Omelia del Patriarca ai funerali di don Franco De Pieri (Mestre, Duomo S. Lorenzo, 30 dicembre 2015)
30-12-2015

Funerali di don Franco De Pieri

(Mestre, Duomo S. Lorenzo, 30 dicembre 2015)

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

Carissimi fratelli e sorelle,

per tutti, ma in particolare per chi ha condiviso con don Franco momenti significativi della vita, questo è – seppur illuminato dalla fede in Gesù risorto – un giorno triste, di nostalgia e, anche, di riflessione sulla propria vita, una sorta d’esame di coscienza.

E’ sempre così quando si spegne una lampada capace di riscaldare e illuminare e che è stata per sé e i propri cari riferimento sicuro e alla quale, di volta in volta, ci si è riscaldati quando il freddo dentro e fuori mordeva forte, oppure quando per l’oscurità non si riusciva a vedere.

Don Franco, col suo carisma e il suo stile personalissimo, ha esercitato il ministero presbiterale per oltre cinquant’anni. Un tempo che, per gli uomini, è certamente lungo anche se la durata in sé non dice ancora tutto; infatti ciò che conta per il cristiano è la valutazione di Dio.

E Dio, lo sappiamo, non si basa sui giorni, sui mesi e sugli anni, ma sulla carità che non è astrazione ma qualcosa di concreto che prende la forma della cordiale comunione ecclesiale vissuta nella quotidianità, giorno dopo giorno, in rapporto agli uomini e alle donne che Lui stesso pone sulla nostra strada – con particolare attenzione ai fragili e sofferenti – e, poi, al popolo di Dio, ai confratelli, al presbiterio.

La carità/comunione – con Dio e con i fratelli – col passare del tempo non viene meno, non è legata ad un fluire momentaneo ma resiste allo sfilarsi degli anni e rimane per l’eternità. Non si misura, così, sulla lunghezza dei giorni, dei mesi e degli anni anche se, durante la prima stagione della nostra vita, quella terrena, la carità si nutre di giorni, mesi e anni; alla fine non dipende, però, né dagli anni di ministero o dalle cose fatte ma dal modo in cui le abbiamo fatte.

La carità è questa capacità di suscitare e vivere la comunione nella Chiesa e nella società, a partire dalla propria vocazione specifica.

Don Franco De Pieri era molto conosciuto; è stato cappellano di San Lorenzo quando era parroco mons. Valentino Vecchi e ha legato una lunga stagione della sua vita al Centro Don Milani da lui avviato e presieduto; tale centro, da subito impegnato nell’accoglienza e nel recupero dei tossicodipendenti, ha saputo via via allargare sempre più  la sua azione, la sua missione sociale, sui vari e contemporanei fronti del disagio e dell’integrazione sociale. E tutto questo per l’intelligenza, l’inventiva, il coraggio di don Franco e di quanti, con lui, credettero a questa sfida.

Don Franco fu anche parroco a Mestre, prima nella parrocchia del Corpus Domini che contribuì a far sorgere poi in quella di San Paolo. Infine, giunto al settantacinquesimo anno, chiese ripetutamente di lasciare tale incarico diocesano; il suo progetto era di andare, in Brasile, presso un centro salesiano, ma questo desiderio ha dovuto presto misurarsi con un fisico sempre più fragile e sofferente.

Prima di entrare in Seminario – negli anni della adolescenza – ebbe la formazione salesiana; don Franco frequentò l’Aspirantato Salesiano di Trento e al termine del Ginnasio gli fu consigliato di proseguire il suo cammino come prete diocesano; l’incontro con don Valentino Vecchi risultò decisivo nella sua vita; un incontro intenso, perdurante nel tempo, filiale.

Qui, nella Chiesa che vide don Franco esercitare il ministero come cappellano, celebriamo l’eucaristia in suo suffragio; l’eucaristia è la preghiera liturgica più alta che la comunità cristiana innalza a Dio ed è, insieme, preghiera sacramentale, ascolto della Parola di Dio, annuncio e preparazione realissima alla concreta vita di carità.

