OMELIA DEL GIORNO DI NATALE 2002
 Basilica di S. Marco, 25 dicembre 2002, ore 10
25-12-2002

Fratelli e sorelle carissimi,
1. ‘Prorompete insieme in canti di gioia’ perché il Signore ha consolato il suo popolo”. Sono le parole del profeta Isaia a un mondo lacerato dalla violenza e dall’odio, bisognoso di salvezza e radicalmente incapace di darsela. Il Natale è una festa di gioia.
Oggi infatti il Signore squarcia le tenebre in cui camminiamo e fa sorgere una grande luce di speranza: ‘tutti i confini della terra hanno veduto la salvezza del nostro Dio’.
Nel cuore della notte si è udita la voce di un angelo che ha annunziato a tutti una grande gioia: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi sarà un segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia’.

2. La lettera agli Ebrei e il Vangelo di Giovanni, che abbiamo appena ascoltato, ci hanno svelato il contenuto della gioia che Dio oggi ci dona: il Natale, infatti, non è soltanto memoria di un avvenimento di salvezza; esso è dono reale di ciò che annunzia.
La lettera agli Ebrei proclama che Dio, dopo aver parlato molte volte e in molti modi agli antichi padri per mezzo dei profeti, giunto il tempo da lui stabilito, ci ha parlato per mezzo del Figlio.Il Vangelo di San Giovanni, ci svela che il Bambino che nasce a Betlemme è Lui il Figlio di Dio, in tutto uguale al Padre, col quale il Padre ha creato il mondo. In tal modo l’evangelista Giovanni ci introduce, quasi prendendoci per mano, dentro il grande mistero, che poi esprime così: ‘Il Verbo, cioè il Figlio di Dio, si è fatto carne e ha posto in mezzo a noi la sua dimora’.
Il termine usato: ‘Il verbo si è fatto carne’, che a noi sembra rozzo solo antropomorfico, e intenzionale e vuole sottolineare il realismo dell’umanità assunta dal Figlio; nello stesso tempo vuol proclamare la sua umiltà e debolezza. Il Figlio di Dio si è fatto vero nostro fratello, e fratello di tutti gli uomini, facendo propria anche quella fragilità della natura umana che in noi è la radice del peccato. Nello stesso tempo ‘la carne’, cioè l’umanità corporea e debole assunta da Cristo, lo accomuna e lo unisce a tutti gli uomini.
Dice ancora il Vangelo di San Giovanni che Egli ha posto ‘in noi’ la sua dimora. Egli quindi è come noi, con noi e in mezzo a noi. Ogni uomo, è chiamato ad essere come il tempio in cui il Figlio di Dio abita. In tal modo l’umanità intera diventa un grande mistero di solidarietà.
A Natale si compie un mirabile scambio: Dio si fa uomo e l’uomo è chiamato a diventare vero fratello di Gesù, anche lui figlio di Dio nel Figlio Gesù. E’ quanto afferma esplicitamente Giovanni nel Vangelo che abbiamo ascoltato: ‘A coloro che credono ha dato il potere di diventare figli di Dio’.
Il Vangelo ci dà anche una notizia drammatica: ‘Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe’
E’ il dramma del rifiuto di Dio: Dio Padre ci consegna il Figlio e gli uomini lo rifiutano, anzi lo consegnano alla morte e alla morte di croce. Un dramma che incombe anche sulla nostra storia attuale e si consuma spesso,anche nei nostri cuori.
E’ il dramma della lotta fra Gesù, il Salvatore, e Satana, il Principe del male. Una lotta che si combatte ogni giorno, fino alla fine dei tempi,il cui campo di scontro è il nostro cuore, ma anche gli assetti sociali e le stesse istituzioni ingiusti, il cui esito sarà la vittoria totale del Figlio di Dio fatto uomo.
In tale modo il Natale, annunziando che Dio ha preso un corpo e che è stato rifiutato dagli uomini, annunzia la Pasqua.

