Omelia del Patriarca durante la Messa del Mandato a catechisti ed evangelizzatori (Venezia, 24 settembre 2005)
24-09-2005

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
MANDATO AGLI EVANGELIZZATORI E AI CATECHISTI

XXVI Domenica del Tempo Ordinario
Ez 18, 25-28; Sal 24; Fil 2, 1- 11; Mt 21, 28-32

Venezia, 24 settembre 2005

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. «Che ve ne pare?» (Vangelo, Mt 21, 28). Con una domanda chiaramente retorica, rivolta ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo che, spiazzati dalla Sua predicazione e dall’autorità che andava assumendo presso il popolo, lo confutavano sempre più aspramente, Gesù introduce la celebre parabola «Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna» (Mt 21, 28). All’invito del padre «egli rispose: Sì, signore; ma non andò» (Mt 21, 29). Il secondo invece rispose: «Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò» (Mt 21, 30). Dopo la parabola Gesù insiste e pone ai suoi contestatori una domanda, questa volta per nulla retorica: «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» (Mt 21, 31). I suoi interlocutori, come noi del resto, non hanno dubbi. L’assenso del primo figlio è formale (richiama in modo impressionante il fratello maggiore del figliol prodigo) o ‘strategico’. In realtà la sua libertà si tira fuori. Il suo io, chiuso nella propria autosufficienza, non si lascia intaccare. Egli non ascolta, non obbedisce.
Del tutto diversa la posizione del secondo figlio. Nella sua risposta non vince alla fine la sua iniziale reattività – «Non ne ho voglia» -, la sua debolezza. Perché? In forza di quel pentitosi. Lì c’è tutta la riscossa della sua libertà, non orgogliosamente autosufficiente, indisponibile all’altro, ma aperta, disponibile a fargli spazio, anche a costo del cambiamento.
A questo punto però Gesù opera il suo affondo e svela, un’altra volta, la potente sagacia del suo parlare in parabole.
Cosa avete fatto voi col Battista? dice ai suoi ‘illuminati’ interlocutori. Non gli avete creduto. E non siete neppure stati disponibili al pentimento. Per questo i pubblicani e le prostitute vi precederanno nel Regno dei cieli (cfr Mt 21, 32).
La questione, amici, è posta da Gesù con forza e nettezza allo stesso tempo. Fede o incredulità. Questa è l’alternativa decisiva della vita. Lo è anche per ciascuno di noi. Nella sequela del Signore non conta il peso che uno ha o non ha nella Chiesa o nella società. Importa se uno crede o non crede. Chi è primo, se non crede, sarà ultimo. E chi è ultimo, se crede, sarà primo.

2. Carissimi, come non lasciarci provocare in questo momento così solenne del Mandato, che ci vede qui riuniti per il 28° anno, dalla forza di quel pentitosi riferito al secondo figlio! Chi di noi può esimersi dall’invocare con umiltà profonda questo indispensabile cambiamento dell’io (conversione, metanoia). L’umiltà profonda è individuata nel celebre inno della Seconda Lettura: «umiliò se stesso» [lui che era Dio] «facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 8), come possibile solo nell’obbedienza oggettiva, fisica, verso un altro. Obbedienza di Gesù al Padre. E per noi chi è questo ‘altro’ concreto? Il marito, la moglie, il papà, la mamma, il parroco, il vescovo.
Ricevere il Mandato, in quest’anno ormai potentemente segnato dalla Visita Pastorale come evento che sta ponendo in stato di missione tutto il Patriarcato, deve (obbedienza) implicare l’impegno di ogni evangelizzatore e catechista ad accostarsi regolarmente al Sacramento della Riconciliazione. Non c’è infatti luogo in cui il desiderio di conversione, che ha nell’amaro pentimento la sua concreta espressione, può trovare riscontro come nel sacramento della Confessione. Lì, nell’accusa libera e personale del proprio peccato di fronte al ministro che agisce solo in persona Christi, la nostra libertà incontra la misericordia: «O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia ed il perdono» (Orazione di Colletta). La misericordia nasce solo dall’incontro personale ed insostituibile fra la libertà infinita di Dio e la mia singolare libertà, per quanto fragile e ferita.

3. Cosa sia questa fede obbediente, che arriva fino all’umile pentimento che invoca il perdono sacramentale, ci viene insegnato con straordinaria efficacia sempre dal brano di Filippesi (Seconda Lettura). Non finiremo mai di capirlo. Questa fede non è anzitutto l’esito del nostro sforzo, non è a nostra esclusiva disposizione, è il dono di Colui che «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil 2, 6-7) (Seconda Lettura). Questa fede è per me, per te, per noi, il mio, il tuo, il nostro esistere quotidiano in Cristo. Paolo è esplicito: «Se c’è qualche consolazione in Cristo» (Fil 2, 1). «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2, 5). La fede è il dono dell’in Cristo (en Christoi), cui liberamente aderisco. È il permanere nell’evento di Gesù Cristo. Senza questa quotidiana e rinnovata esperienza di poggiare su Cristo come si può evangelizzare, come si può essere catechisti? Annunzieremo involontariamente noi stessi. Ed è da questa posizione riduttiva che viene la perdita di speranza che spesso toglie letizia e mina le nostre comunità. Se non permaniamo nell’evento non siamo più dispensatori della buona novella (Evangelo) e le nostre comunità parrocchiali, le associazioni, i gruppi ed i movimenti rischiano di scadere – per noi stessi anzitutto, prima ancora che per gli altri ‘ ad ambiti sopra i quali l’abitudine stende la noia come una coltre sottile che tutto ottunde.
Ma nel pentimento che sgorga – sono certo – dal mio e nostro cuore stasera s’accende il profilo rinnovato del cristiano risorto, colmo di lieta speranza. Emerge il volto dell’autentico annunciatore della buona novella e dell’attento catechista. Per grazia diventiamo testimoni dei buoni frutti del solido albero della fede. Come non vederlo descritto nello splendido ritratto di Paolo? «Fratelli, se c’è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c’è conforto derivante dalla carità, se c’è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare il proprio interesse, ma piuttosto quello degli altri» (Fil 2, 1-4).

