Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia in occasione del pellegrinaggio mariano diocesano a Mestre (1 dicembre 2012)
01-12-2012

Pellegrinaggio mariano diocesano a Mestre

(Madonna della Salute / S. Lorenzo, 1 dicembre 2012)

 

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

 

 

 

L’Anno della Fede ci vede pellegrini in cammino verso una fede più vera, ossia verso una fede più ‘mariana’. La fede di Maria consiste nella capacità di dire un ‘sì’ pieno, totale e gioioso a Colui che visita la nostra vita.

 

 

L’andare di Maria è, infatti, un procedere nella fede. Dal momento del ‘sì’ detto a Nazareth, Maria entra nella volontà di un Altro: la volontà di Dio. E da quel momento Maria sarà ‘portata’.

 

 

Essere condotti da Dio non significa essere mezzi uomini o mezze donne. Non significa essere soggetti passivi, quasi delle cose che materialmente vengono sbattute da una parte all’altra.

 

 

Maria ha mantenuto la sua personalità, anzi l’ha accresciuta nell’incontro con l’Altro: Dio. Maria ha mantenuto la sua personalità, la sua affettività, la sua voglia e gioia di vivere ma consegnando tutto il suo essere, di volta in volta, a Dio in una fede più grande.

 

 

Ma l’andare o pellegrinare di Maria nella fede si apre al ‘sì’ della carità: il cristiano – come Maria – nel suo ‘sì’ a Dio, ossia nella sua fede e nella sua carità, è chiamato ad ‘andare’ ma ‘dimorando’, vale a dire abitando sempre in Dio.

 

 

L’icona evangelica di Maria, che con passo frettoloso – il Vangelo appena ascoltato (Lc 1, 39 – 56) – si reca a far visita alla cugina Elisabetta con il bambino in grembo, è immagine di chi va col Salvatore e in comunione con Lui. Questo è l’unico ‘andare’ possibile del cristiano. Infatti, anche se battezzati, si può andare lungo la strada della vita in molti modi diversi da quello di chi va col Salvatore e in comunione con Lui.

 

 

L’andare di Maria è ‘portare’ o, meglio, ‘lasciarsi portare’ da Dio. Il pellegrinaggio della vita, allora, ha un centro e questo centro ha un nome: è una persona, è Gesù Cristo. Qui c’è tutta la spiritualità francescana: Cristo è il centro e chi entra in questo centro ha la pienezza.

 

 

La domanda dei primi discepoli, Andrea e Giovanni, riguarda proprio l’ ‘abitare’: ‘Maestro, dove dimori?’ (Gv 1,38). Quasi a dire che per il discepolo – è la prima volta che i discepoli si affacciano nella narrazione di Giovanni – è essenziale, innanzitutto, sapere dove ‘abita’ il Maestro.

 

 

In quest’Anno della Fede ogni comunità, ogni discepolo e discepola del Signore si deve innanzitutto domandare dove abita il Maestro e se noi abitiamo con Lui, per porre là la propria dimora.

 

 

L’inizio della vita di discepolato di Andrea e Giovanni parte proprio dallo stare con il Maestro, dal voler stare con Lui. ‘Maestro, dove dimori?’: o il discepolo è intimo del Maestro o, ineluttabilmente, diventerà intimo di altre persone, diverrà intimo di se stesso, diverrà intimo delle cose e dei beni da possedere.

 

 

La familiarità, la dimestichezza col Signore, è l’inizio di un vero discepolato. Ed è la condizione perché il discepolato si mantenga. ‘Dimorare’ in Lui è la condizione prima dell’agere cristiano. A Marta Gesù ricorda che il ‘fare’ deve essere preceduto dallo ‘stare’ con il Maestro.

 

 

Essere familiari a Gesù nel pregare – che sempre precede il fare – è condizione perché il nostro ‘fare’ rimanga un ‘fare cristiano’, ossia un fare nella fede e nell’amore. Solo chi stabilmente abita in Dio dispiega un’azione saggia, fedele, umile, forte e gioiosa. La fede e l’amore non sono frutti del caso, ma il risultato di una vita che si lascia portare da Dio e di chi abita in Dio.

 

 

È quanto mai essenziale il legame tra missione e contemplazione, tra fare e pregare, tra evangelizzazione e adorazione. In realtà, l’azione missionaria evangelizzatrice della Chiesa è il frutto di un amore che nasce dalla contemplazione.

