Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia in occasione del pellegrinaggio mariano a Catene / Marghera (3 novembre 2012)
03-11-2012

Pellegrinaggio mariano a Catene / Marghera (3 novembre 2012)

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

All’inizio dell’Anno della Fede ritornano le parole che il Santo Padre Benedetto XVI aveva pronunciato all’inizio del suo ministero petrino a servizio della Chiesa di Roma e quindi della Chiesa universale.

 

Diceva allora: ‘La Chiesa nel suo insieme, e i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza’ (Benedetto XVI, Omelia d’inizio pontificato, 24 aprile 2005).

 

Siamo, quindi, chiamati a ‘condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio’, e la prima cosa da capire è che dobbiamo condurre noi stessi, dobbiamo condurci verso la pienezza della vita.

 

Quando parliamo della fede lo sguardo è proteso verso Gesù Cristo: è Lui l’inizio della fede e ne è il compimento. E’ Lui l’Autore e il Consumatore, la porta e il contenuto della nostra fede, la sapienza di Dio. Cristo, infatti, è il Figlio Eterno dell’Eterno Padre; il Padre è Colui che invia lo Spirito Santo che è Spirito del Padre e del Figlio e tutto avviene in questo dialogo d’Amore che a noi è rivelato dal Figlio.

 

Incominciamo a guardare l’umanità di Cristo e i suoi silenzi. Di fronte a Pilato non risponde, di fronte a Erode si chiude nel silenzio, di fronte all’adultera dice: non ti condanno, ma non peccare più… Andiamo in quest’Anno della Fede a scuola dall’umanità di Cristo; tutto inizia dal rapporto personale con Lui.

 

Il prologo di san Giovanni termina dicendo: Dio nessuno lo ha mai visto, il Figlio che è nel seno del Padre ce lo ha rivelato, ce ne ha fatto l’esegesi, ce ne ha dato la spiegazione. Guardiamo, allora, con coraggio all’umanità di Cristo.

 

Riascoltiamo le parole che Gesù ha detto all’apostolo Filippo e che riecheggiano in tutta la loro forza e il loro valore: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre’ Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?’ (Gv 14, 9-10). Così Gesù è, insieme, il Rivelatore e la Rivelazione: Lui è l’iniziatore e il compimento della fede.

 

Santa Teresa d’Avila, ad un certo punto della sua vita, diceva: io ce l’ho un po’ con quei confessori che ho incontrato e che non mi hanno detto con chiarezza che l’incontro con Dio ha un nome, ha un volto, ha una storia, è una Persona. Gesù, che è un uomo, è la porta che ci conduce a Dio nella sua umanità, perché quando noi penetriamo l’umanità di Gesù Cristo noi troviamo l’io filiale, vero Dio e vero uomo.

 

Tutto quello che è umano è possibilità di incontro con il Signore, guardando proprio a Lui, a Colui che ci dona la salvezza non insegnandoci qualcosa ma chiedendoci di seguirlo. ‘Dove abiti? Venite e vedrete?’ (cfr Gv 1, 38-39), è l’inizio della Chiesa. All’inizio della Chiesa non c’è un convegno, una conferenza o un libro ma un invito a mettersi in gioco: ‘Venite e vedrete’. E quel giorno stettero con lui… Questa è l’origine della Chiesa.

 

Ma l’origine della Chiesa ha un suo inizio ulteriore e precedente: l’umanità di Maria. Maria è Colei che ci dona Gesù; Maria è Madre non solo sul piano biologico e della maternità fisica ma anche sul piano della salvezza. All’inizio della Parola di Dio verso l’umanità c’è una donna.

 

Maria – nel suo essere donna – è quell’umanità al femminile che è immagine viva e reale della Chiesa ed è il nucleo fedele della Chiesa, proprio nella sua femminilità. In tal modo ogni donna diventa, nella sua femminilità e nella sua capacità di dare e custodire la vita, un rimando alla Chiesa come fecondità di Dio.

 

E’ ancora il Santo Padre Benedetto XVI che, al n. 13 della lettera apostolica Porta Fidei, ci ricorda: ‘Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore, lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo’. Vorrei fermarmi su questo punto e lasciare come ‘pensiero’ di questo pellegrinaggio del primo sabato del mese il ruolo e la figura di Maria, completando quello che ho detto finora.

 

Maria, insieme agli apostoli ma in modo differente da essi, è colei che – nella sua femminilità e nella sua maternità – trasmette alla Chiesa qualcosa di unico e irripetibile, a cominciare dall’umanità del Verbo che solo lei poteva trasmettere attraverso quel ‘sì’ femminile, quel ‘sì’ da cui è nata la nuova umanità: la Chiesa.

 

Maria, colei che aveva ricevuto Gesù dallo Spirito Santo a Nazareth, accompagna la Chiesa nascente, è Chiesa nascente nell’attesa della Pentecoste. E, prima della Pentecoste, Maria è la discepola che custodisce nel suo grembo il Signore, il Maestro. Maria è la prima credente, in lei c’è già il ‘sì’ dell’umanità, con lei i Dodici attendono il compimento della promessa di Gesù: ‘Cum Maria, matre Iesu’, ci dicono gli Atti degli Apostoli.

 

Nella Chiesa c’è quindi una linea denominata ‘petrina’, maschile, ma c’è anche una linea ‘mariana’, femminile. La linea ‘petrina’ e la linea ‘mariana’ nella Chiesa si intersecano, sono tra loro distinte, non sono sovrapponibili ma, nello stesso tempo, sono tra di loro indissociabili.

