Omelia del Patriarca al pellegrinaggio mariano diocesano a Borbiago di Mira (2 marzo 2013)
02-03-2013

Pellegrinaggio mariano diocesano a Borbiago di Mira

 

(Santuario S. Maria Assunta, 2 marzo 2013)

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

 

 

            Se ponessi la domanda ‘Chi, tra i presenti, ha ascoltato per la prima volta il Vangelo appena proclamato?’ penso che nessuno alzerebbe la mano… Desidero partire da qui, perché il Vangelo proclamato – soprattutto nella liturgia eucaristica – non ci dice qualcosa che non sappiamo ma ci chiama a conversione.

 

            Abbiamo ascoltato la pericope del ‘figliol prodigo’, anche se adesso gli esegeti ci dicono che bisogna chiamarlo il Vangelo del ‘padre misericordioso’ ed è più giusto: chi si staglia non è il figlio minore o quello maggiore, ma il padre. Oggi abbiamo ascoltato qualcosa che avevamo sentito tante volte, ma che chiede di essere accolto nella nostra vita.

 

            Il figlio più giovane, rientrato in sé, dice: ‘Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato” (Lc, 15, 18). Questo è il nucleo, questo è il messaggio, questa è la parola di Dio che dobbiamo portare dentro di noi. La parola di Dio non mi dice cose che non sappiamo, tanto che ognuno di noi conosce bene gli episodi, le parabole e i dialoghi del Vangelo.

 

            Ma questa parola – che conosciamo – la accogliamo come la parola che può decidere, una buona volta, della nostra vita? Tempo di Quaresima: tempo di conversione, tempo di ritorno a Dio come Padre. La parola di Dio è la grande forza della Chiesa che sta sempre sotto la Parola, cioè sotto Gesù Cristo. Noi oggi viviamo un momento importante della Chiesa, un momento atipico che ci chiede una riflessione ed una partecipazione particolarissime.

 

Il Santo Padre Benedetto ha rinunciato al ministero petrino: con un gesto umile e forte ha voluto riaffidare la Chiesa al Signore per dirci che dove gli uomini non ce la fanno – non ce l’hanno fatta, non ce la fanno più – allora bisogna dare voce a Dio.

 

Il Santo Padre ha voluto riconsegnare la Chiesa a Gesù, in un modo totale ed anche visibile, attraverso un gesto inusitato e veramente profetico. Quante volte noi usiamo in modo improprio il termine ‘profetico’, ‘profezia’, ‘profeta” Il gesto compiuto da Benedetto XVI ha inteso restituire, anche visibilmente, la Chiesa nelle mani del suo Signore affermando, soprattutto di fronte agli uomini di Chiesa, il primato di Dio.

 

In sintonia con il magistero del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ha affermato la sacramentalità della Chiesa: la Chiesa non è degli uomini ma è il segno efficace, in Cristo, dell’unione tra l’umanità e Dio. E, allora, gli uomini devono camminare in punta di piedi nella Chiesa.

 

La dimensione teologale della Chiesa, il primato di Dio, il non ricercare il consenso degli uomini, il non voler piacere a tutti i costi agli uomini: Benedetto XVI, col suo gesto, ha messo da parte la sua persona. Ha scelto di mettersi da parte e, constatando il venire meno delle sue risorse fisiche, in realtà ha compiuto un gesto di grande forza. Un gesto di profonda vitalità spirituale, un gesto di vera giovinezza, un gesto evangelico.

 

Ci ha indicato e ci ha insegnato un metodo che, forse, molte volte rischiamo di perdere di vista. E il metodo è questo: nei momenti che appaiono umanamente insuperabili – la fragilità fisica, le difficoltà morali e spirituali, le resistenze degli uomini – bisogna ritornare veramente, radicalmente e con tutto il cuore a Dio. La preghiera cristiana è questo ritornare a Dio con tutto il proprio essere.

 

Il gesto compiuto da Sua Santità, il nostro carissimo Benedetto XVI, è sostanzialmente una preghiera, un rimettersi a Dio perché Dio compia ciò che agli uomini non è possibile fare. Abbiamo assistito non solo ad un atto di umiltà e di coraggio ma anche ad un atto di magistero, di insegnamento, di scuola, di educazione alla fede.

 

Non si tratta – ritengo – di un gesto da pensare come ‘istituzionalizzabile’ per il futuro, date le prerogative proprie del Vescovo di Roma. Il Papa diventa tale non quando è eletto dai cardinali ma quando, personalmente, accetta l’avvenuta elezione canonica. Il Papa non ha dato le dimissioni, ha rinunciato. Perché il Papa è l’origine: ‘A te darò le chiavi del regno dei cieli’ (Mt 16, 19).