3. A questo punto ci domandiamo: noi come dobbiamo vivere il nostro Natale?
Come i pastori, dobbiamo prostrarci spiritualmente davanti al Figlio di Dio che si è fatto bambino, uomo come noi, e adorarlo, credendo.
Noi facciamo fatica ad accettare un Dio che, volendo salvare l’uomo, sceglie come strada, non la potenza e la gloria che gli spetta, ma l’abbassamento e l’umiliazione del farsi uomo e bambino, che nasce in una grotta. Noi ci saremmo aspettati un altro volto di Dio. Ma il vero Dio non è quello che ci forgiamo noi. Dio è come si rivela in Gesù. La sua vera grandezza si esprime nel mistero della sua debolezza. Di fronte ad esso noi dobbiamo soltanto inchinarci nella fede e nell’adorazione. Un Dio che abbia le nostre misure non è più Dio, è un idolo.
In secondo luogo dobbiamo godere della possibilità che abbiamo di poterci incontrare ‘umanamente’ con Dio che si è fatto uomo. Incarnandosi Dio ‘impara’ cosa significhi avere un corpo, soffrire fisicamente e moralmente. Un Dio, quello rivelatosi in Gesù Cristo, che si è confrontato con la fatica del vivere e ha fatto i conti con il dramma della morte, lui che era innamorato della vita. Un Dio così noi dobbiamo sentirlo vicino.
Infine, incarnandosi, il Figlio di Dio ha ricondotto ad unità la famiglia umana disgregata dal peccato. Egli si è unito ad ogni uomo al punto da poter dire che ogni cosa fatta al più piccolo dei suoi fratelli, in bene o in male,lui la ritiene fatta a sé. Divenuti in lui, mediante la fede, ‘figli di Dio’,siamo chiamati a vivere una fraternità vera nei confronti di ogni uomo. Proprio questo fonda la nostra vocazione alla solidarietà con ogni uomo e ogni donna e ci impegna all’aiuto da prestare al povero,al senza casa, a chi patisce la fame o il freddo, a chi è stato provate dalle alluvioni, dalle frane e dal terremoto,a chi rischia di perdere il lavoro, fino al sostegno dei popoli della povertà, distrutti dalla fame, dalle malattie e dalle guerre tribali.
Un cristiano con il suo comportamento deve introdurre nella convivenza umana modi di pensare e di comportarsi più fraterni, onde creare una nuova mentalità e una nuova cultura, per poi approdare anche a iniziative legislative e ad assetti sociali più solidali.
Non solo, ma la radicale unità degli uomini in Cristo fonda la vocazione del cristiano alla pace. Niente contraddice al Natale come la violenza e la guerra, la violenza e l’ingiustizia.
Non possiamo oggi dimenticare la situazione umanamente senza uscita in cui si trova la terra di Gesù e, insieme ad essa, il grido di disperazione che si leva dall’Africa, dalle sue terre povere, desolate dalla siccità, distrutte dalle malattie. Per chi crede, è Cristo stesso che soffre nel fratello che ha fame, ha sete, è distrutto dall’AIDS.
Il Natale è festa di pace e di speranza, ma solo se queste sono condivise. E’ l’augurio che sale dai nostri cuori e che si fa preghiera: preghiera per una umanità più fraterna, che possa sperare nella pace.
Buon Natale a tutti: al nostro Patriarca che, in questo momento sta celebrando l’Eucaristia nel duomo di Mestre, alle Autorità che ci governano, ai veneziani e a quanti in questi giorni sono ospiti della nostra Città. Un augurio specialissimo. pieno di affetto e di solidarietà, rivolgiamo da San Marco agli anziani e agli ammalati che sono negli ospedali e nelle case, a tutti i poveri e a coloro che in qualunque modo portano il segno delle sofferenze di Gesù, perché abbiano consolazione nella certezza della vicinanza del Bambino Gesù.