Omelia del Patriarca in occasione della Commemorazione dei fedeli defunti nella S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (2 novembre 2021)
02-11-2021

Commemorazione dei fedeli defunti

S. Messa al Cimitero di Venezia / Chiesa S. Michele (2 novembre 2021)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Colpisce notare come il Vangelo della solennità dei Santi sia anche il Vangelo di una celebrazione eucaristica che riguarda la commemorazione di tutti i fedeli defunti.

“Intelligenti pauca”, è un latino accessibile a tutti: all’intelligente bastano poche parole. Vuol dire che nel piano e nel progetto di Dio noi abbiamo un’unica destinazione, quella della santità.

La morte è un passaggio che risente dolorosamente di una scelta dell’umanità: il peccato. Il dire a Dio da parte dell’uomo: non ho bisogno di te, io sono Dio a me stesso. E se questa affermazione non è esplicitata toto corde, con tutto il cuore, è però un’affermazione che molte volte ci appartiene. Tanti sono i ritagli di vita in cui noi siamo criterio di verità, di bene e di giustizia.

Il peccato è fondamentalmente questo: costruire un progetto umano a prescindere dal disegno di Dio. Il progetto di Dio è essere figli con il Padre, essere figli per l’eternità, condividere una vita familiare con Dio per sempre ma quanto la parola “per sempre” è difficile da essere accolta ed accettata nella nostra vita! Va di moda il part-time, anche con Dio. Dire “per sempre” indica la richiesta fondamentale.

Qual è il primo e più grande comandamento? È forse: amerai Dio qualche ora della giornata, qualche giorno della settimana, qualche mese durante l’anno? No, amerai Dio sempre! Ecco, quindi, il matrimonio cristiano: prendo te per sposo (o sposa) nella buona e nella cattiva sorte, per sempre.

Amare Dio per sempre è la ricostruzione del progetto umano che inizia dal battesimo in cui ricostruiamo quell’uomo che abbiamo distrutto e siamo solidali con tutti gli uomini. Un monaco armeno vissuto intorno all’anno Mille, Gregorio di Narek, si sentiva solidale – soprattutto dal momento in cui era diventato prete – con tutte le mancanze, i peccati e le torture dell’umanità.

Nell’orazione, con cui abbiamo iniziato la nostra celebrazione, abbiamo detto: “Concedi ai tuoi fedeli defunti che, vinta la condizione mortale, possano contemplarti in eterno creatore e redentore…”.

La prima lettura (Sap 3,1-9) ci ha ricordato che la morte, agli occhi degli stolti, è ritenuta una sciagura. “Credo la vita eterna” non è solo un’affermazione che riguarda il post mortem – anche qui è un latino accessibile – perché non è solo una verità che riguarda il dopo-morte.

Se io credo nella vita eterna sono una persona libera, una persona che si libera da quello che oggi va di moda tra gli uomini al punto che, prima di fare o dire qualcosa, ci si preoccupa su cosa pensano gli altri di me e cosa diranno gli altri di me.

Proviamo ad accostarci al Vangelo con questo criterio e facciamo un po’ questo esercizio: ci sono dei piccoli Vangeli che costano pochi euro, compriamo un pennarello e cominciamo a cancellare tutto quello che secondo il pensiero degli altri, secondo il giudizio degli altri, potrebbe essere considerato sconveniente. Ditemi quanti versetti del Vangelo rimarrebbero non cancellati. Così facendo, inoltre, non avete soltanto un Vangelo molto più breve ma semplicemente non avete più il Vangelo.

“Credo la vita eterna”: ripetiamolo nella giornata di oggi e riprendiamo la bella colletta del terzo schema della celebrazione eucaristica di oggi dicendo: “Concedi a me, Signore, che vinta la mia condizione mortale, possa contemplarti in eterno come mio creatore e mio redentore”.

La morte non è un dramma, è una tragedia per chi non ha fede ed allora il mondo viene in soccorso invitando a non pensare: carpe diem, vivi alla giornata, come se non esistesse la verità. ma esiste la verità. Che sia difficile raggiungere la verità è vero – è la prima affermazione vera sulla verità – ma se non esiste la verità, allora, non esiste nemmeno il criterio del bene e del male.

In un’intervista lo scrittore Andrea Camilleri diceva che non avere la fede lo portava ad avere un po’ di invidia per chi l’aveva, lui che non si considerava ateo militante ma un non credente possibilista.

Cito spesso – sin da quando ero seminarista – un’affermazione del filosofo marxista Antonio Banfi, un ideologo, un uomo di cultura, sepolto in Brianza nel cimitero di Vimercate. Gli chiesero: “Compagno, tu che hai un tumore, tu che hai poco da vivere ma che hai studiato e sei colto, dicci un po’ che cosa si prova alla vigilia del grande viaggio verso il nulla”. Risposta di Antonio Banfi: “Una grande nostalgia di quando facevo il chierichetto”.