Omelia alla Messa per le ordinazioni presbiterali (Venezia, 18 giugno 2005)

18-06-2005

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EV.

ORDINAZIONI PRESBITERALI
Venezia, 18 giugno 2005

XII domenica per annum A.
Ger 20, 10-13; Salmo 68; Rm 5, 12-15; Mt 10, 26-33

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

1. Carissimi don Fabrizio, don Gilberto, fra’ Enrico Maria e fra’ Marco,
fra poco sarete scelti per il ministero ordinato nella Chiesa di Dio a favore del Suo popolo santo. Nella diversità dei carismi che vi hanno persuaso a seguire Gesù, l’inestimabile grazia del sacramento dell’Ordine vi farà partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo. Egli infatti è l’unico sacerdote, voi sarete suoi ministri.
Questa formidabile affermazione di San Tommaso, che dovrà guidare tutta la vostra esistenza sacerdotale, dice con chiarezza che la vostra vocazione e la vostra missione hanno un senso solo se si mantengono in intrinseco riferimento e in stretta dipendenza dalla persona vivente di Gesù. Il ministero ordinato è un dono. E un dono chiede di essere ricevuto, prima ancora che di essere capito. Spalancate quindi ora, con noi tutti, la vostra mente ed il vostro cuore per ricevere degnamente la grazia del presbiterato che Cristo vi elargisce attraverso la Sua santa Chiesa.
Chi riceve un dono ringrazia. Per questa ragione vogliamo anzitutto dire la nostra riconoscente gratitudine:
allo Spirito del Crocifisso Risorto che vi ha chiamato e vi sceglie oggi per celebrare e confessare i Santi misteri rivelatici dal Padre;
alla Chiesa che vive in Venezia e, in modo particolare, ai suoi Santi e Beati così come a coloro che hanno accompagnato il cammino di don Fabrizio e don Gilberto (i genitori, i familiari, le comunità parrocchiali della Natività di Nostro Signor Gesù Cristo di Villabona e di Santa Maria Ausiliatrice alla Gazzera, il Patriarca emerito Marco ed il presbiterio diocesano, i superiori del Seminario, in modo particolare il Rettore ed il Padre spirituale);
parimenti ringraziamo i familiari, le parrocchie (in particolare quella di Sant’Elena Imperatrice in Venezia)
e le grandi famiglie religiose: di Fra’ Enrico, Servo di Maria, con i Superiori e di Fra’ Marco, Frate minore cappuccino, con i Superiori.

2. Nella Lettera inviata a tutti i sacerdoti il Giovedì Santo di quest’Anno dell’Eucaristia, il compianto Papa Giovanni Paolo II scriveva: «Se tutta la Chiesa vive dell’Eucaristia, l’esistenza sacerdotale deve avere, a speciale titolo, una ‘forma eucaristica’. Le parole dell’istituzione dell’Eucaristia devono perciò essere per noi non soltanto una formula consacratoria, ma una ‘formula di vita’» (Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti, Giovedì Santo 2005, 1).
Come è possibile attuare nelle nostre fragili persone questa necessaria unità tra ‘formula di vita e formula consacratoria’ per vivere in forma eucaristica, cioè in perenne rendimento di grazie, la nostra esistenza?
È decisivo che voi qui ed ora, anzitutto, carissimi, prendiate coscienza piena del fattore che mostra il legame intrinseco fra sacramento dell’Eucaristia e sacramento dell’Ordine. In cosa consiste?
Nel momento centrale del sacrificio eucaristico il sacerdote agisce in persona Christi capitis. Il ministro rappresenta sacramentalmente Gesù Cristo, l’Unico sacerdote e Capo del corpo ecclesiale nell’offerta dell’unico sacrificio. Con l’invocazione dello Spirito Santo e le parole della consacrazione Gesù Cristo, per opera del ministro, compie la trasformazione sostanziale del pane e del vino nel Suo corpo e nel Suo sangue.
Cosa avviene in quel sublime momento?
Ogni volta, proprio attraverso l’umile e fisica rappresentanza di Cristo da parte del ministro, le persone di quanti prendono parte all’Eucaristia vengono sempre più conformate a Cristo. La morte e risurrezione di Gesù, il Suo unico ed irripetibile sacrificio di salvezza in forza di quella formula memoriale – «Questo è il mio corpo’ Questo è il mio sangue» – pronunciata dal ministro in persona Christi capitis, investono la libertà dell’uomo e lo cambiano.
Allora, carissimi, agire in persona Christi capitis – cioè essere afferrati dalla potenza dello Spirito per attuare il mistero salvifico in rappresentanza di Gesù – richiede che tutto, ma proprio tutto della vita del presbitero diventi azione di grazia. E se questo non vuol ridursi a parole, ‘l’azione di grazia’ (eucaristia) deve concretizzarsi in offerta. Al dono totale di Cristo tu devi rispondere col dono totale di te stesso. In tal modo la formula di consacrazione trapassa nella formula di vita: l’esistenza sacerdotale assume una forma eucaristica.
Questa posizione risplende nella verginità e nel celibato per cui oggi rinnovate il definitivo impegno. Il nostro sacerdozio diviene in tal modo «il dono di grazia» di cui parla Paolo, che dispenserete ai fratelli a cominciare da quanti, già questa sera, sono accorsi numerosi e trepidi per riceverlo. Questo dono è per tutti ed è espressione della misura sempre abbondante della grazia di Dio: «se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia ed il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini» (Rm 5,15, Seconda Lettura).
Acutamente annota Giovanni Paolo II: «A ben riflettere, l’obbedienza a cui [il sacerdote] si è impegnato nel giorno dell’Ordinazione ‘ prende luce da questo rapporto con l’Eucaristia» (Lettera ai sacerdoti, 3). Obbedienza è la parola che forse dice meglio ‘ perché lo dice nella forma più pura, gratuita e compiuta ‘ il dono di sé. Un’azione il cui principio è il tu dell’altro che io amo: in questo modo potremmo definire l’obbedienza come amore. Nulla di più lontano dal piegarsi ad una disciplina esteriore che aliena la libertà’! L’obbedienza ‘ anche quella che fra poco prometterete a me e ai miei successori – non è anzitutto sforzo di disciplina, ma amorosa espressione di chi sa di appartenere a Cristo nella Chiesa.
Vi auguro, carissimi, di comprendere in profondità come l’obbedienza autentica sia dimensione conveniente nella vita di un uomo.

