Omelia del Patriarca al pellegrinaggio mariano diocesano alla Gazzera (Istituto salesiano S. Marco/Chiesa parrocchiale S. Maria Ausiliatrice, 4 maggio 2013)
04-05-2013
Pellegrinaggio mariano diocesano alla Gazzera
(Istituto salesiano S. Marco/Chiesa parrocchiale S. Maria Ausiliatrice, 4 maggio 2013)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Desidero riprendere quanto abbiamo appena meditato, durante la scansione dei vari misteri del Rosario, a partire dall’ultima frase della Porta fidei (n.15): ‘Affidiamo alla Madre di Dio, proclamata ‘beata’ perché ‘ha creduto’ (Lc 1,45), questo tempo di grazia’.
Sta volgendo al termine la grazia dell’Anno della Fede che, prima di tutto, è una grazia. E le grazie vanno colte. Chiediamo, allora, a Maria che ci aiuti a vivere questi ultimi mesi dell’Anno della Fede come un cammino di conversione personale ma anche comunitaria.
Siamo battezzati, siamo un’unità nel Signore. La vita sociale del cristiano inizia proprio dal condividere il bene della fede e il rinnovamento della Chiesa passa, innanzitutto, attraverso la testimonianza dei credenti.
La verità, la bontà, la bellezza di Gesù presso i nostri contemporanei – soprattutto quando si tratta di donne e uomini lontani dalla fede – sono legate alla testimonianza di coloro che dicono di appartenere a Gesù.
L’atto di fede, certo, è dono. Ma è anche una responsabilità. Gesù stesso ci ricorda nel Vangelo, dopo le beatitudini (la Magna Charta della vita cristiana): ‘Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli’ (Mt 5, 16).
Siamo chiamati con la nostra esistenza, con la nostra vita quotidiana, con il nostro stare in mezzo agli altri, a far risplendere il Signore Gesù. L’Anno della Fede, quindi, riesce o non riesce a partire da questa autentica e rinnovata conversione al Signore Gesù.
San Paolo afferma che la sua lettera di ‘raccomandazione’ non era uno scritto fatto con carta e inchiostro ma era la stessa comunità di Corinto. Leggiamo infatti: ‘La nostra lettera siete voi, lettera scritta nei nostri cuori, conosciuta e letta da tutti gli uomini. È noto infatti che voi siete una lettera di Cristo composta da noi, scritta non con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di pietra, ma su tavole di cuori umani’ (2 Cor 3, 2-3).
La comunità cristiana è il primo Vangelo tra le case, quel Vangelo che ha bisogno di meno interpretazioni perché è calato nella vita dei nostri contemporanei. Ecco perché l’Anno della Fede riesce o non riesce non perché abbiamo fatto qualche convegno o pubblicazione in più ma perché siamo diventati un buon annuncio, credibile, affidabile, raggiungibile.
Ecco perché dobbiamo insistere – soprattutto dopo l’Anno della Fede – su questa autenticità di rinnovamento personale e comunitario. Guardiamo tutti al Signore Gesù!
Le nostre chiese – i luoghi liturgici, che sono luoghi sacri – avevano nell’antichità l’altare rivolto al Signore Gesù. E quando appaiono degli scavi antichi uno dei motivi (insieme ad altri segni) per cui si ha la certezza che si tratta di un edificio di culto è proprio l’altare rivolto ad Oriente. Ecco la conversione di tutti, pastori e fedeli, al Signore Gesù.
L’opera di Gesù che incessantemente si rinnova è la Chiesa; siamo noi, nessuno escluso. Ogni altra cosa è solo un mezzo in vista di quest’unico fine: l’edificazione della Chiesa viva.
L’Anno della Fede era stato proclamato anche a 50 anni dal Concilio Ecumenico Vaticano II che ci ricorda, nella Lumen gentium, il fatto che la Chiesa ha un suo riferimento imprescindibile in Maria che è il nucleo fedele della Chiesa.
Noi, uomini e donne di fede, purtroppo non siamo quel buon annuncio, quel Vangelo che dovremmo essere: certe volte lo siamo, certe volte fatichiamo ad esserlo, certe volte ancora riusciamo ad esserlo’ Ma nella Chiesa c’è un nucleo di fedeltà assoluta: l’Immacolata, che oggi ricordiamo soprattutto come ‘nostro aiuto’.
