Omelia del Patriarca durante la S. Messa nella Pasqua di Risurrezione del Signore (Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 31 marzo 2024)
31-03-2024

S. Messa nella Pasqua di Risurrezione del Signore

(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 31 marzo 2024)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Carissimi,

siamo giunti, così, al giorno di Pasqua: è il giorno che dà senso ad ogni altro giorno dell’anno.

Nella notte appena trascorsa abbiamo vissuto la veglia che, da sant’Agostino, è detta la “madre di tutte le veglie” e quell’azione liturgica intensa e coinvolgente ci ha fatto rivivere l’evento della nostra liberazione.

Nell’Antico Testamento s’intendeva la liberazione dalla schiavitù della terra d’Egitto. La festa ebraica della Pasqua aveva antichissime origini (agricole, pastorali e nomadi) e costituiva il memoriale della liberazione del popolo ebreo dalla schiavitù d’Egitto.

Gesù si inserisce esattamente in questa tradizione e la porta a compimento: la liberazione completa dell’uomo da ogni forma di schiavitù, soprattutto da quella che lo incatena, ossia il peccato che segna il singolo e la comunità. Il peccato è trasgressione della legge ma, innanzitutto, è il rifiuto di riconoscersi appartenenti al piano di Dio.

La Chiesa orientale conosce un’icona della Pasqua in cui si rappresenta Gesù che scende agli inferi per liberare Adamo, i patriarchi, gli antichi profeti.

In un’antica “Omelia sul Sabato santo” del secondo secolo – attribuita dalla tradizione ad Epifanio – Cristo si rivolge ad Adamo, lo prende per mano e, scuotendolo, gli dice: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti… Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio”.

Questo è l’annuncio pasquale, che ci parla della libertà come ricostruzione e consegna dell’uomo a se stesso. Gesù entra e discende negli inferi, ossia nella prigione dove si trovano – in attesa della libertà – Adamo, gli antichi patriarchi e profeti.

È quella prigione in cui Cristo entra, per liberare chi vi si trova, dovunque c’è un’alienazione e una privazione della libertà dell’uomo. La grande libertà si misura sempre sulla verità dell’uomo, perché la libertà non è l’arbitrio o il capriccio di fare ciò che si vuole, il potere e il voler decidere quello che più aggrada.

La libertà – nel suo vero significato – è comunione, partecipazione e verità. Comunione vuol dire, innanzitutto, relazione: se c’è incapacità di relazionarsi con gli altri, manca la libertà. Se poi manca la partecipazione – “io ci sono” –, manca la libertà. Se però comunione e partecipazione prescindono dalla verità, allora non sono ancora quella comunione e quella partecipazione in grado d’esprimere la libertà della persona.

Riprendiamo quanto Gesù dice sulla libertà e sulla verità, a cominciare da quanto afferma nel drammatico dialogo con Pilato: “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,36).

Che cosa caratterizza la prigionia di un uomo? La privazione della libertà, la mancanza di comunione, di autentica partecipazione e, soprattutto, di verità.

Di nuovo vengono alla mente le parole dell’antica omelia del secondo secolo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà”.

Questo è il tema fondamentale del discepolato cristiano: vivere la Pasqua. La nostra Pasqua nasce dal Battesimo che è, appunto, un gesto di comunione e partecipazione nella verità di Cristo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà”.

Quante, nella storia, le prigioni che si sono succedute e che, oggi, viviamo e che ancora si succederanno fino alla fine dei tempi! Ritroviamo continuamente la non libertà e la prigionia dell’uomo nell’assenza di verità, di comunione e di partecipazione; possiamo – più esattamente – parlare di comunione negata, di partecipazione negata, di verità negata.

Non si celebra e non si vive veramente la Pasqua quando la comunione e la partecipazione non assumono consistenza nella verità che è lo stesso Cristo risorto. Il pericolo che sempre corrono la comunità cristiana e le singole persone è quello d’essere comunità e discepoli privi di coraggio.

Noi talvolta pensiamo e crediamo che dire e fare la verità sia una forma di supponenza o arroganza, ma se il nucleo della nostra fede religiosa non può fondarsi sulla verità – che, per noi, è la persona stessa di Gesù Cristo – allora la nostra fede cristiana diventa solo un’abitudine, un’opinione, una delle tante “costruzioni” umane.

Se vogliamo ritornare alla autenticità della professione di fede battesimale, dobbiamo ricordare le promesse e le rinunce che stanno alla base del Battesimo e, soprattutto, della vita cristiana che è fondata su questa rinuncia e professione di fede.

Chi “omette” la domanda sulla verità offende l’uomo, rende disumano l’uomo, non riconosce la dignità dell’uomo. Se la verità non esiste, allora non c’è neppure il bene e il male, la giustizia o l’ingiustizia e così l’ordine sociale coincide con la forza del più forte che diventa, di volta in volta, la norma per i più deboli; mi riferisco alla forza economica e finanziaria, politica e dei media.

Se queste forze non sono normate e costruite a partire dal rispetto della verità e quindi della dignità delle persone, diventano strumenti di tirannia e di dominio. Oggi tutto è in mano ai pochi multimiliardari tecnocrati che offrono i loro servizi a livello planetario.

Anche i fatti di questi ultimi giorni raccontano ciò che si può fare contro l’uomo e i popoli – guerre, stermini, terrorismo – quando non si rispettano la dignità, la vita e la libertà delle persone, mettendo da parte la questione della verità.

Risuonano ancora di più, nel nostro tempo, le parole dell’antica omelia e l’immagine di Cristo che scende nelle profondità della Terra per svegliare colui che dorme, per destare dai morti, per donare la luce che illumina e costruire vite nuove e libere.

La Pasqua è un evento che ci deve far riflettere perché ricostruisce i fondamentali dell’uomo, a cominciare dalla libertà che mai può prescindere da una comunione di relazioni e da una reale partecipazione in cui nessuno è oggetto e tutti siamo soggetti attenti alla verità, intesa non come un’imposizione ma come qualcosa che conduce ogni uomo ad esaminarsi e, soprattutto, ad intraprendere la strada dell’umiltà.

Umiltà fa rima con libertà e fa rima con verità. Questo trinomio – libertà, umiltà, verità – ci permette di vivere il Battesimo fedeli all’evento che trasmette e dona la vita: la Pasqua, il “già” – la speranza certa cristiana – nel “non ancora” del tempo.

Tutto questo ci viene consegnato dalla liturgia con le parole culminanti di ogni celebrazione eucaristica: “Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”. La Pasqua è questo stare tra questi tempi restando nella storia, avendo lo sguardo fisso sull’eternità.

Rivolgiamo un pensiero affettuoso al Santo Padre che, fra pochi giorni, sarà qui a Venezia; l’incontro col successore di Pietro ci spinga a guardare a Gesù risorto per essere, soprattutto oggi, testimoni di misericordia, pace e giustizia tra le persone e i popoli. Affidiamo, infine, la sua persona e il suo ministero alla guida materna della nostra Madonna della Salute.

Buona Pasqua a tutti!