la collettività.
Questo è il senso della cerimonia che viene fatta nei cimiteri pressoché ovunque, con la benedizione delle corone ai caduti.
Riflettiamo, però, ora anche sul momento della morte. Non per spaventarci, anche se in realtà è l’unica cosa sicura che ciascuno di noi ha davanti a sé; in mezzo a tante cose probabili, quella è l’unica certa.
Quando eravamo a scuola, non ci importava più di tanto sapere la data dell’esame – sì, era importante anche quella – ma ci interessava sapere soprattutto che cosa ci sarebbe stato chiesto.
Ebbene, il Vangelo ci dice esattamente che cosa ci sarà chiesto; abbiamo ascoltato il Vangelo delle beatitudini mentre, stasera, nella basilica cattedrale, ascolteremo quello del giudizio finale.
Il momento presente, sia che mi sia favorevole sia che mi sia ingrato, è destinato a terminare e emerge, allora, una domanda che noi molte volte rimandiamo o rimuoviamo; non è la stessa cosa rimandare o rimuovere, ma il rimandare è sempre la premessa della rimozione.
Che rapporto ho io tra il vivere ed il morire, tra la vita e la morte? Per me il vivere coincide con che cosa? Di che cosa ho nostalgia nella mia vita? Verso che cosa sono proteso? E se tutto coincidesse con quelle cose che prima o poi passano?
Una volta ho catturato un dialogo tra due persone: “Lei è giovane… Quando ero giovane…”. Ma la giovinezza è una malattia da cui si guarisce molto presto e noi, piuttosto, siamo chiamati a vivere bene la stagione che stiamo attraversando; questo è il modo per essere in pace, prima di tutto con noi stessi e poi con gli altri e, soprattutto, con Dio.
Abbiamo ascoltato il brano delle beatitudini; è bello anche come brano letterario, ma se sei cristiano non basta un apprezzamento estetico; quella pagina deve diventare la vita, la vita buona, la vita bella.
Noi abbiamo paura del giudizio di Dio ma il giudizio di Dio è l’incontro con chi è la Verità, la giustizia e la bellezza e, in quel momento, tutto quello che nella mia vita è stata menzogna – e la menzogna inizia quando mento e direi anche quando non dico le verità che dovrei dire… – si incontrerà con il giudizio di Dio. E l’incontro con Dio è il giudizio, non c’è l’incontro con Dio e poi il giudizio; nel momento in cui incontro la fonte della verità, della giustizia, della bellezza, tutto quello che nella mia vita non è stato verità, giustizia e bellezza, crollerà in quanto costruzione destinata a decadere.
Il cristiano, allora, si prepara a quel momento certo – che, pure, speriamo ancora remoto – correggendo certe tendenze che ciascuno di noi ha dentro di sé, vincendo la paura che, soprattutto quando bisogna decidere, non serve a nessuno e ci fa fare le cose sbagliate, e seguendo invece la via della prudenza che non è tanto il non fare oggi quello che dovresti fare domani ma è anche e soprattutto non fare domani quello che dovresti fare oggi. Ricordiamo, infatti, tutte le pagine del Vangelo in cui Gesù parla dell’urgenza della conversione.