Omelia del Patriarca durante il pellegrinaggio mariano da S. Maria dei Miracoli ai Ss. Giovanni e Paolo (Venezia, 11 aprile 2015)
11-04-2015
Pellegrinaggio mariano da S. Maria dei Miracoli ai Ss. Giovanni e Paolo
(Venezia, 11 aprile 2015)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Avevamo lasciato Giovanni e Pietro, durante la passione di Gesù, in situazioni difficili. Si, è vero, Giovanni trova la forza di ritornare alla croce; Pietro ha rinnegato… Adesso, però, li troviamo nuovi, rinnovati. Uomini che parlano con franchezza e che dicono: è meglio obbedire a Dio che a voi uomini (cfr. At 4, 13-21).
La Pasqua non è un’idea; le idee non generano degli eventi. La Pasqua è un evento che genera altri eventi e che genera idee. Fare Pasqua vuol dire fidarsi di Dio nella nostra vita. La Pasqua non è solo una celebrazione, è la realtà più “reale” che muove l’universo.
Se all’inizio del mondo c’è un progetto, una ragione – e credo che scommettere pascalianamente su questo sia, pur con tutti i limiti della ragione e della scienza, più ragionevole di chi scommette sull’irrazionalità -, se c’è un senso unico dell’universo, il cristiano lo conosce: è il Signore Gesù.
L’evangelista Giovanni ci avverte sin dall’inizio: “In principio era il Logos” (cfr. Gv 1,1), era la ragione, era il senso. Dio non è solo Amore; è un amore sensato. Dio non è solo un progetto ragionevole, è un progetto ragionevole fondato sull’amore. La Pasqua è vivere queste due dimensioni: dare senso alla nostra vita e fondare la nostra vita sull’amore, cioè su Cristo che è la ragione e l’amore su cui si fonda la creazione.
È questo un tema che ricorre spesso nel Nuovo Testamento ma san Paolo, forse, lo esprime più compiutamente di altri: “In Lui siamo stati scelti prima dalla creazione del mondo” (Ef 1,4). Vuol dire che quando il mondo non c’era, c’era il Verbo che era predestinato a incarnarsi. E quando Dio pensa l’uomo, lo pensa (v. la lettera di san Paolo ai Romani) a partire dal primo Adamo, che non è l’Adamo della Genesi: è il Verbo.
La Pasqua ci consegna questa ricchezza. La Pasqua non è una devozione. E se abbiamo vissuto bene la liturgia della notte, in poche ore abbiamo ripercorso il senso ultimo della storia e della creazione. La benedizione del fuoco, la benedizione dell’acqua: elementi primordiali. Il cero: la luce nuova, il fuoco nuovo. Il cero è Cristo! Le letture, a partire dalla Genesi: la creazione, Abramo, la nuova alleanza, i profeti che intravvedono il compimento… Tutto questo ci porta poi al Vangelo, alla corsa di Pietro e Giovanni, all’andare delle donne, al sepolcro vuoto!
Viene alla mente Gesù entra in Gerusalemme con un piccolo corteo di discepoli. Era una prassi: chi si accreditava come riferimento dell’alleanza, come profeta, entrava in Gerusalemme e Gesù si assoggetta a questa tradizione. E naturalmente la porta a compimento. C’era quella grande promessa: la discendenza di Davide; ormai la monarchia si era spenta ma rimaneva quest’idea di un re che avrebbe salvato Israele, un re pastore. Eccolo, il re pastore sulla linea dinastica di Davide: “«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». 40Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre»” (Lc 19, 38-40).
E al sepolcro, infatti, il primo annuncio della Pasqua lo danno le pietre, la pietra rotolata. La Pasqua non è un processo umano e tutte le volte che noi, nella nostra fede, umanizziamo quel che viene da Dio costruiamo degli idoli. E gli idoli ci portano solo alla schiavitù dell’Egitto.
La Pasqua è quel momento di liberazione che ci consegna Pietro e Giovanni profondamente diversi da qualche giorno, da qualche settimana prima. Avevano avuto paura, erano scappati, lo avevano rinnegato e, adesso, con franchezza dicono: giudicate un po’ voi se è meglio ubbidire a Dio o agli uomini…
La vita cristiana è vita pasquale, è vita di virtù, è vita di coraggio, è vita di fortezza, è vita di gioia. E, vedete, la gioia non è il risultato delle cose mi vanno bene. La gioia è una lettura più profonda della realtà che sto vivendo per cui – anche se subisco ingiustizie, emarginazioni, incomprensioni… – so che sto facendo delle scelte a partire da Gesù Cristo. E questo mi da gioia, la gioia anche del martirio, appartenuta ai martiri di ogni epoca e in duemila anni di storia e che, quando hanno potuto confidare quello che provavano, dicevano semplicemente questo: “Non sono solo! C’è qualcuno in me che mi da forza. C’è qualcuno in me che mi da la gioia…”. Da Perpetua – questa donna così energica dell’inizio del secondo secolo – ai martiri più recenti, tutti hanno detto la stessa cosa: “Io non posso… ma è Lui che mi porta, è Lui che mi da forza”.
La Pasqua è il risultato di questa energia che non è un’energia umana, ma viene da Dio; è un progetto sensato, è un progetto fondato sull’Amore. Cerchiamo di essere più rispondenti alla grazia della Pasqua. O riusciamo a svincolare il legame che abbiamo col nostro “uomo vecchio” e cominciamo a ragionare a partire da quel concreto, singolare e unico che è Gesù Cristo – e che diventa il criterio di verità per il male e il bene nella nostra vita – oppure noi apparteniamo ancora all’ “uomo vecchio”, al vecchio Adamo, a colui che ha voluto costruire un progetto e cercare la felicità al di fuori del disegno di Dio. La distanza tra il peccato e la santità sta, in fondo, proprio in questa scelta fondamentale.
Voglio pensare tutto come Gesù Cristo, voglio agire con Gesù Cristo, voglio costruire la mia vita su di Lui oppure… cerco altre strade. La Pasqua sia quel costruire a partire da Lui, sapendo che ci vogliono quella forza e quella gioia che sono il risultato di una fiducia grande in quello che Lui ci chiede, momento dopo momento.
La grazia del momento presente: è lì che il Signore risorto ci attende. È lì la grazia del momento presente, che il Signore risorto ce la conceda. E’ lì la Galilea in cui noi incontriamo Gesù. E ricordatevi che la Galilea – in opposizione alla Giudea – era il mondo secolarizzato, era il mondo lontano da Dio, era il mondo che attendeva ancora la luce di Cristo. Il momento presente della nostra vita è la Galilea che dobbiamo evangelizzare. E questa Galilea è il nostro cuore.