Omelia del Patriarca al XIX Congresso Nazionale dell'Associazione Teologica Italiana (Camposampiero - 8 settembre 2005)
08-09-2005

XIX Congresso Nazionale dell’Associazione Teologica Italiana
Chiesa e sinodalità. Coscienza, forme, processi
Camposampiero PD
5-9 settembre 2005

Festa della Natività della Beata Vergine Maria
8 settembre 2005

OMELIA DEL CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. «Donaci, Signore, i tesori della Tua misericordia e poiché la maternità della Vergine ha segnato l’inizio della nostra salvezza, la festa della sua Natività ci faccia crescere nell’unità e nella pace». La preghiera di Colletta stabilisce una singolare relazione tra la maternità della Vergine e la sua natività, evidenziando un certo nesso di causalità della prima sulla seconda: «poiché la maternità ha segnato l’inizio della nostra salvezza la festa della sua natività ci faccia crescere nell’unità e nella pace».
Cosa può suggerire tale insegnamento liturgico a noi che celebriamo questa Santa Eucaristia nel ben delineato contesto del lavoro dei teologi italiani riuniti in questo Convegno dell’ATI? Un primo ovvio, ma mai scontato, elemento è il riconoscimento che il Signore dona i tesori della sua misericordia dentro l’alveo sicuro di una ben precisa storia di salvezza. Abbiamo appena ascoltato una puntigliosa ricostruzione della genealogia di Gesù nella ininterrotta catena delle generazioni – da Abramo a Davide e da Davide, senza censurare neppure gli anni oscuri della deportazione di Babilonia, fino a Giuseppe, lo sposo di Maria ‘. Documento tanto scarno quanto imponente della scelta operata da Dio di legare il suo disegno amoroso alla storia del popolo eletto, che sfocia nella singolare vicenda di quella ‘realtà etnica sui generis’ ‘ così la definì Paolo VI – che è la Chiesa di Dio. Senza soluzione di continuità, il Padre del Signore nostro Gesù Cristo accompagna la storia del Suo popolo per condurla dall’origine al compimento. Anche la profezia di Michea – «Colei che deve partorire partorirà» (Mc 5, 2) mostra come nel disegno salvifico di Dio ogni momento della storia trovi il proprio posto. Nulla è senza importanza. Tutto, persino il dettaglio più piccolo e all’apparenza del tutto comune, diventa decisivo se messo al servizio del disegno di salvezza.
Tuttavia la storia è vista come luogo della salvezza in quanto ambito privilegiato del manifestarsi dell’eterno nel tempo. Si può dire, facendo riferimento ad una bella intuizione di Fides et ratio 13, che la salvezza svela la ratio sacramentalis della storia. La celebre affermazione di Lumen gentium che ha segnato l’ecclesiologia contemporanea – «La Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (LG 1) ‘ trova qui un significativo sviluppo.
Non si può strappare la storia così intesa dal mistero cristiano: ogni approfondimento teologico circa la natura circa la vita della Chiesa dovrà far inevitabilmente i conti con questa decisiva dimensione. Tutti i fedeli nella Chiesa, qualunque sia il compito loro assegnato, sono in tal modo educati a non illudersi di aver trovato, almeno nell’ambito delle ‘forme’ e dei ‘processi storici’, soluzioni valide una volta per tutte. Obbedire alla storia man mano che essa procede nel suo cammino inarrestabile verso la casa del Padre si rivela pertanto come un grande strumento con cui Dio regge, sorregge e corregge i suoi figli, purificandoli dalla sempre incombente tentazione ideologica.