 

Maria, in modo diverso dai Dodici, consegna Gesù alla Chiesa ma – come ci ha ricordato il Papa – lo trasmette in un modo vero, reale e pieno. In questo Maria è realmente la Madre delle grazie perché è la Madre della Grazia. Tra poco celebreremo la Madonna della Salute, la Madonna che salva. E Maria salva perché ci ha donato Gesù e in Lui quindi, attraverso di lei, passano le grazie.

 

Maria è colei che in forza della sua esperienza materna dà e dice alla Chiesa Gesù in modo vero, reale, unico. E’ la linea della verginità consacrata a Dio, del sì totale, umile e silenzioso di chi accoglie il dono della fede vissuta non nell’esercizio di un ministero. Sembra che nella Chiesa non si conti se non si esercita un ministero’ E il Battesimo?

 

Maria è quel ‘sì’ totale nell’apertura al dono ricevuto, in una povertà che arricchisce, in un’obbedienza che libera, in una castità che apre alla fecondità e alla maternità. O, per imitazione di questa, alla paternità spirituale; l’uomo, qui, può solo imitare la donna. Questa è la linea ‘mariana’ della Chiesa.

 

E questo è quanto il Santo Padre ci vuole dire all’inizio dell’Anno della Fede: tutti siamo chiamati ad esprimere questa linea ‘mariana’ nella nostra vita di discepoli; qualunque ufficio, ministero o servizio svolgiamo nella Chiesa. Anche il ministero ordinato, nella sua caratteristica sacramentale, non può non essere arricchito dalla linea ‘mariana’ del discepolato.

 

Riprendo le parole del Papa: ‘Con fede Maria assaporò i frutti della risurrezione di Gesù e, custodendo ogni ricordo nel suo cuore, lo trasmise ai Dodici riuniti con lei nel Cenacolo per ricevere lo Spirito Santo’ (Porta fidei, n.13). Con Maria e come Maria, ogni discepolo è chiamato a ricevere Gesù in un ‘sì’ pieno, indiviso, fedele e poi  trova il senso della vita nello stare con Lui e nel donarlo agli altri, con Maria e come Maria.

 

L’Anno della Fede o si gioca in questa dinamica o non sarà mai un anno di immersione nel mistero di Dio. Perché l’Anno della Fede non è organizzare qualcosa; è mettere in questione il proprio modo di credere, non mettere in questione Dio.

 

E allora l’Anno della Fede per ciascuno di noi – e per le nostre comunità – deve coincidere con la riscoperta di una fede che riproduce in noi l’atteggiamento di Maria, qualunque servizio, ufficio o ministero svolgiamo nella Chiesa. Maria: la prima discepola, la prima credente, la Chiesa nascente, quella zolla di terra feconda in cui la Parola di Dio è stata accolta e ha dato frutto.

 

Maria è innanzitutto la Chiesa nascente, la Chiesa progettata da Dio nel suo germe iniziale (non a caso Maria è l’Immacolata). La santità della Chiesa, la maternità di Maria, la ‘marianità’ della Chiesa è qualcosa che deve qualificare ogni discepolo.

 

Al fonte battesimale ci è stata consegnata la possibilità di un ‘sì’ pieno a Dio, sull’esempio e come imitazione del ‘sì’ immacolato, unico e irripetibile di Maria di Nazareth. E ricordo che la Chiesa antica chiamava il sacramento della riconciliazione il ‘secondo Battesimo’.

 

La Chiesa, che nel suo seno raccoglie noi che siamo un’umanità fragile e peccatrice, conserva in sé un livello certo e pieno di santità totale che ha un volto, ha un nome, è una donna, è una figlia, è una madre: quel ‘resto’ fedele che nel suo ‘sì’ sponsale a Dio l’Antico testamento denomina ‘la figlia di Sion’. E Maria, ‘la figlia di Sion’, è il nucleo iniziale di quel nuovo popolo di Dio che Gesù ha voluto raccogliere intorno a sé: la Chiesa.

 

L’Anno della Fede è a 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II. Io vorrei che, in queste settimane, leggessimo almeno il cap. VIII della ‘Lumen gentium’: Maria e la Chiesa, Maria e la sua maternità che si dischiude come figura di riferimento per tutta la Chiesa, sia per gli uomini che per le donne, sia per i preti che per i religiosi, sia per gli sposati che per i consacrati.

 

Nella Chiesa il ministero ordinato (i vescovi, i presbiteri e i diaconi) – che è una realtà imprescindibile perché appartiene alla struttura stessa della Chiesa – è finalizzato, sotto la grazia di Dio e attraverso ampie vie a noi ignote e conosciute solo a Dio, a risuscitare in ogni uomo e in ogni donna il ‘sì’ incondizionato a Dio, il ‘sì’ di Maria.

 

Quest’Anno della Fede abbia per noi una stella che ci conduca verso una riscoperta gioiosa di Dio e del progetto che Dio ha su ciascuno di noi, sulle nostre famiglie, sui nostri cari e sulle nostre comunità. E Maria sia questa stella dell’Anno della Fede!

 

Maria non è una devozione: fa parte del progetto di Dio, è una realtà teologica che chiede assenso di fede. Quando la fede non è sostenuta dalla devozione diventa un fatto intellettuale e quando la devozione non è sostenuta da una fede capace di dare le ragioni di se stessa è destinata a diventare una creduloneria.

 

Chiediamo al Signore, in quest’Anno della Fede, di essere devoti e credenti, credenti capaci di una devozione che sia richiamo agli uomini del nostro tempo, proprio perché fondata su una vera fede.