4. Il Vicario generale, Don Silvano, Don Valter, i loro collaboratori hanno voluto porre in risalto, in questa celebrazione, un elemento decisivo che si connette al profilo del cristiano umile ed obbediente in quanto uomo di fede (descritto da Paolo ai Filippesi). I cristiani hanno lo stesso sentire di Cristo Gesù. Non lasciamoci fuorviare dall’italiano: ‘i sentimenti’ di cui parla l’apostolo si riferiscono alla fede che è simultaneamente ascolto fecondo, abbandono, assimilazione del pensiero di Cristo. Ebbene il gesto che fra poco compiremo – dopo il conferimento del mandato – la consegna del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica vuol indicare una decisiva condizione per vivere lo stato di Visita Pastorale in cui tutta la diocesi è ormai posta per volontà della Provvidenza. Questo unico sentire che domanda ascolto e sequela ha bisogno dell’immedesimazione vitale al ‘pensiero di Cristo’, che alimenti l’educazione alla gratuità e alla universalità. La catechesi oggettiva della Chiesa sarà la via maestra che voi evangelizzatori e catechisti vorrete praticare per potere, a vostra volta, invitare fanciulli, giovani ed adulti delle vostre comunità a praticarla con rinnovato slancio. Nel mondo di oggi in pieno travaglio non possiamo più restare dei lattanti della fede. Sarebbe, alla fine, segno di spregio verso Cristo, verso noi stessi, verso il nostro fratello umano, chiunque egli sia.

5. In questo luminoso vespero, che il Mandato accende di molteplici significati come la luce accende di sempre nuovi bagliori la nostra splendida Cattedrale, un altro passo si impone. È sempre il brano di Filippesi a suggerircelo. «’e divenendo simile agli uomini» (Fil 2, 7): l’amore del Figlio di Dio per l’uomo va fino al fondo di questa as-similazione. Il culmine dell’amore è il dono di sé fino alla fine. Il nostro Mandato cade al termine dello speciale Anno dell’Eucaristia che si chiuderà con l’ormai imminente Assemblea del Sinodo dei Vescovi. Nel sacrificio eucaristico – dice Giovanni Paolo II nella sua Enciclica Ecclesia de Eucharistia – «l’intero Triduum paschale ‘ è come raccolto, anticipato, e ‘concentrato’ per sempre» (EdE, 5). L’evento si comunica attraverso un altro evento: il convenire domenicale dei cristiani per l’azione eucaristica.
Nell’Eucaristia il Signore Gesù, assimilandosi a noi, ci assimila a Sé. Se Gli facciamo spazio, come i pubblicani e le prostitute del Vangelo di oggi, se ci lasciamo penetrare da Lui, come Lui verremo «esaltati» dal Padre (cfr Fil 2,9, Seconda Lettura). E, da veri tralci della Sua vite, daremo frutto. È ancora San Paolo a darne conto. E come un padre giustamente fiero della riuscita umana dei propri figli, che ne hanno saputo far fruttare l’eredità, ne descrive il primo riverbero: la comunione tra loro. «rendete piena la mia gioia con l’unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti» (Fil 2, 2, Seconda Lettura).
Qui si innesta il secondo gesto voluto da quanti hanno curato il gesto di questo nostro Mandato. L’adorazione eucaristica e la consegna del prezioso ostensorio alle comunità del Lido perché, a loro volta, diffondano l’Eucaristia, domenicale e feriale, l’adorazione e la Visita al Santissimo Sacramento. Saranno un formidabile nutrimento che, con il Sacramento della Riconciliazione, con i pellegrinaggi mariani, accompagnerà l’evento della Visita Pastorale.

6. «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua! In fretta scese e lo accolse pieno di gioia» (Lc 19, 5-6). Come Zaccheo, come l’Innominato di manzoniana memoria, vorremmo che questa fretta colma di gioia contagiasse tutti i battezzati, tutti gli uomini e le donne del nostro amato Patriarcato.
Chiediamolo con fiducia alla Vergine Nicopeja. A Lei affidiamo la Visita Pastorale. Le chiediamo di renderla, attraverso gli uomini e le donne che oggi ricevono il prezioso Mandato di evangelizzatori e catechisti, feconda di un bene più grande per il popolo santo di Dio. Amen