2. Il nesso tra maternità e nascita di Maria può forse suggerirci una seconda considerazione. L’odierna liturgia richiama un grande criterio della lex orandi e della lex credendi; in modo particolare lo sottolinea il Santo Evangelo quando l’angelo del Signore scioglie la delicata, ma non per questo meno drammatica, ‘prova’ riservata al castissimo sposo Giuseppe. Noi celebriamo i misteri della vita di Maria in forza del loro intrinseco riferimento a quelli del Figlio Suo Gesù. Ora il nesso tra Maria, Gesù e Giuseppe, evidenziato dalla Festa di oggi, è quello dell’affezione. È perciò dell’ordine della umanissima realtà degli uomini e delle donne di ogni tempo. A riprova della stringenza della logica dell’incarnazione.
Infatti il Deus Trinitas, in se stesso eterno dialogo di amore, ha voluto partecipare l’esperienza dell’amore agli uomini mediante la kenosi del Verbo che giunge ‘ questo è il dato specifico che intendo porre in rilievo – fino ad assumere la natura di un uomo di sesso maschile. La kenosi del Figlio mette così carnalmente in campo la dimensione affettiva della vita di Gesù, Maria e di Giuseppe. Questo fattore antropologico decisivo – la polarità uomo-donna e quanto ne consegue – getta un’importante luce sull’ecclesiologia e sul tema decisivo della sinodalità.
Se si sottolinea il dato che la Chiesa sgorga da Gesù Cristo uomo maschile, allora risulta anche evidente un altro dato: il peso della polarità uomo-donna, obiettivamente implicata nell’Incarnazione del Verbo di Dio, non può essere ulteriormente rimosso dalla riflessione sulla Chiesa, come invece per troppo tempo è accaduto.
Questo significa che per comprendere chi è la Chiesa non si può prescindere dal suo nesso col mistero nuziale. Tuttavia ci si rende conto che sarebbe assai arduo parlare della Chiesa in questi termini ‘ di più: se ne giustificherebbe il rifiuto, come di un’elucubrazione di sapore gnostico – se l’umanità non fosse stata posta, dall’arcana volontà del Padre per la potenza dello Spirito, di fronte alla singolare persona di Maria di Nazareth, la Madre di Gesù, Figlio di Dio. Ecco perché celebriamo oggi con intensa, ‘critica’ e riconoscente gioia la nascita di questa splendida figlia di Israele.
La prospettiva qui accennata potrebbe condurre la riflessione teologica a pensare ulteriormente i temi dell’organizzazione nella Chiesa e della rappresentanza ad essa connessa, nei termini della sostanziale relazione tra amore e potestas.
Sono questi i due poli di una articolata riflessione sulla sinodalità che voglia tenere conto, come voi intendete fare, dell’intera portata del tema, nei suoi diversi aspetti. Mi riferisco sia al carattere analogico di questa imprescindibile dimensione della vita e dell’autocoscienza della Chiesa, sia alla necessità, da voi prevista, di indagarlo da angoli di visuale tra loro complementari. Per questo sospinti dalle urgenze pastorali ed ecumeniche, state studiando coscienza forma e processi della sinodalità ecclesiale.
Forse la prospettiva indicata ‘ riconoscere che il problema del governo nella Chiesa va pensato in relazione al mistero mariale per tenere in equilibrio amore e potere – può liberare la riflessione sulla sinodalità da schemi troppo riduttivi.
L’esplorazione di questo tema può inoltre costituire una ulteriore occasione di feconda collaborazione tra teologi e pastori. Questa collaborazione, infine, già in atto nel nostro paese può trovare forme nuove, paradigmatiche anche per altre Chiese.

3. Iniziando la Santa Messa abbiamo chiesto che la festa di oggi «ci faccia crescere nell’unità e nella pace» (Orazione di Colletta). Unità e pace sono due nomi della communio ecclesiale. Sono il frutto dell’attuarsi storico della salvezza che raggiunge e coinvolge uomini e donne di tutti i tempi e luoghi facendo della Chiesa la forma mundi. Il singolare frangente storico in cui la Provvidenza ci ha dato di vivere ci trova immersi nel delicato travaglio della transizione ad un’epoca che taluni chiamano il post-moderno. Non a caso da diverse parti viene segnalato il positivo influsso che un approfondimento della natura e delle forme della communio ecclesiale può esercitare sulla società civile e sulle sue scelte organizzative. Basti pensare al fatto che la cosiddetta società ‘globalizzata’ può trovare nella Chiesa un esempio di come particolare ed universale possano non solo convivere, ma edificarsi reciprocamente. Anche questo è parte costitutiva del vostro affascinante compito.
La sapiente riflessione di Sant’Antonio nel Sermone sulla festa della Natività di Maria sostenga quindi la nostra preghiera: «Con tutto questo concorda anche il brano del vangelo, nel quale Matteo, descrivendo la genealogia di Cristo, mette in primo luogo Abramo, in secondo luogo Davide e al terzo posto la deportazione a Babilonia. In Abramo che disse: ‘Parlerò al mio Signore, io che sono polvere e cenere’ (Gn 18, 27), è raffigurata l’umiltà del cuore; in Davide, il cui cuore fu retto con il Signore, – ‘Ho trovato Davide, uomo secondo il mio cuore’ (At 13, 22) ‘ è indicata la franchezza della confessione; nella deportazione a Babilonia è ricordata la pratica della penitenza e la sopportazione delle tribolazioni. Se ci saranno in te queste tre ‘genealogie’, conseguirai anche la quarta, cioè quella di Gesù Cristo, che è nato dalla Vergine Maria, della quale oggi cantiamo: ‘In mezzo alle nubi, sei sorta come la stella del mattino’». Amen