Poniamoci, allora, in ascolto di quanto la Parola di Dio dice a questa nostra comunità. Proprio questo don Franco ci chiederebbe con quel suo tratto che sapeva essere, anche, molto fermo e risoluto.

La Parola di Dio, nella prima lettura – la lettera di San Paolo ai Romani – unisce, in modo strettissimo, tempo ed eternità. “… la speranza – scrive infatti l’apostolo – non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato… ”. (Rm 5,5).

Carissimi, l’Apostolo, qui, pone una relazione profondissima, anzi, costitutiva fra amore di Dio, dono concesso a tutti, e la Sua promessa che è la nostra stessa speranza.

L’Apostolo sottolinea questo legame tra l’amore/carità e il compiersi del piano di Dio; ascoltiamo, di nuovo, la lettera ai Romani: “ … la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato ”. (Rm 5,5).

Ciò che riguarda il nostro presente, il nostro oggi terreno, ricade sulla realtà successiva la nostra morte.

La fede, per la vita del cristiano, segna l’inizio e, da quel momento, tutto si misurerà su di essa. Ma fede, speranza e carità sono strettamente unite fra loro e la speranza ha come suo fondamento la fede che, a sua volta, giunge al compimento nella carità.

Ed ecco, in modo ampliato, il pensiero di Paolo sulla speranza; infatti, ritornando indietro di qualche versetto, leggiamo: “ …ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. 5La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato ” (Rm 5,3-5).

Il battezzato, e ancor più il presbitero, si misura sulla fede vissuta.

Oggi, per noi, il Vangelo –  appena ascoltato – assume un senso particolare per il modo repentino in cui don Franco ci ha lasciati e per alcune sue riflessioni di quando terminò il ministero di parroco.

La fede come vigilanza, come attesa, come impegno. Luca dice che caratteristica del cristiano è avere lo sguardo rivolto sempre al Signore, in attesa della sua venuta. Il presbitero deve avere il senso della vigilanza e dell’attesa in modo particolare, perché la sua vocazione è servire i fratelli come pastore; il cristiano, in ogni stagione della vita, è segnato dalla tensione verso ciò che lo precede e gli sta innanzi e, così, vive in modo tutto particolare il già e il non ancora della sua esistenza.

Ecco il pensiero di don Franco: “Vorrei chiudere con una novità il mio sacerdozio… Come se, invece che chiudere, dovessi ripartire. Mi sembra di dare una nuova qualità al mio essere prete, che esige nello stesso tempo un distacco… ma voglio far ripartire la mia vita, da una parte; e distaccarmi dalle cose, dalle persone e da tutto quello che ho avuto finora dall’altra. Come sempre i distacchi e le partenze fanno bene. Avverto che suona una chiamata. E per essere pronto bisogna essere svegli, dice il Vangelo”.

Ora, alla luce del modo in cui il Signore ha chiamato a sé il nostro carissimo don Franco, il Vangelo di Luca risuona come monito e augurio: “ 35Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; 36siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. 38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 39Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”” (Lc 12, 35-40).

Carissimo don Franco, mi rivolgo a te, anzi, tutti ci rivolgiamo a te: ti vogliamo pensare già seduto alla mensa del cielo insieme ai tuoi cari genitori, a don Valentino e ai tanti a cui hai voluto bene e che ti hanno voluto bene. Insieme a loro, seduto a quella mensa dove Chi serve è – come ci ha detto il Vangelo – lo stesso Signore Gesù che a tutti dona la salvezza acquistata da Lui, a caro prezzo, sulla croce.

Carissimo don Franco, ti ricordiamo con affetto e preghiamo per te. E tu, con la tua preghiera, aiutaci affinché nel nostro cammino terreno non ci perdiamo in un fare umano ma, rivestiti delle vesti nuziali, teniamo, piuttosto, ben accesa la lampada della fede, della speranza e della carità, pronti ad aprire la porta al Signore Gesù che viene; la nostra prontezza sarà segno concreto e inequivocabile della povertà evangelica che è distacco da se stessi e dalla propria opera.