Pellegrinaggio mariano dai Gesuati alla Salute (Venezia, 6 ottobre 2012)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Iniziamo oggi i pellegrinaggi diocesani del primo sabato del mese guardando all’ormai imminente Anno della Fede. Ci volgiamo quindi a Maria, definita dall’evangelista Luca ‘beata perché ha creduto’. L’Anno della Fede è, per ciascuno di noi e per la chiesa di Venezia, un impegno a riscoprire e a vivere intimamente la grazia e la responsabilità della nostra fede.
La fede è un dono che Dio non fa mancare nella vita dei suoi figli e così possiamo dire che grazia, libertà e responsabilità costituiscono l’uomo innanzi a Dio. La nostra storia è inscindibilmente il raccordo fra la grazia di Dio, la nostra libertà e l’impegno della responsabilità. Maria ci aiuti, in questo Anno della Fede, a scegliere l’unica cosa importante: appartenere a Colui che, solo, può donarci la vera gioia del cuore.
Il pellegrinaggio, da sempre chiede di sospendere, almeno per un poco, l’ordinarietà della vita per guardare il senso del vivere a partire dal suo significato ultimo che, immersi come siamo nelle faccende di tutti i giorni, rischia di essere costantemente smarrito. Pellegrinare vuol dire andare verso la meta. E quella meta, per il cristiano, si chiama Gesù il Signore. La scelta, quindi, è andare al Signore Gesù con Maria, la prima discepola, colei che Gesù dalla croce ci ha voluto dare come madre.
In questo primo pellegrinaggio del primo sabato di ottobre – mese del Rosario – voglio riflettere proprio su questa preghiera, la preghiera del rosario, che – a ragione – può essere definita il ‘compendio del Vangelo’. Il Rosario, infatti, è la via semplice e popolare alla contemplazione di Gesù Cristo nel suo mistero e del suo volto. Il Santo Rosario, allora, dobbiamo riscoprirlo perché è strumento, uno degli strumenti, per vivere l’Anno della Fede.
L’Ave Maria ha un cuore. E questo cuore è Gesù. Nell’Ave Maria noi diciamo: ‘Il Signore è con te’. E, ancora, diciamo: ‘Benedetto il frutto del tuo seno Gesù’. Cristo è, dunque, il cuore dell’Ave Maria. I misteri della vita di Cristo, inoltre, sono i punti nodali di questa preghiera che è, essenzialmente, preghiera cristologica. Una preghiera in cui si va a Gesù, attraverso l’intercessione e l’accompagnamento di Maria.
La preghiera del Santo Rosario, a ben vedere, risulta essere commento e traduzione, in termini di preghiera popolare, dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II. L’ottavo capitolo della Lumen Gentium è, appunto, intitolato ‘La beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa’. Certo, dobbiamo ricentrare meglio la preghiera del Santo Rosario sui misteri enunciati all’inizio delle singole decine.
Giovanni Paolo II poi, per irrobustire il senso cristologico della preghiera del Santo Rosario stabiliva che – oltre ai misteri della gioia, del dolore e della gloria – trovassero posto anche i misteri della vita pubblica di Gesù, denominati ‘misteri della luce’. Lo sguardo di chi prega il Rosario è quindi proiettato verso la totalità dei misteri di Cristo.
Sembra che solo chi non conosce questa preghiera – nel suo vero e profondo significato – possa non ritenerla cristologica, possa ritenerla non in linea con il Concilio Vaticano II e possa ritenerla ripetitiva e non contemplativa.
Come le cattedrali medioevali – con le loro vetrate, i loro mosaici e i loro dipinti – sono state la Bibbia e il Catechismo di chi non sapeva né leggere né scrivere, di chi non aveva la possibilità di accedere alle grandi biblioteche o summae teologiche del tempo, così il Rosario è stato e rimane la preghiera dei semplici, di chi non aveva e di chi non ha la dimestichezza con i libri liturgici e i classici della spiritualità cristiana sulla preghiera. Il Rosario: la preghiera dei semplici, la preghiera con Maria, la preghiera ‘democratica’ per eccellenza che non richiede, vivaddio, né baccalaureati né licenze o dottorati e cicli di ricerca, ma semplicemente un cuore capace di stupirsi.
