CONVEGNO NAZIONALE PASTORALE GIOVANILE
Omelia alla Messa
Basilica S. Maria Gloriosa dei Frari, 8 febbraio 2006
(Letture del mercoledì della V° settimana: 1Re 10,1-10; Mc 7,14-23)
Cari amici,
siete al termine di una giornata di lavoro piuttosto movimentata ed è ragionevole che la stanchezza pesi su di voi. Dovrei dirvi con Gesù: ‘Andiamo in un luogo solitario e riposiamoci un po” Sia, questa celebrazione eucaristica, un momento di pace, nell’ascolto pacato della Parola di Dio e nella preghiera, in particolare per il mondo giovanile che è in Italia.
1. Noi stiamo celebrando l’Eucaristia: il più grande dono che Dio Padre, in Gesù, potesse farci. Nell’Eucaristia, infatti, Dio ci dà tutto: più del Figlio, nel momento supremo della sua vita: la sua morte e risurrezione, Dio stesso non può darci.
Noi di questo siamo consapevoli e, pur nella fatica della stanchezza, crediamo che la presenza del Risorto riempie e dà ragione del nostro essere qui.
Egli è qui con noi, in un crescendo che troverà il suo vertice nella presenza eucaristica: una certezza di fede che ci deve riempire il cuore di gioia.
Quello che noi stiamo vivendo, infatti, non è solo il momento della memoria di quanto Gesù ha detto e ha fatto nell’Ultima Cena: per la potenza dello Spirito Santo, quanto Egli ha detto e ha fatto allora, avviene ora, velato nei segni sacramentali.
I nostri occhi sono quindi rivolti a Lui con ardente attesa e affettuoso desiderio.
2. Proprio fissando gli occhio su di Lui, io vorrei sforzarmi di intendere il senso della prima lettura (1 Re 10,1-10), in cui si parla dello stupore e dell’ammirazione della regina di Saba, venuta dal lontano sud, di fronte allo splendore e alla sapienza di Salomone.
S. Paolo afferma che l’Antico Testamento è come un pedagogo che conduce a Gesù (Gal 3,24) e il Risorto stesso, dopo la Risurrezione, apparendo ai discepoli, insegna loro che tutta la legge e i profeti vanno intesi leggendo in essi la profezia di lui (Lc 24,27.44-47).
Questo ci rinvia agli evangelisti Matteo (12,38-42) e Luca (11,29-32) che leggono in chiave cristologica l’evento della regina di Saba di cui ci parla il libro dei Re. Di fronte alla durezza del cuore dei Giudei che non intendono, anzi stravolgono, le sue parole e non capiscono i suoi miracoli, chiedendo altri segni, Gesù evoca la regina del sud e il suo lungo peregrinare ‘cercando la sapienza’: ella, dice Gesù, sorgerà in giudizio contro questa generazione, cioè contro i contemporanei di Gesù, perché, avendo loro udito le sue parole ed essendo stati spettatori dei suoi miracoli, non hanno creduto. E perciò non hanno capito che proprio Gesù è il vero rivelatore del Padre, la sapienza di Dio incarnata. Non hanno capito che non c’è altra strada per conoscere Dio che vederne il riflesso sul volto splendente di Cristo.
3. Questo insegnamento di Gesù circa ‘la vera sapienza’ che noi dobbiamo cercare, ci riporta al Vangelo che abbiamo ascoltato (Mc 7,14-23): una pagina decisiva per comprendere la notizia, bella e liberante, annunziata dal divin Maestro.
I maggiorenti del popolo ‘ alcuni erano giunti apposta da Gerusalemme ‘ rimproverano a Gesù il fatto che i suoi discepoli siano piuttosto disinvolti nei confronti delle tradizioni dei padri: per es. non fanno le abluzioni rituali prima dei pasti. ‘Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo le tradizioni degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?’ (7,5).
Questa polemica offre a Gesù l’opportunità di affrontare uno dei nodi fondamentali della ‘bella notizia’ da lui annunziata, evidenziando però anche un punto di radicale contrasto con la mentalità religiosa corrente. Un contrasto che pagherà con la vita.
