Omelia del Patriarca durante la S. Messa nel carcere femminile della Giudecca (Venezia, 5 gennaio 2016)
05-01-2016

S. Messa nel carcere femminile della Giudecca

(Venezia, 5 gennaio 2016)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Carissime amiche, cari fratelli e sorelle, carissimi sacerdoti e diaconi,

è questo un momento importante, un momento in cui cerchiamo di vivere la “normalità” anche in un contesto dove la “normalità” può essere difficile. Ed allora l’Anno giubilare della Misericordia – con l’apertura della Porta Santa – vuole essere un messaggio di vicinanza.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo (Mt 2,1-12) che chi sembra vicino al Bambino – Erode, il re della Giudea – in realtà è più lontano di quegli uomini che hanno intrapreso un viaggio e che, pur non appartenendo all’alleanza ebraica, hanno tempo per il Signore; colgono un segno e si mettono in cammino.

Credo che il grande messaggio dell’Anno giubilare sia proprio qui; dobbiamo scoprire il tempo di Dio nella nostra vita. E quando si inizia a dare un po’ di spazio a Dio nella nostra vita – guardate! – si aprono le porte, si aprono le finestre e si incomincia a tornare a credere in noi stessi.

Oggi abbiamo qui tanti bambini in questo carcere femminile. Molte di voi sono state e sono mamme; molte di voi sperano di diventarlo. Dovete credere in voi stesse, pensando ai figli che avete  (e che alcune di voi hanno qui presenti con loro) o che potrete avere in futuro.

Credere in noi stessi anche quando è difficile, perché altri hanno bisogno di noi come i nostri figli – care mamme – hanno bisogno di noi. Ed allora tutto quello che voi costruite in questo luogo di ripensamento e di fatica non è tempo perso; state costruendo qualcosa, affinché un domani possiate dire e dare ai vostri bambini e alle vostre bambine un messaggio vero per la loro vita. E questo messaggio vero per la loro vita voi lo traete da un’esperienza dolorosa e faticosa.

Vedete, abbiamo attraversato insieme la Porta Santa. La Porta Santa è un segno, ma noi abbiamo bisogno di segni. Se io do la mano ad una persona, se io le sorrido, non ho solo alzato un po’ il mio braccio e non ho solo contratto i muscoli del viso… Ho detto qualcosa a quella persona.

Siamo passati insieme tutti e tutti, nel passare quella soglia, abbiamo chiesto: “Signore, abbi misericordia di noi”. Tutti insieme abbiamo passato quella porta sulla quale c’era un volto: Gesù. È Lui la porta e il volto che ci fissa negli occhi e ci dice: ”Io credo in te, ce la puoi fare”.

Vorrei allora consegnarvi la parabola del padre misericordioso (o del figliol prodigo): “Mi alzerò, andrò da mio padre…” (Lc 15,18).

La cosa più difficile è decidere di alzarsi, ma c’è un momento in cui noi dobbiamo dire a noi stessi (e il fondo ultimo di noi stessi è Dio): non posso andare avanti così.

E allora quella maternità che è in voi reale o futura – o comunque sia avvenuta – diventa per voi un richiamo importante a vivere questo anno della riscoperta. Riscoprire la vita, andare oltre quelle porte sbagliate che qualche volta abbiamo varcato e forse non vorremmo averlo fatto ma, purtroppo, le abbiamo varcate e quello che dobbiamo fare, allora, è varcare un’altra porta, quella della conversione.

Cosa ci vuol dire la parabola del figliol prodigo? Vuol dire: Signore, io cambierò, cambio, voglio cambiare con il tuo aiuto, la tua tenerezza; con la tua presenza ce la posso fare e lo devo fare per mio figlio, per mia figlia, perché un domani voglio per loro un futuro bello e vorrei evitare certe sofferenze che io ho provocato ad altri e, quindi, ho vissuto dentro di me.

Traduciamo questa parabola, questo alzarsi, questo andare incontro al Padre con fiducia anche in impegno reciproco. So che avete compiuto il bel gesto della lavanda dei piedi come inizio dell’Anno del perdono, della riconciliazione, dell’accoglienza, della Misericordia; anche quello è stato un segno importante e significativo.

Insieme a quanto ci dice la parabola del figliol prodigo, noi abbiamo bisogno anche di trovare intorno a noi (come emerge dalla prima lettura di oggi: Is 60,1-6) qualcuno che sia luce. Ed allora quello che io vi chiedo è questo: non cercate la luce negli altri, cercate di essere voi luce per gli altri.

Un sorriso, un dialogo fraterno, un gesto di cortesia, un atto di perdono, tante piccole cose nella vita quotidiana… Questo essere luce per gli altri, nelle piccole cose, diventi il nostro Anno giubilare, il nostro modo di amare il Signore, il nostro modo di beneficare chi magari ci è vicino ed è in un momento di depressione, tristezza, sconforto, pianto. Molte volte il Signore ci parla attraverso la presenza di chi ci sta vicino.

E tutte le volte che passate da quella Porta Santa fate un piccolo esame di coscienza. Cercate di chiedervi se l’anno che sta crescendo vi sta cambiando e sta aiutando tutta questa comunità.