Omelia del Patriarca ai funerali di don Gastone Barecchia (Chiesa parrocchiale di San Raffaele Arcangelo - Venezia, 4 novembre 2016)
04-11-2016

Funerali di don Gastone Barecchia

(Chiesa parrocchiale di San Raffaele Arcangelo – Venezia, 4 novembre 2016)

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

Cari confratelli nel sacerdozio, diaconi, consacrati/consacrate e amici di don Gastone,

abbiamo appena ascoltato il passo in cui l’evangelista Giovanni ci indica il chicco di grano che, cadendo in terra, muore e porta vita nuova. Le parole di Gesù sono da considerare bene: “In verità, in verità io vi dico se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).

Ho pensato a questo testo del Vangelo perché l’immagine del chicco mi pare corrisponda bene alla figura di don Gastone: sacerdote semplice e umile ma che, nel suo ministero – dovunque mandato – seppe esser sempre fecondo nel bene.

Un confratello che lo conosce da parecchi decenni mi disse in modo certo e deciso: don Gastone era persona umanamente, culturalmente e sacerdotalmente robusta; si poteva contare su di lui come uomo e come prete; un riconoscimento  non da poco soprattutto se viene da un confratello.

Fu uomo e sacerdote di grande fede che desiderò sempre fare solo il prete e – come egli stesso disse – farlo con entusiasmo, grato al Signore che lo aveva chiamato. Don Gastone aveva spiccato il senso dell’umorismo che non nascondeva; spesso, nella conversazione, mostrava di stupirsi perché il Signore gli aveva dato e gli continuava a dare una vita così lunga. “Forse si è dimenticato di me…”, diceva. E sorrideva, grato al Signore.

Don Gastone è stato il vero chicco di grano buono, evangelicamente buono, che ha prodotto il cento per uno. La sua lunghissima vita – 102 anni e un giorno – è stata  una reale benedizione per la nostra Chiesa ed è bello poterlo dire in modo convinto, con animo riconoscente a Dio e non per cortesia e, tanto meno, diplomazia.

Testimone di cambiamenti ecclesiali e geopolitici epocali, ha “conosciuto” (nel corso della sua vita) ben nove papi e dieci patriarchi, ha visto l’Impero asburgico e l’Europa dei ventisette. In settantanove anni di sacerdozio è stato chiamato ad esercitare il ministero in situazioni ordinarie, che ha condiviso con molti confratelli, e in situazioni uniche e drammatiche: la ritirata di Russia vissuta come cappellano a servizio dei nostri militari.

Via via la sua vita è trascorsa – come ha scritto nel testamento spirituale – nella consapevolezza della grandezza del dono ricevuto il giorno dell’ordinazione. E questo è il “tutto” del suo testamento spirituale; un testo breve, essenziale come lui, nel suo stile, era breve ed essenziale.

“Nel giorno della mia consacrazione sacerdotale, carico di entusiasmo ho detto con piena gioia: “Gratias  Deo super inenarrabile dono eius. Più tardi passato attraverso l’esperienza del fronte Russo e del ministero sacerdotale tra i detenuti compresi che il dono era questo: Evangelizzare pauperibus, sanare contritos corde”. Poi nel cinquantesimo di vita sacerdotale nell’anno mariano del 1987 ho potuto aggiungere: “Cum Maria Matre eius! Nunc et in hora mortis nostrae amen! Don Gastone Barecchia” (26 ottobre 1990) .

 Come ci ricorda il suo curriculum – custodito nella Cancelleria della Curia – fu vice curato di Lio Piccolo, cooperatore a Mira Porte, curato a Stretti, vice parroco a Mestre, rettore di San Sebastiano, cappellano delle carceri di Santa Maria Maggiore; il ministero di cappellano fu l’incarico che preferì, in cui si trovava più a suo agio e lo esercitò per oltre cinquant’anni; fu poi direttore spirituale presso il Seminario Minore, professore di Teologia ascetica presso il Seminario Maggiore, assistente ecclesiastico dei maestri cattolici, parroco di Zelarino, rettore di San Fantin, di nuovo rettore a San Sebastiano, assistente della Giovane Montagna, assistente delle Missionarie della Regalità, vicario foraneo di Dorsoduro, membro del consiglio presbiterale ed esorcista della diocesi.

Ma il Signore gli domandò anche qualcosa di inusuale nel ministero. E glielo chiese quando – come cappellano militare – don Gastone fece la drammatica esperienza della guerra, e con suoi alpini visse mesi terribili durante la campagna di Russia, dal luglio del 1941 al marzo del 1943.

Con don Gastone e le sue penne nere, in quelle pianure desolate che si distendevano a perdita d’occhio, d’inverno gelide, c’era anche  il beato don Carlo Gnocchi. Don Gastone e don Carlo erano lì come preti e proprio perché preti. E la risposta che diede don Carlo Gnocchi a chi domandava il perché di quella partenza, fu, certamente, la stessa di don Gastone: “Perché andare a soffrire? La guerra è tremenda… Se i soldati ci vanno per dovere, non volete che un prete ci vada per amore delle anime?”.