 

Non possono quindi porsi limiti di nessun tipo al Romano Pontefice, il successore dell’apostolo Pietro, né la Chiesa è la fonte di ogni potere. A lui spetta muoversi secondo le prerogative che gli attribuisce la Rivelazione, vissuta e interpretata nella e dalla Tradizione divina della Chiesa. Non è un gesto che impegna per il futuro gli altri Papi. Per tutte queste considerazioni, allora, questo è uno di quei momenti in cui Dio – anche attraverso gesti inusitati – riprende possesso in modo molto visibile della sua Chiesa.

 

Nel nostro tradizionale pellegrinaggio mariano del primo sabato del mese siamo chiamati a vivere questo momento irripetibile affidandoci nella preghiera, attraverso la mediazione materna di Maria, alla misericordia e alla Provvidenza del Padre che accoglie tutti i suoi figli prodighi.

 

Maria – con la sua intercessione – illumini, sostenga e accompagni la Chiesa e soprattutto chi, nella Chiesa, è ora chiamato ad un compito importante. Pensate che quando un cardinale va a deporre il suo voto nel calice, davanti al ‘Giudizio universale’, giura con queste parole: ‘Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto’ (Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, n. 66). Accompagniamoli con la nostra preghiera perché siano strumento libero – da tutto, cominciando da se stessi – nell’indicare colui che Dio ha scelto.

 

La narrazione che troviamo nel primo capitolo degli Atti degli Apostoli ci consegna una Chiesa che prega, in attesa del compiersi della promessa di Gesù: il dono dello Spirito Santo. Ci sono tutti i Dodici, momentaneamente in Undici, perché nella Chiesa c’è anche il ministero – ricorrente – di Giuda Iscariota. Ci sono tutti gli Undici – da Pietro a tutti gli altri – intorno a Maria, la madre di Gesù. Con lei, e attraverso la sua mediazione, chiedono il compiersi del dono dello Spirito Santo.

 

Chiediamo in questo pellegrinaggio del primo sabato del mese che Maria veramente preghi con noi, perché lo Spirito Santo rinnovi la nostra Chiesa. Siamo nell’Anno della Fede, a 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, quest’evento provvidenziale nella storia della Chiesa: il 21 novembre 1964 Paolo VI definì solennemente Maria ‘Madre della chiesa’, cioè madre dei pastori e dei fedeli, la madre comune, la madre di Gesù, la madre nostra.

 

Maria non ha avuto la chiamata al sacerdozio ma è stata – e rimane per sempre – la madre dell’Eterno Sacerdote, Gesù Cristo. Il Papa è il vicario di Cristo. E’ dal sacerdozio che nasce nella Chiesa quella paternità che ritroviamo in modo sorgivo nel Papa, il cui nome richiama proprio questa paternità da cui deriva ogni altra funzione nella Chiesa. Il Vescovo di Roma è innanzitutto Padre, Papa: dinanzi a lui noi siamo, prima di tutto, figli.

 

E se di fronte al Santo Padre si pongono gesti di singolare rispetto non lo si fa per un’etichetta, per una cerimonia, per un protocollo, ma perché si vuole semplicemente dare visibilità a quella paternità: Papa, Padre. Preghiamo, allora, per il nuovo Santo Padre. Sentiamolo già e accettiamolo subito come padre comune; quell’uomo vestito di bianco costituisce l’unità visibile della Chiesa, a partire non tanto, e in ultima istanza, da quante lingue conosce e se è uomo di cultura oppure no…

 

Gesù ha scelto Pietro, dopo avergli fatto fare un cammino di conversione. Non ha scelto Giovanni, che non era caduto nel rinnegamento. Non ha scelto Paolo, studioso zelante delle Sacre Scritture. Ha scelto il pescatore di Galilea. Al di là della persona che sarà, è colui che – nella sua fragilità – porta, fintanto che è Romano Pontefice e Vescovo di Roma, il carisma dell’unità della Chiesa. 

 

La Chiesa, oggi, ha bisogno soprattutto di questa unità: guardiamo all’icona degli Atti degli Apostoli con Maria che prega con gli Undici, cioè con la Chiesa, e ricordiamo quell’altro passo degli Atti quando Erode, vedendo che ciò faceva piacere alla gente – quanto schiavi siamo del giudizio della gente, dell’opinione pubblica, dei giornali e dei media’ e guai a lasciarsi condizionare! – aveva fatto arrestare Pietro. La Chiesa allora pregava e dalla Chiesa saliva una preghiera incessante per l’apostolo di Galilea.

 

Il Santo Padre sarà, nella sua fragilità, la presenza di Gesù Cristo nel tempo; da lui nasce ogni paternità. Continuiamo a mantenere nel cuore la bella figura di Benedetto XVI. Aiutiamolo, stiamogli vicino e, soprattutto, recepiamo il suo messaggio. Terminando il suo ministero ha detto: ‘Obbedirò al nuovo Papa’. Questo vuole dire essere teologi veri, questo vuol dire essere uomini di fede. Questo vuol dire essere pastori, perché il vero pastore sa sempre riscoprirsi pecorella del Signore e perché l’unico pastore è il Signore Gesù.