Omelia del Patriarca durante il pellegrinaggio mariano dalla chiesa di S. Giobbe agli Scalzi (Venezia, 6 giugno 2015)
06-06-2015
Pellegrinaggio mariano dalla chiesa di S. Giobbe agli Scalzi
(Venezia, 6 giugno 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Concludiamo i pellegrinaggi mariani di quest’anno pastorale in una chiesa che ci richiama il valore e il senso della preghiera attraverso la tradizione carmelitana; santa Teresa è “dottore” (della Chiesa) soprattutto per quanto riguarda la preghiera e san Giovanni della Croce qualifica un’anima a partire dalla qualità, il tipo, le caratteristiche della sua preghiera.
Nel Vangelo di oggi (Mc 12, 38-44) Gesù stigmatizza una preghiera sbagliata, mentre la prima lettura (Tb 12, 1.5-15.20) conclude il libro sapienziale di Tobia che era iniziato ed aveva – come nodo centrale – una preghiera, la preghiera di due persone molto provate: Tobi e Sara.
In modo unitario, l’autore del libro di Tobia ci fa vedere queste due persone – umanamente disperate e provate nella fede – che si rivolgono al Signore. Tobi è a Ninive e molto lontano da Ninive, in Media, in un’altra piccola stanza c’è Sara disperata; aveva avuto sette mariti e non aveva potuto condurre vita sponsale con nessuno di questi. E, come accade sempre, chi sta intorno – chi sta intorno alle persone provate – non è di aiuto.
Ricordate Gesù quando incontra il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, che si rivolge a Lui gridando così: “«Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse…” (Mc 10, 47-48). Molte volte noi non siamo di aiuto a chi è nella prova e invece il piccolo e prezioso libro di Tobia ci dice che la preghiera cambia le situazioni e le vicende umane.
Abbiamo sentito nella prima lettura di oggi proprio questo: la loro preghiera è stata ascoltata. Attraverso questo piccolo libro, noi siamo invitati ad assumere una mentalità più credente; anche chi crede ha bisogno di convertirsi nel suo modo di credere, anche chi crede ha bisogno di convertirsi nella fede e la preghiera è l’espressione della nostra fede.
Attraverso questo piccolo libro siamo invitati a pensare che il visibile, la storia e i fatti che vediamo hanno un’origine che sta in Dio. E allora ci viene ricordata la funzione degli angeli; certe volte pensiamo che una fede matura dovrebbe perdere questi orpelli “medievali”… Il cardinale Jean Danielou, grande teologo e accademico di Francia, alla domanda “Lei, Eminenza, crede ancora negli angeli?”, rispose: “Certo!“. E, alla replica “Ma… ormai nessuno crede più agli angeli…”, il cardinale – senza scomporsi – aggiunse: “Per questo oggi sono pochi anche quelli che credono in Dio”.
Noi dobbiamo salvare l’essenziale e invece non ci rendiamo conto che l’essenziale l’abbiamo consegnato al mondo. E questo succede finché il nostro criterio è il mondo, è quello che fa il mondo e pensa il mondo, finché non ci convertiamo al Signore e non accettiamo la fede come scelta, come criterio a partire dal quale costruire la nostra vicenda storica… Certo, dobbiamo riconoscere che molte cose sono degli uomini e dipendono dagli uomini, appartengono agli uomini, ma tante cose, alla fine tutte per una certa parte, dipendono esclusivamente da Dio.
La preghiera è ciò che ci fa crescere nel rapporto con Dio. Potremmo dire, parafrasando un proverbio: dimmi come preghi e ti dirò che cristiano sei. La preghiera esprime il nostro rapporto con Dio, dice chi è Dio per noi; ecco il valore particolare della nostra preghiera. La preghiera – ce lo ricordano Tobi e Sara che partono dalla loro vicenda umana – è un modo di entrare nel nostro quotidiano. Quel pregare sempre, senza interrompersi mai, avrà un senso, avrà un significato! E certamente non è quello di tenere le mani giunte e stare in ginocchio tutto il giorno, neanche gli ordini più contemplativi pensano che questo sia il modo di spiegare quel versetto del Vangelo… Allora, pregare senza interrompersi mai vuol dire fare le cose come se tutto dipendesse da noi sapendo, invece, che tutto è nelle mani del Signore.
Quel dire, alla fine della giornata, che siamo “servi inutili” non è un’ipocrisia, non è una falsa umiltà; è rischiosa la falsa umiltà perché ci pone come dei millantatori e peggio della mancanza di umiltà c’è solo la falsa umiltà, chi si vuol accreditare come umile a tutti i costi… Quel “servi inutili” noi lo diciamo convinti perché sappiamo che, alla fine, tutto è grazia.
Santa Teresina di Lisieux diceva che “tutto è grazia” e allora tutto si gioca nella preghiera, tutto parte e ritorna alla preghiera perché la preghiera è atto educativo del cristiano, è rapporto con Dio. Chi prega veramente, anche sul piano umano, è una persona efficace ed essenziale. La preghiera scolpisce realmente il nostro uomo interiore.
Essere forti, essere saggi, essere miti, essere docili, riprodurre in noi le caratteristiche del cuore mariano non è un fatto di corso di pedagogia o di psicologia: è un fatto di preghiera. Maria è è dimora e tabernacolo del Verbo e dello Spirito Santo perché era donna di preghiera, costruiva le sue giornate sulla preghiera e quando si diventa, almeno in piccola parte, dimora e tabernacolo del Verbo e dello Spirito Santo, tutte le altre cose vengono di conseguenza.
Il dono della sapienza è il dono che ci dà il gusto (sàpere) delle cose di Dio, il gusto di Dio. E questo si ottiene stando di fronte a Lui, si ottiene pregando, dando tempo a Dio nella nostra vita. Il dramma di molti uomini, di molte donne, di molti religiosi e di molti ecclesiastici è non avere tempo per Dio.