Omelia del Patriarca durante l'azione liturgica della Passione e Morte del Signore (Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco - 25 marzo 2016)
25-03-2016

Azione liturgica della Passione e Morte del Signore

(Venezia, Basilica Cattedrale di San Marco – 25 marzo 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

“…io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Il criterio interpretativo che ci aiuta a entrare in questa narrazione – che ci dice quanto sia fragile, logoro e precario sia il mondo degli uomini – è Gesù-Verità. Il cristiano dovrebbe, di fronte al mondo, là dove vive, là dove trascorre la sua esistenza, avere sempre di più nella mente e nel cuore il fatto che non sono gli uomini il criterio, ma la Verità di Dio.

Quante volte ci capita di dire, come Pietro: “…non lo conosco” (Lc 22,57). Battezzati, credenti, osservanti, praticanti… eppure quante volte lo ripetiamo nella nostra vita!

“«…volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!»” (Gv 18, 39-40). Ecco le scelte del mondo, di fronte a Colui che è stato dipinto in modo mirabile nella prima lettura tratta dal profeta Isaia, Colui che era innocente, colui che ci guariva con le sue piaghe, colui dal quale siamo salvati… Di fronte a lui c’è un delinquente, un brigante, un assassino. E gli uomini scelgono il brigante, l’assassino, il delinquente. Quanti complessi di inferiorità abbiamo nella nostra vita battesimale!

Ai piedi della croce troviamo poi Maria la Madre, Maria di Clèopa, Maria di Magdala. E c’è Giovanni… La prima cosa che dobbiamo notare è questa: non c’è tutta la Chiesa. E gli altri dove sono? Ieri il Vangelo, sempre di Giovanni, iniziava parlando di Giuda Iscariota, uno dei Dodici.

Ai piedi della croce c’è solo un frammento di Chiesa ed è una Chiesa “minoritaria” come numero. Ma il numero – l’audience – non fa la verità. La verità è Gesù Cristo eppure il mondo gli ha preferito Barabba. Gli ha preferito un delinquente, un omicida.

“…io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37). E ci colpisce, ma solo fino a un certo punto, la domanda-risposta di Pilato perché in fondo è la domanda-risposta di ogni uomo e la domanda-risposta di ogni epoca: “Che cos’è la verità?” (Gv 18,38).

La verità è ciò che molte volte ti viene meno bene, ti è meno utile, ti è più scomodo. La verità, molte volte, è stare con la minoranza. La verità, molte volte, è sapere – liberamente e non forzatamente – scegliere o accettare l’ultimo posto.

La narrazione della passione di Gesù è davvero una sintesi di storia della teologia e di storia delle anime. C’è la figura inquietante di Giuda Iscariota e c’è la figura (consentitemi di dirlo…) quasi tragicomica di Pietro che poco prima aveva detto a Gesù: “Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte” (Lc 22,33).

Ma basta una giovane portinaia (sappiamo quanto “valevano” le donne all’epoca di Gesù e saranno proprio loro le prime testimoni della risurrezione, in un contesto in cui la testimonianza delle donne non valeva nulla) che accenni semplicemente al fatto che lo aveva visto con loro, per far dire a Pietro: “…non lo conosco” (Lc 22,57).

E sempre poco prima aveva cercato un’altra soluzione umana al dramma che stava per crescere e svilupparsi: aveva tirato fuori la spada per tagliare l’orecchio al servo del sommo sacerdote… (cfr. Gv 18, 10-11). Le risposte umane, la risposta di Gesù.

I Vangeli ci ricordano spesso che “era necessario” e “bisognava” che ci fosse la croce, ma questo – “era necessario” e “bisognava” – non è da parte di Dio. Solo una certa teologia – che si affermerà dal decimo secolo in poi – parlerà della “soddisfazione”, almeno in certi termini sempre più rigidi.

Era necessario, a partire da quello che ci viene detto dopo le tentazioni: “Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” (Lc 4,13). Torna nell’ora delle tenebre. Aveva, infatti, detto Gesù: “…viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre” (Gv 14, 30-31).

Gesù, allora, è l’umanità libera e creata; è vero uomo e, quindi, nel sì detto al Padre era necessario che ci fosse un’umanità libera e responsabile, che assumesse la parte di Dio in una storia che si era allontanata da Dio. Ecco l’umanità di Cristo, la libertà di Cristo, l’io di Cristo, la psicologia di Cristo che si unisce mirabilmente all’unica persona del Verbo; è una vera umanità. Ci voleva proprio una libertà creata, un’umanità libera, che dicesse il suo sì.

E l’uomo può dire il suo sì solamente all’interno di questo trinomio che, appunto, lo costituisce uomo: nascita, vita e morte. Il sì di Gesù è il sì pieno e convinto al Padre – “…io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità” (Gv 18,37) – di quell’umanità creata che avrebbe dovuto essere corrispondente al piano di Dio, se non ci fosse stato il peccato.