Omelia alla Messa delle ordinazioni al sacerdozio e al diaconato (Venezia - Basilica di San Marco, 17 giugno 2006)
17-06-2006

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EVANGELISTA

ORDINAZIONI PRESBITERALI E ORDINAZIONE DIACONALE
Venezia, 17 giugno 2006

Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
Es 24, 3-8; Sal 115; Eb 9, 11-15; Mc 14, 12-16.22-26

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

Carissimi don Angelo e don Fabio che state per ricevere il presbiterato,
Carissimo Alberto che sarai eletto al diaconato,

1. In questa solenne vigilia del Corpus Domini, la Chiesa, nella persona del Patriarca, Vi chiama a partecipare, in gradi diversi, al sacramento dell’Ordine. Vi fanno corona la comunità seminaristica ‘ che saluto con gratitudine nella persona del Rettore mons. Lucio Cilia e del Padre spirituale mons. Giacinto Danieli ‘ le comunità parrocchiali di provenienza di Quarto d’Altino e di Zelarino, la comunità monastica diocesana di Marango con Don Giorgio, la parrocchia di Gambarare e di San Giuseppe in Mestre dove avete svolto il ministero diaconale. Sono presenti i vostri cari cui va tutta la nostra riconoscenza, i familiari, gli amici e fedeli in rappresentanza di tutto il Patriarcato.
Duemila anni fa, mentre il Signore Gesù in quella decisiva Ultima Cena si trovava a tavola con i Suoi, volle rendere i Dodici partecipi non solo della Sua stessa vita ma anche della Sua specifica missione sacerdotale. Istituì per questo nello stesso tempo i sacramenti dell’Eucaristia e dell’Ordine. Egli chiama anche Voi a prender parte alla Sua vita e alla Sua missione sacerdotale.
All’origine di questo nostro gesto eucaristico sta quindi l’elezione che il Signore mediante la Chiesa fa delle Vostre persone. Non è ultimamente la Vostra disponibilità a spiegare quanto stiamo vivendo. Essa è, ovviamente, imprescindibile. Eppure da sola non basterebbe a fare di Voi ministri ordinati del Signore.
Questo dono Vi precede oggi e sempre Vi precederà in ogni istante della Vostra vita. Non dimenticatelo.

2. Lo stesso dono che Gesù fece ai Suoi lo fa a Voi questa sera. Come si mosse Gesù allora? Nei Vangeli incontriamo Gesù che, dopo i trent’anni di permanenza silenziosa a Nazareth, per ben due anni si limita ad annunciare il Regno tra Cafarnao (dove prende dimora presso Pietro), Corazim e Betsaida ‘ un territorio di pochi chilometri quadrati ‘ chiamando all’amicizia con Sé Pietro, Andrea, Giovanni, Giacomo’ Ogni sabato, da buon ebreo, si recava in sinagoga. Un gesto analogo a quello che i cristiani compiono ogni domenica prendendo parte all’Eucaristia. È un segno inequivocabile del primato di Dio nella vita. In Sinagoga Gesù leggeva la Parola di Dio, pregava con i Salmi. Lì gradualmente inserì la proposta del regno per cui il Padre Lo aveva inviato. Con tutta probabilità il pomeriggio dello stesso sabato, secondo l’usanza giudaica, Gesù lo passava nelle case e discorreva con i presenti. Sono sempre i Vangeli, con i loro logia, a darcene testimonianza. Poi, man mano che cresceva l’interesse per la Sua proposta, Egli parlava, soprattutto in parabole, alla gente che sempre più numerosa accorreva per ascoltarlo. Questo fu in concreto l’inizio delle Sua missione. Egli ha quindi voluto prendersi cura di una trama di amici, liberi e coscienti. Uomini e donne che in Lui trovavano il proprio centro affettivo. In seguito, dopo due anni, Gesù è sostanzialmente costretto all’esilio, al di là del lago; e da lì, con la cerchia più ristretta dei Suoi, si spinge su fino a Tiro e a Sidone. Per sei mesi il soggetto comunitario suscitato dall’incontro con il Maestro infittisce il rapporto con Lui. Stanno insieme ventiquattro ore su ventiquattro: così cresce e si consolida la loro amicizia, la loro comunione. Infine in altri sei mesi, dopo «aver deciso fermamente», li porta con Sé a Gerusalemme ove la Sua missione si compie.

3. Soffermiamoci quindi un poco a contemplare l’ineffabile mistero di fede che è l’Eucaristia al servizio del quale il presbiterato e, secondo la sua natura specifica, lo stesso diaconato esistono. Potremo, in questo modo, ‘imparare’ cosa sia essere sacerdote, essere diacono per la Chiesa e nella Chiesa.
Contemplando il Corpo offerto ed il Sangue versato da Nostro Signore siamo anzitutto coinvolti nella realtà della donazione totale che Gesù fa di Sé alla Chiesa e al mondo. Nelle parole «prendete e mangiatene tutti’, prendete e bevetene tutti» è racchiusa l’essenza stessa del sacerdozio di Gesù Cristo. Esso, come abbiamo ascoltato nella Seconda Lettura, è unico, irripetibile e definitivo perché in Gesù Cristo – quel singolare uomo che è Figlio di Dio – sacerdote, vittima ed altare diventano una cosa sola.
Da questo sacerdozio oggettivo di Gesù consegue ‘ ci dice la Lettera agli Ebrei – che «il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza». La condizione perché Voi possiate essere adeguati al ministero ordinato è questa donazione totale di Cristo. Ce lo spiega bene Benedetto XVI nella Deus caritas est: « Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell’uomo ‘ ciò di cui egli come uomo vive ‘ fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento ‘ come amore. L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione» (n. 13).
Il «fate questo in memoria di me», che Voi in persona Christi ripeterete ogni giorno celebrando con timore e tremore la Santa Messa, Vi coinvolgerà progressivamente nella dinamica della Sua donazione. Questo è il nucleo adamantino dell’elezione diaconale e sacerdotale.

