Omelia del Patriarca e Presidente della Conferenza Episcopale Triveneto nella S. Messa in occasione del Convegno ecclesiale triveneto sulla liturgia (Verona, Cattedrale di S. Maria Matricolare, 30 settembre 2023)
30-09-2023

S. Messa in occasione del Convegno ecclesiale triveneto sulla liturgia

(Verona, Cattedrale di S. Maria Matricolare, 30 settembre 2023)

Omelia del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Un cordiale saluto ai confratelli vescovi, ai presbiteri, ai diaconi, alle persone consacrate, ai laici, ai delegati delle Diocesi della Conferenza Episcopale del Triveneto qui convenuti e a quanti seguono la celebrazione attraverso la televisione.

Un ringraziamento alla Chiesa che è in Verona e al Suo pastore, mons. Pompili, alla Commissione Regionale per la Liturgia della Conferenza Episcopale del Triveneto, al Vescovo delegato mons. Crepaldi e a quanti hanno animato e curato i differenti momenti del convegno. Ancora un grazie particolare ai relatori mons. Gianmarco Busca e suor Elena Massimi.

La parola di Dio, proclamata nella seconda lettura, ci invita a guardare a Gesù e bene ci inserisce di nuovo nel tema del convegno: “Ritrovare forza dall’Eucaristia”.

“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (Fil 2,5-7). Ma per una comunità cristiana, per i suoi membri, è così difficile avere gli stessi sentimenti di Cristo. E, allora, come possiamo farli crescere in noi?

Richiamo un passo del Concilio Vaticano II: “…non è possibile che si formi una comunità cristiana se non assumendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra eucaristia, dalla quale deve quindi prendere le mosse qualsiasi educazione tendente a formare lo spirito di comunità. A sua volta – continua il testo – la celebrazione eucaristica, per essere piena e sincera, deve spingere sia alle diverse opere di carità e al reciproco aiuto, sia all’azione missionaria e alle varie forme di testimonianza cristiana” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Presbyterorum ordinis n. 6).

Il richiamo, quindi, è ad una Chiesa “diaconale”, che assume la forma di Cristo e si pone al suo servizio; una comunità che “serve” l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo, fatto – ricorda san Paolo – di spirito, anima e corpo (cfr. 1 Ts 5,23).

Sant’Agostino afferma che, nutrendoci sacramentalmente e spiritualmente dell’Eucaristia, siamo “compaginati”, ossia diventiamo ciò che riceviamo: “Siamo diventati suo corpo e, per la sua misericordia, quel che riceviamo lo siamo” (cfr. Sermone 229). Il corpo storico glorificato di Cristo – nato dalla Vergine Maria – si rende presente nel corpo sacramentale, attraverso i segni del pane e del vino “eucaristizzati”, e nel corpo comunionale della Chiesa di cui siamo tutti membri.

La Chiesa nasce sulla croce, dal cuore squarciato di Cristo, nuovo Adamo; nei segni sacramentali si rende presente il Cristo pasquale dal quale nasce la Chiesa che splende della bellezza di Cristo che muore e risorge.

Allora è l’Eucaristia a plasmare, a dare forma alla Chiesa, e non viceversa; non è la comunità a plasmare e a dare forma dell’Eucaristia. È, piuttosto, nell’Eucaristia che Cristo continua ad attirare tutti a sé (cfr. Gv 12,32) e così la comunità eucaristica convocata dal Signore è realtà viva, è la comunità del Risorto.

Qual è l’immagine autentica della Chiesa che si lascia plasmare dall’Eucaristia? Seppur in luoghi, contesti e situazioni differenti, sono le comunità che – nell’unità della confessione della fede, anche se attraverso diverse forme liturgiche – riconoscono ed affermano nella fede e nella prassi il mistero dell’unico Cristo da esse testimoniato.

“Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5) che plasmano la comunità e generano – come detto – una Chiesa “in servizio”, in stato “diaconale”.

L’Eucaristia plasma la comunità ecclesiale al punto che essa è chiamata a far esodo, a passare dal possesso che attira a sé – l’eros – all’agàpe che sgorga da comunità forgiate dal dono di sé, non più alla ricerca del possesso del bene e del bello ma pronte a condividere il bene, il bello e la gioia che ne consegue per tali elementi così preziosi e necessari per la vita umana.

È tutta da interpretare la famosa frase di Dostoevskij: “La bellezza salverà il mondo”. Ma Cristo è il Bel Pastore e il Buon Pastore!

La carità/agàpe – altro nome che indica l’Eucaristia – è quella di Cristo e nasce sulla linea dell’umana solidarietà e dell’umana comprensione, ma va oltre poiché è quell’amore che solo Cristo può dare.

