Omelia del Patriarca durante il pellegrinaggio mariano nella parrocchia di S. Maria Elisabetta a Cavallino (7 marzo 2015)
07-03-2015
Pellegrinaggio mariano nella parrocchia di S. Maria Elisabetta a Cavallino
(7 marzo 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Abbiamo ascoltato a lungo questa parabola (Lc 15, 11-32), nella lettura del diacono. E’, infatti, la più lunga di tutte le 48 parabole contenute nei Vangeli sinottici ed abbiamo già colto il messaggio: a Gesù sta a cuore la nostra conversione. L’evangelista Luca delinea un quadro e noi sappiamo che le parabole contengono degli insegnamenti e delle verità a partire da fatti non accaduti ma appartenenti alla realtà della vita.
Gesù non ha fretta, Gesù non ha altre urgenze di fronte all’annuncio della misericordia di Dio perché la misericordia di Dio è la nostra grande risorsa e Dio è più grande del nostro peccato. E il protagonista della parabola non è il figliol prodigo ma il padre misericordioso. Entrambi i figli – il più piccolo che aveva rotto i rapporti con il padre e il maggiore che, invece, era rimasto nella casa del padre, ma più fisicamente che spiritualmente – hanno, infatti, bisogno di conversione.
C’è una parola chiave, però, che ci aiuta a comprendere che cos’è la misericordia di Dio. La misericordia di Dio è la pazienza di Dio nei nostri confronti, è la bontà di Dio nei nostri confronti, è l’amore di Dio nei nostri confronti. Ma Dio ci tratta sempre da persone libere. La misericordia di Dio prende la forma della riconciliazione, della penitenza; se non entriamo in questa logica, noi fraintendiamo la misericordia di Dio. La misericordia di Dio è l’ultima parola di Dio sulla nostra vita ed è il tentativo ultimo con cui Dio accende la nostra libertà.
“Mi alzerò – è, questo, un punto importante della parabola -, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te” (Lc 15, 18). Ecco il cammino della conversione, il ritornare a Dio! E, allora, il padre scorge il figlio più piccolo da lontano. Dio ci guarda sempre, Dio è presente nella nostra vita anche quando noi siamo lontani da Lui… E ci viene incontro.
Nella parabola del padre misericordioso noi siamo – di volta in volta – il figlio maggiore e il figlio minore. Quante volte, ad esempio, giudichiamo gli altri! Avete notato che il figlio maggiore non dice “mio fratello” ma “questo tuo figlio” (cfr. Lc 15, 30). E qui abbiamo un riferimento importante per la nostra vita spirituale in questo tempo di quaresima. Il figlio maggiore non ama né il fratello – che chiama “questo tuo figlio” – e neppure il padre. Non illudiamoci, allora, di amare Dio se non ci impegniamo ad amare il prossimo.
Vi ricordate un’altra parola di Gesù nel Vangelo? “Se (…) tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (Mt 5, 23-24). Vi ricordate il Padre Nostro? “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Davvero, si illude colui che dice di amare Dio (che non vede) se non ama il fratello (che vede).
Impegniamoci ad amare il fratello! Certo, sappiamo che spesso ci sono situazioni difficili, molto difficili, però il Signore ci chiede l’impegno di amare anche colui che non è amabile, anche colui che non si lascia amare. E’ anche vero, poi, che il torto e la ragione non sempre si dividono l’uno dall’altra. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra” (cfr. Gv 8, 7).
La Quaresima è una grande occasione di grazia per essere e diventare come il figliol prodigo: “Mi alzerò, andrò da mio padre…” (Lc 15, 18). In questo impegno di conversione siamo coinvolti tutti; il bello della vita cristiana è che nessuno nasce santo e tutti possiamo diventare santi. Affidiamo questo nostro impegno quaresimale, questo nostro impegno di conversione, a Maria che oggi guardiamo sotto il titolo di “rifugio dei peccatori”.
Ricordate che c’è un’invocazione in cui il popolo cristiano guarda a Maria e dice: Maria, rifugio di coloro che peccano. Noi abbiamo una mentalità secondo la quale il rifugio è come una “copertura” e, invece, Maria è il rifugio dei peccatori perché ci prende per mano. Non dimentichiamo che Maria è madre immacolata, senza peccato. Guardate, perché Maria è così potente di fronte a Dio? Perché è l’unico frammento della creazione che non è mai stato toccato dal peccato. Colei che si oppone al male, a Satana, in modo totale – all’interno della creazione – ha un nome, un nome di donna. E Gesù ha voluto che fosse la Sua madre.
“Rifugio dei peccatori” che cosa vuol dire, allora? Non che Maria ci nasconde, perché peccatori, allo sguardo di Dio, no! Vuol dire che Maria ci prende per mano – come madre immacolata – e ci incoraggia, ci sostiene, ci porta a Dio facendoci dire la cosa più semplice da cui inizia la vita nuova: ho peccato, voglio cambiare! C’è un’ultima indicazione che voglio darvi: non possiamo fare da soli, senza esserci accostati seriamente al sacramento della riconciliazione. Dobbiamo alzarci ed andare dal Signore a dirgli: ho peccato, voglio ritornare a Te, voglio cambiare vita! La vita di grazia inizia, certo, con la misericordia di Dio, però Gesù ha voluto che la sua misericordia, il suo perdono, incominciasse dal riconoscimento della verità.
Purtroppo, molte cose nel nostro mondo non funzionano, dentro di noi e in rapporto di altri – anche le relazioni fondamentali nella famiglia e certe relazioni sociali -, perché non abbiamo il coraggio della verità, della verità che illumina la mia vita. La confessione è riconoscere il proprio peccato, è iniziare dalla verità: Signore, non è colpa degli altri, è colpa mia, voglio ritornare a Te! Potremo quasi parlare di una “luce faticosa” della verità che, però, ci libera. E vedete come la fede rappresenti davvero la pienezza dell’umano.
Abbiamo dovuto aspettare il XX secolo perché nascessero le scienze psicologiche e psicoanalitiche le quali ci dicono che i problemi dell’uomo nascono nel momento in cui l’uomo non ha il coraggio di dire la verità, nasconde delle realtà della propria vita e non ha il coraggio di esternarle. Nel momento in cui uno riesce a raccontare il dramma può superarlo e lo supera o, comunque, è in via di superamento. La penitenza o riconciliazione è la stessa cosa: iniziare dalla verità.
E’ un’operazione dolorosa, pensate al figlio più giovane della parabola. “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta” (Lc 15, 12). Ma poi consuma tutto e non ha neanche il cibo che danno ai maiali che – per i semiti – è un animale immondo; non riesce, quindi, neppure a mangiare quello che mangiano gli animali immondi. “Mi alzerò, andrò da mio padre…” (Lc 15, 18): riscopriamo la gioia del ritorno a Dio e, tutte le volte che il nostro ritorno a Dio è sincero e pieno, segnerà l’inizio di una vita nuova.
Vi voglio ringraziare per questo pellegrinaggio perché ho ascoltato con attenzione le presentazioni dei vari misteri e mi hanno molto aiutato. Brevi ed essenziali, vere e concrete. Mi hanno aiutato nel cammino verso questa chiesa e verso la celebrazione eucaristica. E ho notato anche tanta delicatezza in certe vie, in certe strade e in certi caseggiati dove si è voluto segnare – attraverso degli addobbi o degli altarini – il senso della propria partecipazione.