Erano là dove giovani uomini loro coetanei – solo con qualche anno più o in meno di loro – vivevano il dramma della vita in situazioni disperate. E quante fra le loro penne nere, don Gastone e don Carlo, videro cadere nella neve e non più rialzarsi! Di quanti – fidanzati, sposi, padri, figli – raccolsero gli ultimi gemiti e il pianto di chi invocava aiuto e sostegno in quegli ultimi momenti!

Don Gastone, pur giovanissimo sacerdote, si mostrò chicco di grano buono che, in circostanze disperate, aiutava a continuare a vivere e – quando ciò non era possibile – a morire tra braccia che erano ad un tempo fraterne e paterne, perché braccia di prete.

Don Gastone avrebbe, quindi, potuto morire non ancora trentenne e, invece, il Signore volle che superasse – ancora in ottima salute – i cento anni. Ancora una volta, constatiamo come le vie del Signore non sono le nostre e i suoi pensieri non sono i nostri.

Con la sua vita don Gastone ci dice che il chicco di grano è chiamato a morire ogni giorno nella disponibilità ad andare, di volta in volta, dove è chiamato ed è destinato, assumendo ministeri e servizi comuni o straordinari, fra loro diversissimi. Tutto questo ci fa intendere come il suo “sì” sia stato una vera offerta, un “sì” detto con l’entusiasmo di una fede vissuta  nella sincerità e nella verità del dono di sé; l’obbedienza – nella Chiesa – è il semplice risultato di una fede forte e generosa.

L’obbedienza per don Gastone – lui che fu cappellano militare – non fu l’obbedienza della caserma che richiede formalità, documenti scritti e timbri; al contrario la sua obbedienza fu quella del “sì” mariano. E nel suo testamento spirituale richiama esplicitamente e semplicemente la Madonna, “cum Maria matre Iesu”. E, considerando le tante volte in cui don Gastone ripeté il suo “sì”, in molti servizi pastorali, è logico pensare che non sempre tali richieste gli fossero gradite e a lui confacenti; qui, però, ancora una volta si manifesta l’uomo e il prete.

Certo, il prete non coincide con l’uomo –  si tratta realtà distinte – ma il prete esprime sempre anche l’uomo che quel prete è e che porta in sé. Il prete vive ovviamente il suo sacerdozio in modo dinamico, ad iniziare dagli anni della formazione e, poi, nei primi anni di ministero fino a quelli della maturità e della vecchiaia. Ma dietro il prete c’è sempre la sua umanità e, in don Gastone, tale umanità appariva sana, virtuosa, nitida, cordiale.

Un confratello mi ha detto che era “allergico alle critiche” e come “nel suo discorso cercasse sempre di evidenziare il positivo di tutti, a tal punto che tutti lo stimavano”; l’umanità di don Gastone che ho potuto, di volta in volta, incontrare è stata sempre per me una lieta sorpresa.

Negli incontri che ho avuto con lui ho ricavato l’impressione che fosse un uomo che aveva maturato un forte senso di Dio. Un prete realmente contento d’esser prete e, proprio per questo, non sentiva il bisogno di ripeterlo; non me lo ha mai detto con le parole, me  lo ha sempre mostrato con lo sguardo, il sorriso, il suo linguaggio buono e pacato.

Lo addolorava molto sentir parlare male della Chiesa e degli uomini che la rappresentavano e questo, soprattutto, quando avveniva da parte di altri uomini di Chiesa; se ne stupiva e sembrava non capacitarsene.

Un seminarista, ora prete – e piuttosto avanti negli anni -, ricorda che negli anni cinquanta, a don Gastone era stato chiesto di guidare gli esercizi spirituali nei giorni dei Santi e dei Morti. Tra le diverse meditazioni don Gastone trattò anche il tema della morte; questo prete – a oltre sessant’anni anni di distanza – ricorda che, ad un certo momento, don Gastone spiegò ai giovani seminaristi come nel Vangelo si dica che la morte verrà quando meno ci pensiamo e quindi, aggiunse: “Allora, se vogliamo che non venga, pensiamoci spesso…”. E, vista la sua inusuale longevità, dobbiamo concludere che lui ci pensava veramente spesso!

Nella visita che gli avevo fatto alcune settimane fa, all’inizio del suo ricovero, scherzando sulle sue condizioni fisiche – che erano un po’ migliorate – mi disse: “Mi avevano già spedito al cimitero ma poi, dato che non c’era posto, mi hanno rimandato indietro…”.

Nelle ultime visite, invece, l’ho trovato provato e sofferente; il quadro clinico risultava sempre più compromesso e durante il ricovero all’ospedale Ss. Giovanni e Paolo gli ho amministrato il sacramento dell’unzione; poi la sera dell’1 novembre, ero andato al Fatebenefratelli per fargli gli auguri di buon compleanno. Ritornando a casa pensai che questa volta don Gastone, difficilmente, ne sarebbe venuto fuori. In realtà, il Signore lo stava già chiamando.

Un prete è, sempre, un gran dono del buon Dio alla sua Chiesa e al mondo, ma alcuni preti sembrano metterci del proprio nell’essere un dono veramente grande, unico, irripetibile. E così diventano fedelissime immagini di Colui che, sacramentalmente, in forza dell’ordinazione rendono presente.

Don Gastone, uomo e sacerdote sereno, buono, ricco di fede, fu dono grande  per la Chiesa di Venezia.