La cultura cristiana è, alla fine, una cultura eucaristica; la solidarietà cristiana è, alla fine, una solidarietà eucaristica; la vera pastorale, a sua volta, non può non essere eucaristica.

Ripensiamo, allora, alle parole di Gesù al termine della Cena: io sono in loro ed essi in me (cfr. Gv 17, 20-26). Siamo, quindi, invitati ad andare oltre, a non fermarci al dono ma a condividere – quasi a far nostre – le malattie, le nuove e vecchie povertà, le fragilità del fratello e della sorella perché non si può accogliere pensando di non sporcarsi le mani, di non essere coinvolti.

La comunità eucaristica deve lasciarsi coinvolgere nel contesto in cui è chiamata a vivere. Il commiato, al termine della celebrazione e nelle sue molteplici versioni, accompagna ogni Messa: “La Messa è finita: andate in pace”, “Andate e annunciate il Vangelo del Signore”, “Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace”, “Portate a tutti la gioia del Signore risorto. Andate in pace” o ancora “La gioia del Signore sia la vostra forza. Andate in pace” (dal Messale Romano).

Molte sono le forme ma unico è il mandato: andate e vivete nella pace, nella gioia che avete ricevuto e sperimentato in quest’Eucaristia, andate ad annunciarle a tutti e, quindi, a viverle per renderle visibili e concrete là dove vivete la vostra quotidianità.

Nel II secolo la prima Apologia di Giustino ammonisce la comunità che celebra sotto la presidenza del Vescovo: “Alla fine coloro che hanno in abbondanza e lo vogliono, dànno a loro piacimento quanto credono. Ciò che viene raccolto, è deposto presso colui che presiede ed egli soccorre gli orfani e le vedove e coloro che per malattia o per altra ragione sono nel bisogno, quindi anche coloro che sono in carcere e i pellegrini che arrivano da fuori. In una parola, si prende cura di tutti i bisognosi” (San Giustino martire, Prima Apologia a favore dei cristiani, cap. 66-67; PG 6, 427-431).

L’Eucaristia è al centro della storia e non viene meno nella sua attualità perché “contiene”, nel mistero, il Signore Gesù che chiede alle nostre comunità di diventare, in Lui e con Lui, “buoni samaritani” che non volgono lo sguardo dall’altra parte ma si chinano a lavare ed ungere le ferite del malcapitato di turno, facendosene carico e recandosi là dove il bisogno è maggiore e le ferite più profonde.

Il vero servizio ecclesiale nasce, quindi, dall’Eucaristia ed è la verifica delle nostre celebrazioni, ossia le rende “vere”; è il segno visibile che nasce dalla presenza di Cristo e dalla sua ultima realtà, la sua carità che si storicizza grazie agli uomini e alle donne che, nella loro umanità, diventano altrettante “eucaristie”.

La Chiesa è questo, non è un’associazione sociale sul territorio.

L’Eucaristia, “in Cristo”, ci costituisce persone e ci fa andare oltre la dimensione dell’individuo che distingue e separa dagli altri o vanta diritti acquistandoci la dimensione di persona che offre il dono e va oltre le risorse umane che, se va bene, non superano gli schemi invalicabili del diritto.

L’Eucaristia celebrata, come il Signore vuole, trasforma gli individui in persone, la società in comunità, fa fiorire la legge dell’amore e del dono reciproco. Comunità viene dal latino cum munus, mettere insieme i doni.

Non si è comunità fino a quando non si mettono insieme i doni, a cominciare dal Dono per eccellenza che è Gesù.

L’amore eucaristico, infine, si misura sulla verità, dove amore e verità sono un binomio indissolubile che rende l’amore autentico – non una bugia, non una scorciatoia, non una via di fuga –  e la verità sempre misericordiosa.

La parola proclamata nella celebrazione crea comunione poiché è tempo d’ascolto che fa crescere la comunità in una fede condivisa al punto da poter celebrare insieme il banchetto, segno profondamente umano ad ogni latitudine e che costituisce la comunità “familiare”, dove più nessuno deve sentirsi estraneo.

Certamente l’Eucaristia è un convito ma un convito pasquale e, quindi, una cena che non può prescindere dalla croce, ossia Gesù Cristo nell’atto di donarsi per costruire una comunità di persone, non più di individui, che fanno del dono di sé il criterio di discernimento della storia in cui vivono.

Chiediamo al Signore che le nostre Chiese siano sempre più autentiche comunità eucaristiche e portino in loro “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (cfr. Fil 2,5).

Sì, ritroviamo la forza dall’Eucaristia, rinnovando in essa la nostra appartenenza ecclesiale e il nostro impegno missionario di vivere e annunciare il Vangelo lasciandoci sempre plasmare da Gesù.

La Beata Vergine Maria ci accompagni in questo cammino quotidiano.