Omelia del Patriarca all'incontro di preghiera con le comunità di Venezia per la conclusione dell'Anno della Fede (Basilica S. Marco, 24 novembre 2013)
24-11-2013
Incontro di preghiera per la conclusione dell’Anno della Fede
(Venezia – Basilica di San Marco, 24 novembre 2013)
 
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
             
Cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrati, consacrate, fedeli laici,
            oggi l’Anno della Fede, indetto a cinquant’anni dall’inaugurazione del Concilio Ecumenico Vaticano II si compie. Ora, se giunge a termine la sua scansione temporale, la grazia che ha suscitato, invece, continua; l’Anno della Fede è stato solo un preludio, un inizio.
            Faccio mie le parole di papa Francesco che nella sua prima enciclica Lumen fidei scrive: ‘Chi riceve la fede scopre che gli spazi del suo ‘io’ si allargano, e si generano in lui nuove relazioni che arricchiscono la vita‘ (Papa Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei, n. 39).
L’auspicio è che questa sia la nostra esperienza comune; la fede, infatti, cambia la vita del credente, genera nuove relazioni e arricchisce.
 Allo sguardo del non credente l’uomo di fede può apparire come colui che, proprio perché ‘crede’, deve limitarsi nel suo essere uomo e privarsi di qualcosa che lo costituisce nella sua umanità, come se il ‘sì’ della fede lo menomasse. Chi crede, in realtà, riceve doni che non riguardano solo la vita eterna ma anche quella terrena.
La risposta di Gesù all’apostolo Pietro è eloquente: ‘Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna. Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi‘ (Mt 19, 29-30).
La fede non solo non ci limita e non ci priva di qualcosa ma, al contrario, ci arricchisce e dona risorse e possibilità nuove, qualcosa che prima non avevamo.
Ci introduce bene in tale consapevolezza la seconda lettura della messa di oggi – solennità di Cristo Re dell’universo – in cui l’apostolo Paolo annuncia Gesù Cristo come origine, artefice, fine e senso sia della creazione sia della redenzione; ascoltiamo di nuovo quelle parole: ‘Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose‘ (Col 1,15-18).
Cristo diventa, così, il senso e la misura del credere; ora, per il discepolo, c’è un criterio che fonda ogni altro criterio e viene prima di tutto. Tale criterio è la stessa persona di Gesù, tutto ciò che Lui ha detto e tutto ciò che Lui ha fatto.
 La vicenda di Gesù, come ricorda la costituzione conciliare Dei Verbum, è tutta racchiusa nella testimonianza della Chiesa rappresentata dai quattro vangeli. Così s’esprime il Concilio Ecumenico Vaticano II nella Dei Verbum al n. 19: ‘La santa madre Chiesa ha ritenuto e ritiene con fermezza e con la più grande costanza che i quattro (‘)Vangeli, di cui afferma senza esitazione la storicità, trasmettono fedelmente quanto Gesù Figlio di Dio, durante la sua vita tra gli uomini, effettivamente operò e insegnò per la loro eterna salvezza, fino al giorno in cui fu assunto in cielo‘ (Concilio Vaticano II, Costituzione Dei Verbum, n. 19). I quattro libri che contengono l’unico Vangelo di Gesù ci vengono riproposti al termine di questo Anno della Fede perché Cristo diventi luce della nostra vita.
Ogni giorno, infatti, ci raggiungono messaggi, indicazioni, consigli di ogni tipo che veicolano quel ‘buon senso comune’ che, alla fine, è l’opinione dominante, il comune pensare degli uomini che si può esprimere in questa frase: ‘Tutti dicono così’ tutti fanno così…’.
Ma, a ben vedere, da parte del credente è proposito opportuno, al termine dell’Anno della Fede, saper legittimare sul piano della verità e dell’etica le proprie scelte, andando oltre il ‘pensiero dominante’.
Se per il passato si fosse proceduto così anche sul piano sociale, cercando di più il rapporto con la verità e l’etica, si sarebbero evitati tragici errori. Infatti, la crisi finanziaria ed economica – e, Dio non voglia, sociale – in cui ci troviamo ha una sua origine culturale ed è legata a scelte ben precise.
Non si è saputo creare una finanza e un’economia che fossero a vero servizio dell’uomo; si è perseguita, piuttosto, l’attraente illusione di un guadagno facile e immediato. Ma i sogni – come puntualmente accade – svaniscono al mattino, lasciando spazio alla realtà che è cosa ben diversa dal sogno.
 Da ogni parte siamo circondati da voci e proposte insistenti; tutte mirano a convincerci, lusingandoci e blandendoci, perché – con l’illusione di essere ‘liberi’ – si faccia o no una determinata cosa.