3. Di fronte alla sproporzione tra la totalità dell’amore che Cristo oggi ci chiede e la nostra fragilità, siamo tentati di spaventarci. Il Signore lo sa bene. Per questo nel brano del Santo Evangelo di oggi Matteo sottolinea per ben tre volte l’invito di Gesù a non temere. Giunge a dirci di non temere quando anche ci venisse chiesto il martirio. «E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna» (Mt 10, 28).
Quando si parla di sproporzione non è in gioco unicamente la nostra personale fragilità, ma vi sono implicate anche tutte le prove che incontriamo nella nostra missione. La Prima Lettura, descrivendo le minacce che incombevano sul profeta Geremia, usa termini molto forti: «Sentivo le insinuazioni di molti: ‘Terrore all’intorno! Denunciatelo e lo denunceremo. ‘ Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta’».
Ma il ‘non temete’ di Gesù si erge sovrano su tutte le contraddizioni personali e sociali che dovrete affrontare. Come non lasciarci confortare dalla testimonianza dei Santi, i santi veneziani, San Francesco, i sette Santi Fondatori? Ma anche dai testimoni attuali. Penso alla vicenda straordinaria di Giovanni Paolo II che iniziò il pontificato affascinando il mondo intero con il suo celebre: «Non abbiate paura!» Come non farlo nostro, in questo vespero veneziano, se non abbandonandoci all’invito di Benedetto XVI: «Chi fa entrare Cristo, non perde nulla’ Non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto» (Benedetto XVI, Omelia per l’inizio del ministero petrino del vescovo di Roma, 24 aprile 2005).
In quest’ottica e solo in essa sarete chiamati a vivere un aspetto decisivo della nostra esistenza sacerdotale: la diaconia, che oggettivamente unisce Eucaristia e Sacerdozio. Il contenuto di questo servizio è stato posto con chiarezza da Gesù nell’Ultima Cena quando istituì, in modo congiunto, Eucaristia e Sacerdozio. Egli disse: «Fate questo in memoria di me». Non scordatelo mai: qualunque azione vi sarà chiesta – dalla più banale alla più elevata -, qualunque circostanza vi sarà data – da quella evitabile all’inevitabile -, qualunque rapporto sarete chiamati a vivere ‘ dal più semplice al più problematico -, essere sacerdoti significa sempre e solo: «Fate questo in memoria di me». Questo e non altro. E questo è il Suo corpo donato, il Suo Sangue versato. Questo è il sacrificio dell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.
Questa è l’esaltante esperienza della comunione oggettiva con Gesù ed i fratelli nella Sua Chiesa. Voi avrete cura di alimentarla con l’Adorazione eucaristica e la quotidiana visita al Santissimo Sacramento. Cercherete di essere sempre degni ministri dell’Eucaristia accostandovi regolarmente al Sacramento della Riconciliazione.

4. Carissimi, il coraggio non è questione di temperamento, ma di fede. Dell’appoggiarsi totalmente (intelligenza che riconosce e cuore che aderisce) su di Lui. «A te ho affidato la mia causa» (dalla Prima Lettura). Lui solo mi assicura del mio valore: «Non abbiate dunque timore: voi valete di più’» (dal Vangelo).
Geremia si sente sicuro quando il terrore è all’intorno perché il Signore gli è accanto «come un prode valoroso». E Paolo conferma i termini del dramma vissuto dal profeta, in un certo senso radicalizzandolo, parlando con realismo del peccato e quindi della morte. Ed il terrore arriva fino alla croce ma non vince. L’inno della vittoria che alla fine Geremia intona, diventa anticipo della risurrezione di Gesù. In Gesù Cristo morto e risorto, caparra della nostra personale risurrezione, la grazia ha definitivamente conquistato la supremazia sul peccato e sulle sue conseguenze. La speranza ha vinto sulla paura.

5. Carissimi amici, affidiamo alla Vergine Nicopeia, donna eucaristica, questi fratelli che stanno per essere accolti nell’Ordine del presbiterato. Per questo chiediamo, ora, dal profondo del nostro cuore, a Maria che custodisca la vita di ciascuno di noi. Ci conduca al Padre, attraverso il Figlio Suo, nello Spirito Santo. Ci doni di amare la Chiesa e tutti i nostri fratelli uomini. Amen.

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