Omelia del Patriarca nel pellegrinaggio mariano dai Gesuati alla Salute (Venezia, 3 ottobre 2015)
03-10-2015

Pellegrinaggio mariano dai Gesuati alla Salute

(Venezia, 3 ottobre 2015)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Iniziamo l’anno pastorale con un gesto che dice la nostra impotenza umana. Il pellegrinaggio, infatti, è andare verso Qualcuno di cui abbiamo bisogno ed è bello, perciò, che il nostro anno pastorale inizi con il gesto di andare verso di Lui; andare verso di Lui per chiedergli di prendere possesso delle nostre persone, per chiedere di entrare nelle nostre comunità là dove noi abitiamo e viviamo la nostra vita di Chiesa.

Entrando nella basilica della Salute non abbiamo potuto non guardare il quadro del Tiziano dove è riprodotto il gesto che noi abbiamo cercato di vivere in questa mattina del mese di ottobre con Maria e Gesù.

La Chiesa, gli apostoli, i discepoli iniziano pregando e in mezzo a loro c’è Maria. Questa è la prima immagine della Chiesa che ci danno gli Atti degli Apostoli: chiedere il dono dello Spirito attraverso l’intercessione di Maria.

I nostri pellegrinaggi del primo sabato del mese hanno lo scopo primo di chiedere per la nostra Chiesa, e quindi per ciascuno di noi, dei santi sacerdoti. E allora ringraziamo Maria perché, attraverso la sua preghiera, attraverso la sua intercessione, ci ha donato Adriano, Enrico, Lorenzo e Matteo. Ve li consegno in modo particolare: sono i nostri nuovi seminaristi. Sono tutti molto giovani e hanno fatto una scelta, una scelta non facile, soprattutto in questo contesto, una scelta meditata.

Ringraziamo don Lucio, don Fabrizio, don Giacinto e don Pierpaolo che li hanno seguiti insieme a tanti altri sacerdoti. Oggi li affido a voi perché i primi giorni, le prime settimane, i primi mesi del seminario non sono scontati, non sono facili e, a Dio piacendo, forse tra qualche anno qualcuno di noi potrà beneficiare dei loro gesti sacerdotali.

Ringraziamo ancora Maria perché – e vi invito già tutti sabato 17 ottobre, alle ore 15.30, nella basilica cattedrale di S. Marco – la nostra Chiesa avrà tra poco quattro nuovi diaconi.

Ringraziamo quindi per Adriano, Enrico, Lorenzo e Matteo che iniziano una strada che Alessio, Davide, Federico e Massimiliano stanno ora portando a termine. Anche per loro inizia un nuovo periodo della vita; sono ancora seminaristi ma sono già ministri ordinati e tra breve eserciteranno un ministero importante.

Mi piace, inoltre, mettervi a parte del fatto che – dopo aver visitato la nostra missione in Kenya a Ol Moran, dopo aver sentito il rettore, dopo essermi consigliato e aver parlato con don Giacomo, parroco della nostra parrocchia di S. Marco ad Ol Moran –  per un certo periodo e a due a due i neodiaconi andranno nei prossimi mesi a prestare il loro servizio in Africa. Sarà un momento importante per la loro preparazione e torneranno arricchiti, con uno sguardo più ampio e più aperto.

La prima lettura di oggi, tratta dal libro di Ester, ci parla della misericordia di Dio sul suo popolo tribolato. Siamo in Persia: il re Assuero (Serse) – ascoltando un cattivo consigliere (quanto male fanno i cattivi consiglieri!), un uomo che agisce nell’ombra, bisbiglia, sussurra e dice cose non vere – decide di mettere a morte tutti gli ebrei. Ma la misericordia di Dio è infinitamente più grande delle menzogne degli uomini ed ecco che allora appare una donna coraggiosa, una donna forte, una donna che accetta di rischiare personalmente, poiché chi si presentava di fronte al re senza essere chiamato rischiava la morte. Ester, dopo aver pregato a lungo con il suo popolo e con le sue ancelle, compie questo atto di coraggio.