Nella diatriba su ciò che è puro e ciò che non lo è (su ciò che, quindi, si può o non si può mangiare e sulle ritualità connesse), Gesù individua ‘nel cuore’ il centro della vita secondo l’evangelo da lui annunziato: in contrapposizione netta con il ritualismo dei farisei, peraltro non sempre fondato sulla legge di Dio, ma sulle tradizioni degli uomini. ‘Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini’ (Mc 7,8), li accusa Gesù.
In tal modo il Maestro tocca uno dei punti fondamentali e decisivi della vita cristiana e quindi anche della formazione della maturità della persona che voglia vivere secondo il Vangelo. Non è ciò che esce o entra dalla bocca che qualifica moralmente la persona ‘ non sono le ritualità, diremmo noi – , ma ciò che esce dal cuore, che è il centro della persona ed è la sede dell’intelligenza e della volontà.
Nel cuore quindi, dove la libertà si determina per la verità, va cercata ciò che qualifica, nel bene o nel male, i nostri comportamenti. E la fede ci dice che la Verità si è rivelata a noi personalmente in Gesù di Nazaret: Lui è la Verità di Dio (il Logos di Dio, direbbe San Giovanni) che si manifesta a noi e ci rivela che Dio è Padre che ci ama; ci vuol salvare e ci svela come si va verso di lui: facendo giorno per giorno la sua volontà e amando i fratelli come Lui, Gesù li ha amati.
Perché fossimo resi capaci di accogliere questa Verita e di viverla nell’esistenza di ogni giorno, Gesù, salito al Cielo, ha effuso in noi il suo Spirito. Grazie ad esso, resi ‘figli nel Figlio’, anche noi possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo ‘Abbà’ (‘Padre’), come lo chiamava Gesù (Rm 8,15-17); non solo, ma possiamo amare il Padre e i fratelli con lo stesso amore con cui Lui li amava.
Lo Spirito santo, infatti, è lo stesso Spirito di Gesù, che trasborda in noi e ci abilita a vivere come viveva Lui. Esso abita il nostro cuore e lo rinnova; diventa anzi lui stesso il principio della ‘nuova legge’ secondo la quale noi dobbiamo camminare. Proprio come avevano annunziato i profeti: ‘Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi’ (Ez 36,26-27).
Qual’è la ‘Nuova Legge’ radicata nello Spirito e quali ‘gli statuti del Nuovo Israele’? Dice Gesù, dopo aver lavato i piedi ai suoi apostoli: ‘Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri’ (Gv 13,34-35)
La legge nuova è l’amore, perché ‘Dio è amore’ (1Gv 4,8) e chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui (1 Gv 4,16). E’ il contenuto, ‘antico e sempre uovo’, dell’Enciclica di Papa Benedetto: una sfida per il nostro tempo di divisioni e di violenze e per il ‘pensiero di Cristo’ di tutti i credenti.
‘Amatevi come io vi ho amato’, dice Gesù, dove il ‘come’ non indica soltanto somiglianza, ma partecipazione: infatti, grazie allo Spirito di Gesù che ci abita, noi siamo abilitati ad amare con lo stesso amore con cui amava Gesù.
Questo è il comando del Signore, lo statuto di chi voglia essere autentico cristiano, individualmente e come comunità. Grazie ad esso il cristiano non discrimina il fratello per nessun motivo: di razza, di religione o di cultura, ma ama tutti, condivide il suo con chi è nel bisogno e partecipa alle sofferenze e alla condizione del fratello. ‘Perché così ama Gesù’: consapevole che qualunque cosa io faccia a un fratello, nel bene o nel male, lo faccio a Gesù, il Figlio di Dio che, incarnandosi, in modo misterioso ma reale, ha assunto ogni uomo come proprio fratello.
Di questo noi credenti dobbiamo essere forti testimoni: oggi soprattutto, quando la violenza sembra non avere confini; oggi, nel giorno in cui, a Roma, si onora la memoria di don Andrea Santoro, un testimone dell’accoglienza incondizionata del fratello amato perché tale, caduto vittima della violenza più irrazionale. ‘La diversità, scriveva Don Andrea, se vissuta nel rispetto, è vita; altrimenti genera estraneità, isolamento, insofferenza o odio’. Noi sappiamo che alla radice dell’accettazione della diversità, c’è la carità.
Aiutare i giovani ad accogliere la grazia del ‘cuore nuovo’ e dello ‘spirito nuovo’ è il nostro compito, sarà il vanto più bello della nostra fatica di educatori nella fede.