Don Bosco nei momenti difficili non aveva dubbi: l’Ausiliatrice. Tanto che a Torino, dove la Madonna era considerata la ‘Consolata’, ora si parla anche di Maria come ‘Ausiliatrice’, aiuto dei cristiani.
Noi dobbiamo innalzare gli occhi a Maria perché lì c’è la fedeltà garantita e Maria, ce lo dice sempre la Lumen gentium, partecipa così intimamente alla storia della salvezza – cioè a Cristo – che, in sé, rifrange la pienezza della fede. Ecco perché dobbiamo soprattutto guardare a Maria come aiuto della nostra vita cristiana.
Celebrare e vivere quest’Anno della Fede in modo degno, allora, non può prescindere da questo sguardo attento a Maria, colei che ci aiuta. Ci aiuta ad essere all’altezza. Se Maria è ‘aiuto dei cristiani’, lo è soprattutto in vista di ciò che costituisce i cristiani come cristiani, cioè la fede.
Maria è aiuto dei credenti in quanto madre che è, ad un tempo, molto tenera e molto energica. L’uomo di fede è, insieme, queste due cose. E facciamo nostri nel mese di maggio, che è appena iniziato, questi due punti che riscontriamo nella Sacra Scrittura.
Il primo testo è quello del Vangelo secondo Giovanni, le nozze di Cana (cfr. Gv 2, 1-12): Maria si accorge, per prima, della necessità dei due sposi (‘Non hanno vino’). Con l’audacia, che è frutto dell’intimità con Gesù, Maria pone Gesù – e lo fa sempre questo, anche nei nostri confronti – di fronte all’impossibilità di rifiutare (‘Qualsiasi cosa vi dica, fatela’). Gesù aveva appena detto: ‘Non è ancora giunta la mia ora’. E lei: ‘Qualsiasi cosa vi dica, fatela’. Maria – con una grande tenerezza e con intuito femminile, materno – sa come chiedere, chiede con forza e ottiene.
E c’è un altro testo della Scrittura che vorrei indicare, perché la liturgia lega sempre e profondamente alla figura di Maria. E’ tratto dal Cantico dei Cantici, un libro dell’Antico Testamento: ‘Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come un vessillo di guerra?’ (Ct 6, 10).
In quest’Anno della Fede superiamo i luoghi comuni, frutto di un’omiletica e di una catechetica molto umana ma poco evangelica, e riscopriamo la fede come espressione della tenerezza di un Dio che ci ama e ci salva ma anche come forza che sconfigge tutto ciò che si oppone a Dio (”e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede’ – 1 Gv 5, 4).
La nostra fede non è paragonabile ad una navigazione calma e tranquilla in un piccolo e limpido specchio d’acqua, poco profondo, dove tutto è pacifico e idilliaco… Al contrario, la fede – abbiamo meditato in un mistero: ”e anche a te una spada trafiggerà l’anima’ (Lc 2, 34) – è paragonabile ad una navigazione pericolosa, in mare aperto, con venti e onde a forza otto che in un istante possono sconquassare qualsiasi imbarcazione, anche la più attrezzata e sicura’
Pietro e gli apostoli ne hanno fatto esperienza, anche in modo drammatico. All’inizio di questa navigazione impegnativa e perigliosa Gesù ha voluto dare alla sua Chiesa Maria. Pensiamo alla bella scena con cui cominciano gli Atti degli Apostoli (ne è questo il vero inizio): la Pentecoste, con Maria circondata dagli apostoli impauriti e che pregano chiedendo il dono dello Spirito Santo.
Una comunità che si vuole convertire, una comunità che vuole essere buon annuncio, una comunità che pensa, attraverso una vita di fede, di dire quello che c’è di buono nell’uomo. Perché l’uomo è veramente tale quando, nel suo piccolo, riesce ad essere immagine di Dio.
Questo sia l’impegno, il cammino, delle nostre comunità nell’Anno della Fede: essere immagine di Dio, nel nostro piccolo.