 

Contemplata aliis tradere: è ciò che san Domenico chiedeva ai suoi frati. Le cose contemplate vanno trasmesse e donate agli altri. L’amore di Cristo si dona nel modo più alto nella realtà del corpo dato e del sangue effuso che, sacramentalmente, viene ripresentato e attuato nel sacramento eucaristico.

 

 

A tal proposito Benedetto XVI ci ricorda che ‘chi accoglie Cristo nella realtà del suo Corpo e Sangue non può tenere per sé questo dono, ma è spinto ed è portato a condividerlo nella testimonianza coraggiosa del Vangelo, nel servizio ai fratelli in difficoltà, nel perdono delle offese. Per alcuni poi – continua il Papa – l’Eucaristia è il germe di una specifica chiamata a lasciare tutto per andare ad annunciare Cristo a chi ancora non lo conosce’ (Benedetto XVI, Angelus del 23 ottobre 2005).

 

 

Abbiamo esperienze spirituali forti in cui la contemplazione e la missionarietà si legano strettamente: pensiamo all’adorazione perpetua, agli evangelizzatori, alle ‘luci nella notte”

 

 

La preghiera – diciamolo pure – la gioia della preghiera ha nell’adorazione il suo culmine e diventa apostolato, annuncio ed evangelizzazione: condividere con altri la gioia dell’incontro con l’Altro. E nella preghiera si esprime in sintesi la totalità delle virtù teologali: prega chi crede, prega chi ama, prega chi spera.

 

 

Crescere nella preghiera vuol dire crescere nella fede, nell’amore, nella speranza. Siamo nel circolo virtuoso che pone l’uomo e lo conduce al di sopra di se stesso, portato al di là dei suoi pensieri, oltre i suoi affetti, oltre le sue gioie, oltre i suoi dolori’ Questo ‘oltre’ è l’essenza della preghiera, è l’incontro con l’Altro.

 

 

Maria l’Immacolata – tra pochi giorni, ancora all’inizio dell’Avvento, ne celebreremo la solennità – cresce nella vita di preghiera, nella vita di fede, di speranza, di carità a partire da una pienezza che, unica tra le creature, le è stata donata per una più grande vicinanza a suo Figlio.

 

 

La preghiera del Magnificat – il Vangelo di oggi -, in cui si dischiude l’animo di Maria dopo il saluto di Elisabetta, dice la pienezza della fede, della speranza e dell’amore di questa donna. Maria, nella preghiera del Magnificat, dice il suo appartenere e il suo essersi affidata ad un Altro in cui continuamente ritrova se stessa: questa è l’antropologia cristiana. L’uomo ritrova se stesso nell’incontro con Dio.

 

 

L’Anno della Fede, e soprattutto il tempo d’Avvento di quest’Anno della Fede, deve essere per tutti un ritrovare noi stessi nell’abbandono fiducioso e pieno a Dio: questo è vivere l’antropologia cristiana.

 

 

Dio è l’Altro che mi dice, in pienezza e verità, chi io sono. Maria, nel Magnificat, non fa altro che leggere la sua vita nella sapienza di Dio, nella sua misericordia.

 

 

Il Magnificat è la verità su Maria ed è per noi una lezione di vita cristiana: cogliersi a partire non dai nostri stati d’animo o da quello che gli altri dicono o non dicono su di noi, ma a partire da Dio e riscoprendone, all’inizio di quest’Anno della Fede, la caratteristica prima: la sua paternità.

 

 

L’Anno della Fede non può partire senza riscoprire proprio la paternità di Dio nella nostra vita. Questa è l’indicazione mariana di oggi, primo sabato di dicembre; un’indicazione semplice ma essenziale che funge da vera antifona del breve ma importantissimo tempo d’Avvento.

 

 

La Vergine Santissima ci conduca al presepio avendo riscoperto la saggezza di Dio nella nostra vita e facendoci ritrovare in Dio nella verità del nostro essere umano.

 

 

 

 

 

 

 

 

A conclusione della S. Messa – poco prima dell’atto di affidamento a Maria e della benedizione finale – il Patriarca ha, inoltre, aggiunto le seguenti parole:

 

 

In modo particolare vogliamo mettere nell’atto di consacrazione a Maria i bambini e le bambine della nostra Chiesa che si stanno preparando al sacramento della riconciliazione e della prima comunione, i ragazzi e le ragazze che stanno preparando l’incontro con lo Spirito Santo – il sacramento della confermazione – perché i catechisti, le catechiste, i genitori, gli educatori, soprattutto i sacerdoti e i parroci, sappiano essere loro guide nella fede. L’Anno della Fede deve rinnovarci anche nella quotidianità della pastorale ordinaria.