Omelia del Patriarca emerito nella Messa del giorno di Natale (Basilica S. Marco - 25 dicembre 2005)
25-12-2005

Natale 2005 Messa del giorno
Basilica di San Marco

Venerato pastore di questa Chiesa,
fratelli e sorelle carissimi,

‘Un giorno santo è spuntato per noi: venite tutti ad adorare il Signore; oggi una splendida luce è discesa sulla terra’: così canta oggi la liturgia.
Il Natale è la festa della speranza e porta con sé la bella notizia che Dio non ci ha abbandonati nella nostra incapacità a salvarci da soli ma è venuto a cercarci donandoci Gesù, il Figlio; donandocelo bambino, com’è ogni uomo che nasce: sua madre, Maria, lo ha avvolto in fasce e lo ha deposto in una mangiatoia. Gli angeli, annunziandolo ai pastori, hanno cantato ‘gloria a Dio e pace agli uomini che Dio ama perché oggi, nella città di Davide, è nato per noi un salvatore’.
E’ questa la ragione della gioia che traspare da tutta la liturgia. Abbiamo ascoltato il profeta Isaia: ‘Prorompete in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perché il Signore ha consolato il suo popolo’Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio’ (Is 52,7-10). E il Salmo 97: ‘Il Signore ha manifestato la sua salvezza.. Egli si è ricordato del suo amore..’.
La lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato, ci ha detto che ‘Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ci ha parlato per mezzo del Figlio”.
Il Natale ci svela proprio questo: Dio stesso si mette sulle strade dell’uomo, travolto dalla deriva del male e della morte, per cercarlo e salvarlo. Come un giorno scese a cercare Adamo, perduto nel suo peccato, così ora Dio si impegna per l’uomo in un modo ancora più grande, unico e singolare.
Ce lo proclama il Vangelo di S Giovanni che abbiamo appena ascoltato. Dopo aver proclamato: ‘In principio era il Verbo (cioè ‘il Figlio di Dio’) e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio’, Giovanni afferma che proprio ‘ il Verbo è divenuto carne ed è venuto a stabilirsi in mezzo a noi’.
Certo siamo di fronte a un grande mistero, che però è un infinito dono di speranza: il Figlio di Dio si fa uomo, si fa ‘carne’. ‘Dio ha talmente amato il mondo da dare per noi il suo unico Figlio’ (Gv 3,16).
Per entrare un po’ nell’intelligenza del mistero, dobbiamo evidenziare alcune scelte espressive dell’evangelista. Per dirci che il Figlio di Dio si è fatto uomo, Giovanni usa il termine: ‘carne’. Esso ovviamente indica che il Verbo si è fatto uomo. Usando però il termine ‘carne’ Giovanni sottolinea che il Figlio di Dio non ha assunto la forma del ‘superuomo’, ma una umanità fragile come la nostra, sottoposta alla debolezza, capace di soffrire e di morire. Una umanità così uguale alla nostra ‘da imparare l’obbedienza al Padre dalle cose che patì’ (Ebr 5,8).
L’altra rivelazione che ci fa l’evangelista Giovanni con la sua scelta delle parole è che il Figlio di Dio, incarnandosi, è venuto ‘a stabilirsi in mezzo a noi’. Letteralmente: ‘ha piantato in mezzo a noi la sua tenda’. ‘La tenda’ evoca il luogo in cui Dio, durante il cammino di Israele nel deserto, si rendeva presente in mezzo al suo popolo e si spostava con lui, per condurlo quasi per mano, come un padre conduce il proprio figlio.
Così Dio in Gesù realizza la sua presenza nella nostra storia: Gesù si accompagna a ogni uomo e ogni donna, vivendo dentro la nostra storia, partecipe di essa, esperimentandone la fatica e le ambiguità, confrontandosi con la presenza del male fino alla tragica morte sulla croce.
Questo ci dischiude immensi orizzonti di speranza. Noi di fronte alla fatica della storia di tutti i giorni, come di fronte alle guerre, alle violenze e alle ingiustizie da cui siamo avvolti, siamo tentati dall’interrogativo se forse la storia non sia sfuggita dalle mani di Dio. Il Natale ci assicura che Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, cammina con noi e fatica con noi. Ma proprio questo ci assicura che la nostra storia non è abbandonata da Dio, ma è da lui amata e salvata: talmente amata da essere pagata al prezzo del dono del Figlio.
Questo, certo, ci dà speranza, ma ci apre anche esigenti campi di impegno. Il Figlio di Dio, assumendo la nostra ‘carne’, si è, misteriosamente ma realmente, unito a tutti gli uomini, facendosi ‘il primogenito’ di molti fratelli. In tal modo però ha raccolto anche noi in un mistero di solidarietà con tutti gli uomini, in lui diventati figli dello stesso Padre e fratelli. Così solidali con lui da ritenere fatto a sé o non fatto a sé ciò che noi abbiamo fatto, o non abbiamo fatto, per il più piccolo dei nostri fratelli.
Questo dovrebbe rendere i nostri occhi capaci di vedere nel volto di ogni uomo e di ogni donna le sembianze stesse di Cristo, che sono poi le sembianze di Dio, Padre di tutti, e sono quindi le nostre stesse sembianze. Anche questo diventa compito che ci impegna in una testimonianza di relazioni nuove, fatte di solidarietà, di accoglienza e di vera giustizia, tali da renderci autentici costruttori di pace: quella pace da noi tanto desiderata e implorata, che Gesù è venuto a portare sulla terra: ‘pace agli uomini che Dio ama!’.

L’evangelista Giovanni, nel vangelo che abbiamo ascoltato, ci mette però di fronte anche a un dramma che attraversa tutta la storia, e ci interpella. Egli dice che: ‘il Figlio di Dio fatto uomo, era nel mondo’ eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto’ (Gv 1,10-11).
Noi lo sappiamo: Gesù, durante la sua vita terrena, non fu accolto dai suoi. Per quanto egli con le parole e con i miracoli cercasse di accreditare la sua origine da Dio, è stato rifiutato e crocifisso fuori della sua città, rifiutato!.
Dio però lo ha approvato risuscitandolo dai morti e facendo della sua risurrezione non un atto di vendetta contro chi lo aveva rifiutato, ma l’offerta gratuita del perdono, all’unica condizione che i cuori si aprissero nella fede ad accoglierlo.
Questo rifiuto di Gesù attraversa anche la nostra storia e ci interpella personalmente. Il Natale oggi sfida anche noi. Davanti alla grotta di Betlemme, davanti al Figlio di Dio che si è fatto ‘carne’, cioè uomo debole, povero e mortale per noi, noi siamo chiamati a una decisione che sia una scelta di vita coerente con la nostra fede.
Una decisione e una scelta di vita da chiedere nella preghiera umile. La fede è dono di Dio. Chinarci dinnanzi a un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia e adorarlo come il Figlio di Dio, è grazia, solo grazia. E solo a partire dal dono della fede noi diventeremo capaci di vivere secondo il Figlio di Dio, regolati dal suo Vangelo. Oggi dobbiamo chiedere al Signore il dono della preghiera e dell’adorazione.

Ci aiuti Maria, la Santa Madre di Gesù, a cogliere il senso profondo e coinvolgente del mistero del Natale: Lei che ne è stata umile e generosa protagonista, che lo ha custodito nel cuore e ad esso ha consegnato la vita, ottenga per noi la grazia di credere umilmente e di adorare.