4. Come, concretamente, nel dipanarsi delle giornate, si attua questo coinvolgimento che, in modo del tutto singolare e proprio, il sacramento dell’Ordine opererà nelle Vostre vite?
Siamo chiamati a nostra volta ad una donazione concreta, ad un’offerta quotidiana di noi stessi che assecondi le circostanze ed i rapporti attraverso i quali la Provvidenza ogni giorno ci viene incontro chiamandoci a cooperare con il suo disegno di salvezza.
Non è un caso che la tradizione della Chiesa abbia sempre indicato nell’obbedienza il vertice dei consigli evangelici. Essa esprime in modo sublime il cuore di Cristo, obbediente al Padre. E la consegna che Cristo ha fatto di Sé ha avuto la forma del lasciarsi inchiodare sulla Croce per noi (cfr. At 2, 23). Non c’è un’altra strada per vivere l’offerta della propria vita che quella dell’obbedienza filiale. Filiale, perché l’obbedienza non è altro che l’adesione cordiale della nostra libertà al rapporto che ci costituisce, il rapporto col Padre. Fa parte di questa obbedienza non solo l’impegno che fra poco assumerete nei confronti del Patriarca e dei Suoi successori ma anche la docilità alla Chiesa, che dovrà essere da voi amata sempre, come madre e maestra, anche evitando critiche sterili e mormorazioni, anche abbracciando la fragilità degli uomini di Chiesa prima ancora che denunciandola.
All’amore del Padre, che è alla radice della nostra donazione, rende poi testimonianza oggettiva il carisma della verginità, nel caso di Alberto monaco-sacerdote, e del celibato, liberamente accolto da don Angelo e don Fabio. Il dono della verginità cristiana, nella cui ottica soltanto il celibato diviene comprensibile, dice a tutti i fratelli in Cristo che il compimento della vita non è altro che il lasciarsi amare dal Crocifisso Risorto per imparare ad amare veramente. Questa è l’unica, efficace risposta alla terribile accusa che il poeta Péguy lanciò contro un certo modo di vivere la verginità. Bruciante ma sana provocazione, che non dobbiamo mai dimenticare: «poiché non amano nessuno, credono di amare Dio». È provvidenziale in questo senso il fiorire della vocazione diaconale di Alberto dal seno di una comunità monastica.
Lasciarci coinvolgere nella dinamica della donazione di Gesù Cristo ci rende infine poveri. Partecipi di quella povertà che è la virtù di chi sa dove si trova la propria sicurezza. Il distacco dai beni non è, infatti, disprezzo del mondo, ma espressione di libertà e desiderio di condivisione nei confronti di tutti. A partire dagli ultimi, certo, ma di tutti, non solo di quanti le nostre ideologie identificassero come ‘i poveri’. Usare i beni solo perché Cristo sia conosciuto e amato: questa è la forma propria della povertà confacente alla carità pastorale.

5. «Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo dicendo: ‘Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi’». Il passo del Libro dell’Esodo che abbiamo ascoltato mette in forte rilievo l’essenziale dimensione dell’alleanza. Gesù Cristo ha donato il Suo Corpo, ha versato il Suo Sangue per molti, perché si compisse la nuova e definitiva alleanza. Essa delinea con precisione quale sia l’orizzonte del ministero e della carità pastorale: la comunione ecclesiale. La comunione non è una questione organizzativa, ma è il cuore della missione di Cristo: Egli è venuto perché gli uomini abbiano la vita stessa di Dio. E la vita di Dio è la communio trinitaria. La Chiesa, nella storia, altro non è che il sacramento fragile ma reale di questa partecipazione alla comunione trinitaria. La comunione è quindi pienezza della persona in se stessa ed in tutti i suoi rapporti, dai più intensi ai più occasionali. Che ne sia cosciente o meno, ogni uomo ed ogni donna domanda al sacerdote comunione per la consistenza della propria vita.
Al di fuori dell’orizzonte segnato dalla communio la vita del ministro ordinato è inesorabilmente condannata alla sterilità. Ma a conforto della nostra debolezza e delle nostre resistenze sta la misericordia di Dio. Essa, infatti, ci garantisce che la communio sempre ci precede. Basta guardare il presbiterio e il popolo di Dio che oggi Vi fa corona. È un dono sempre elargito, che non viene mai meno e quindi, se lo voglio, è da me sempre recuperabile, anche quando lo avessi tradito. Un dono al cui servizio oggi siete eletti ed ordinati. Sono certo che saprete sempre riconoscerlo e domandarlo con umiltà.

6. Carissimi figli, a quale scuola si può imparare a vivere in modo così affascinante ma così vertiginoso? Gloria sacerdotum: così le antiche litanie mariane di Venezia si rivolgevano a Maria Santissima.
La Vergine è, veramente, in modo speciale la gloria dei sacerdoti. Sul Suo volto risplende il fascino e la bellezza di Suo Figlio che ‘ mistero ineffabile e tremendo ‘ ogni giorno viene eucaristicamente incontro al Suo popolo attraverso il grande ministero dell’Ordine. E questo ministero è sempre oggettivamente fecondo nonostante la povertà di noi ministeri. Grazie quindi per il Vostro ‘Sì’ e buon cammino. Amen.