Una fede capace di generare cultura, nel rispetto di una sana laicità – «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21) -, è capace anche di operare un sano discernimento critico sul piano veritativo e dell’etica.
Siamo, in tal modo, dinanzi a quella ‘memoria rischiosa’ ‘ come diceva Giovanni Battista Metz – che ha la sua origine nel Vangelo e nella cultura da esso ispirata. Una politica che vuole impadronirsi dell’uomo e spadroneggiare su di esso, rinchiudendo i cristiani in chiesa a cantare le loro liturgie, teme questa ‘memoria rischiosa’.
Fra le altre cose l’Anno della Fede ha richiesto alla nostra Chiesa particolare l’impegno a conoscere di più la dottrina sociale della Chiesa che come contributo che il credente intende dare al bene comune; si tratta di un sapere aperto, fondato sulla fede e sulla retta ragione, nel rispetto – lo ripeto – della sana laicità già indicata da Gesù nel Vangelo.
Il Vangelo non è un libro che – come altri – teme di passar di moda, poiché il suo contenuto non è costruito sulla preoccupazione di inseguire l’effimero, la moda del momento o l’ultima novità ma, piuttosto, sull’uomo riferimento primo dell’amore misericordioso di Dio, così come spesso ci ricorda papa Francesco. Il Vangelo, nella sua perenne attualità, risuona come quella parola che mira a riconsegnare – in Gesù Cristo – l’uomo all’uomo anche attraverso rinnovate relazioni personali, familiari e sociali.
Le prime parole di Gesù, nel Vangelo, non richiedono in chi le ascolta una particolare cultura o intelligenza; sono parole alla portata di tutti, al di là del censo, della cultura personale, del colore della pelle. Il Vangelo è il libro di tutti e per tutti, valido in ogni stagione e frangente della vita.
Le prime parole di Gesù, nel Vangelo, sono le più semplici e le più ardue che un uomo possa sentir risuonare nella sua vita: ”Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo»‘. (Mc 1, 14-15).
Sono parole rivolte a tutti, senza distinzioni, perché queste esortazioni valgono per tutti, nessuno escluso. I vangeli contengono le parole più democratiche della storia. Nessuno, infatti, di fronte ad esse può chiamarsi fuori e dire: ‘Non sono per me’.
 Quelle del Vangelo sono parole ad un tempo semplici, esigenti e attuali; veicolano il primo annuncio di Gesù, esprimono l’urgenza della conversione, messaggio da cui ne consegue ogni altro.
E – non dimentichiamo – fa parte del primo annuncio di Gesù l’urgenza del convertirsi, il non tergiversare, il fare presto. Non si può rimandare a domani quello che si può fare oggi; il domani, infatti, non è ancora in nostro potere e non sappiamo se mai lo sarà!
Fa parte della fede dire il proprio ‘sì’ subito, il non tergiversare, il non rimandare. Vengono alla mente quelle parole di Gesù sull’urgenza della conversione come priorità che precede anche i legami più sacri della persona: ‘E un altro dei suoi discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli rispose: «Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti»’ (Mt 8, 21-22).
Il ‘sì’ pronto e gioioso fa parte della stessa fede, della fede che non è un ‘sì’ messo vicino a tanti altri ‘sì’, ma è un ‘sì’ che segna un nuovo inizio e, quindi, genera tanti altri ‘sì’ che sarebbero impossibili se non ci fosse prima, a loro fondamento, questo ‘sì’.
Tale ‘urgenza’, che ci domanda di non frapporre indugi al ‘sì’ che siamo chiamati a dire al Signore, costituisce la stessa natura della fede e ci chiede, innanzitutto, di combattere contro lo spirito del mondo.
E proprio le parole di papa Francesco sullo spirito del mondo ci aiutano; vogliamo partire da esse per guardare con più speranza e fiducia al futuro: ‘Gesù ci previene contro questo spirito del mondo definendolo come quello che soffoca la Parola (Mt 13,22), come padre di figli molto più astuti di quelli della luce (Lc 16,8)’ Lo spirito del mondo è padre dell’incredulità e di ogni empietà’ San Paolo insiste nel consiglio: ‘Non conformatevi alla mentalità di questo secolo’ (Rm 12,1), più letteralmente ‘non entrate negli schemi del mondo” Così come il peccato ha indurito il nostro cuore rendendoci iniqui, è proprio dello spirito del mondo farci divenire vanitosi‘ (Papa Francesco, In Lui solo la speranza, Jaca Book e LEV, 2013, pagg. 40-41).