Se noi togliessimo dalla preghiera del Rosario tutto quello che, direttamente o indirettamente, è testo evangelico, se dall’Ave Maria noi togliessimo ciò che si riferisce al Vangelo, che cosa ne rimarrebbe? Il Padre nostro che origine ha, dove lo troviamo? I misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi e della luce da dove provengono? Come si è potuto dire, allora, che il Santo Rosario non è una preghiera in sintonia con la Bibbia e il Nuovo Testamento? E, stante il capitolo VIII della Lumen Gentium – Maria nel mistero del Cristo e della Chiesa -, come si è potuto dire che il Rosario non è un modo di pregare in linea con lo spirito e la lettera del Concilio Vaticano II?
L’Anno della Fede, a 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, ci aiuti a superare tanti luoghi comuni che appartengono a chi ha secolarizzato la propria fede, a chi non ha più un cuore capace di stupirsi, a chi non ha più l’animo del bambino. Sono i bambini che amano stare con la madre. Tanti luoghi comuni, tanti luoghi comuni che nascono anche da una teologia che pone se stessa come strumento di salvezza al di là e della Scrittura e del costante insegnamento della Chiesa, prima e dopo il Concilio Vaticano II.
Al termine della celebrazione compiremo l’atto di ‘affidamento’ alla Beata Vergine Maria; vi è stata consegnata la formula e chi non l’avesse la può ritirare dai seminaristi. L’antico termine ‘consacrazione’ è considerato atto più ‘teologale’ e a questo termine si preferisce, perciò, l’espressione ‘affidamento’ a Maria. E’ Giovanni Paolo II che ha operato questa scelta, a favore del termine ‘affidamento’, così da riservare il termine ‘consacrazione’ a Dio e alla sua azione. Con l’espressione ‘affidamento’ si intende, soprattutto, rimarcare la differenza che si dà tra gli atti che riguardano Dio e quelli che coinvolgono, invece, direttamente la Beata Vergine Maria – la Madre – che svolge la sua funzione a vantaggio di noi figli. La consacrazione a Maria non può, quindi, mai essere considerata in competizione o in alternativa con quella a Dio. E, allora chiamiamolo ‘affidamento’.
L’affidamento a Maria deriva dalla consacrazione di Maria a Dio ed è finalizzata alla consacrazione a Dio. Nell’unica mediazione del Verbo incarnato esistono altre mediazioni tra cui quella di Maria, ‘mediazione materna’ (v. Concilio Vaticano II). L’affidamento a Maria dice allora fiducia e consegna di sé, della propria vicenda personale e delle propri cose ad una persona a cui vogliamo bene, che ci vuole bene e di cui ci fidiamo. Una persona che, dalla croce, Gesù ci ha consegnato come Madre.
L’affidamento a Maria, a ben vedere, non solo non toglie nulla a Gesù, l’Unigenito di Dio, ma è ‘obbedienza cristologica’: ‘Figlio, ecco tua Madre’, ‘Madre, ecco tuo figlio’. E ogni obbedienza cristologica, al fondo, è obbedienza teologica.
A tutti auguro un santo Anno della Fede e a tutti do appuntamento domenica 14 ottobre, alle ore 15.30, in Piazza S. Marco.
La nostra fede è adesione nel cuore e proclamazione con la bocca, il segno della Parola che diventa gesto corporeo. Una vera fede non è mai chiusa nell’intimo. Nasce da un cuore e si esprime nel corpo, nella vita, nella storia di una persona e di una comunità. Altrimenti non è fede dell’incarnazione.
Voglio ricordare, in questo pellegrinaggio, quei genitori che hanno perso i figli. E ricordo, in modo particolare, Francesco i cui genitori ho incontrato ieri a Jesolo; in questi giorni cade l’anno da cui c’è stata questa separazione violenta legata ad un incidente stradale.
Voglio ringraziare anche i confratelli sacerdoti per la loro presenza e per la loro testimonianza, in modo particolare anche quelli che si sono resi disponibili per la riconciliazione, un sacramento che dobbiamo riscoprire in questo Anno della Fede. Ringrazio coloro che sono venuti da lontano e che sono segno per le loro comunità.
Affidiamo questa piccola iniziativa del pellegrinaggio a Maria perché il Signore viva di più nelle nostre comunità.