Vedete, la misericordia di Dio cammina e si realizza attraverso il coraggio degli uomini e delle donne. La misericordia di Dio non manca mai e, se certe volte ci sembra che manchi, tutti noi dovremmo fare un esame di coscienza. Molte volte, infatti, si dice: dov’è Dio? Perché è successo questo e questo? Ma la domanda giusta da fare è un’altra: dov’erano gli uomini?

Questa donna rischia, rischia la vita. E attraverso questo suo atto di coraggio, di forza e di verità il crudele re Serse – il leone Assuero – diventerà, e potremmo dire quasi suo malgrado, strumento della giustizia e della misericordia di Dio. Ester – questa donna che intercede – è il tipo, è la figura, è la preparazione di Maria.

L’8 dicembre sarà una data importante per noi, una data di partenza e di rilancio, la celebrazione dei cinquant’anni dalla chiusura solenne del Concilio Vaticano II.

C’è un bel testo che cito a mente ma credo di non tradire: la predestinazione universale del Verbo incarnato è la predestinazione della maternità di Maria. San Paolo ci dice: “In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo” (Ef 1,4).

Il mistero della misericordia di Dio non inizia con la redenzione, si misura certo con essa ma sta prima; il progetto di Dio è volerci non solo creature ma figli e Lui ci ha scelti nel Figlio prima della creazione del mondo. Maria è nel pensiero di Dio, insieme a Cristo, come Colei che nella storia introdurrà la misericordia di Dio. La misericordia di Dio, non le nostre letture umane della misericordia.

Leggiamo allora le parabole della misericordia, leggiamo Gesù che parla alla samaritana ma leggiamo tutti i versetti e… avremo delle sorprese e delle risposte alle domande più attuali che ci assillano. Leggiamo l’episodio dell’adultera, leggiamo il capitolo 15 del Vangelo secondo Luca. Guardiamo al figliol prodigo che dice: “Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…” (Lc 15,18-19), disposto a un cammino penitenziale che presuppone la separazione dalla vita precedente.

Gesù mangiava con i peccatori e scandalizzava i benpensanti. Leggiamo il capitolo 7 di Luca: “Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa.. Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco»” (Lc 7, 40.44-47).

Ecco il dono grande della misericordia e il nucleo portante della misericordia di Dio è la croce di Cristo. Non è una misericordia a buon mercato il mistero della croce di Gesù. E, guardate, quando il Signore ci dà una comprensione più grande e più vera della croce, la nostra vita si converte e cambia.

San Giovanni della Croce ha un’immagine molto bella: il mondo visto a partire dalla prospettiva della croce. E una preghiera del prefazio dice: “Dalla croce tu guidi il mondo”.

Chiediamo al Signore di entrare nell’Anno santo della Misericordia mettendo a tema, nella nostra vita spirituale, una più grande comprensione del sacramento della penitenza. Sarebbe bello vedere come la Chiesa lo ha vissuto in modi diversi: la penitenza antica dei primi sei secoli, la penitenza celtica, l’attuale modo di amministrare il sacramento della penitenza… Ma in tutti c’è un nucleo che resta permanente: la conversione, il riconoscere il proprio peccato, il cambiare la propria vita. Non da soli, ma con quel gesto ecclesiale che completa il dolore dei peccati, l’accusa dei peccati e – per quanto è possibile – il farsi carico con un cammino di penitenza del nostro peccato: è l’assoluzione della Chiesa data in nome dell’Unico che può rimettere i peccati.

Il Vangelo di Matteo, a differenza della versione di Marco e di Luca, ad un certo punto dice: “Le folle, vedendo questo – Gesù aveva appena guarito e rimesso i peccati al paralitico –, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini” (Mt 9,8).

Questo stupisce, perché il Vangelo di Matteo è il vangelo della Chiesa e quindi, a differenza delle pericopi dello stesso brano negli altri evangelisti, Matteo sottolinea questo potere dato agli uomini. Ed è un potere che veramente fa tremare le mani non solo per chi è chiamato ad assolvere ma anche per chi è beneficiario di questo gesto ecclesiale di perdono.

Soprattutto ai confratelli e a me stesso dico: riscopriamo il ministero della riconciliazione sacramentale, torniamo noi preti per primi a viverlo frequentemente. Prepariamo bene e viviamo nella nostra vita il sacramento della riconciliazione.