Omelia alla Messa del Giovedì Santo (20 aprile 2000)
Card. Marco Cè, Basilica di S. Marco 20 aprile 2000
20-04-2000

1. La convocazione di questa sera è l’inizio del grande triduo che fa memoria della Pasqua del Signore.
Stiamo celebrando l’ultima cena di Gesù, durante la quale Egli nell’Eucaristia ci diede il memoriale perenne della sua passione e morte; con l’Eucaristia Gesù istituisce anche il sacerdozio ministeriale che la garantisce e, lavando i piedi ai suoi apostoli, ci lascia il comando dell’amore. Eucaristia e comandamento dell’amore formano un unico mistero: il sacerdozio ministeriale è stato istituito in funzione dell’Eucaristia e perché i fratelli formino una comunità d’amore nella storia degli uomini.

2. Mi pare importante sottolineare proprio questo fatto: nel cuore della storia, con tutti i suoi rifiuti di Dio e della sua legge, c’è il memoriale della Pasqua di Cristo, segno dell’amore del Padre: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito'” (Gv 3,16).
L’Eucaristia è l’approdo della Pasqua ebraica, di cui ci ha parlato la prima lettura, ed è profezia del banchetto che Dio Padre preparerà alla fine dei tempi per tutti i salvati. Il centro e il cuore della storia è Dio che dona il Figlio sulla croce – corpo donato e sangue versato – perché gli uomini siano salvi.
Ogni volta che la Chiesa celebra l’Eucaristia fa memoria del sacrificio di Cristo, e, quindi dell’amore del Padre, perché ad essi apriamo il cuore mediante la fede e siamo salvi.

3. Però una Chiesa che celebra l’Eucaristia deve rendere visibile la sua adesione ad essa mediante la carità fraterna.
Il Vangelo ha proclamato la lavanda dei piedi. L’evangelista Giovanni ha introdotto la narrazione dell’evento con le seguenti parole: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1).
Una espressione solenne che, da una parte esprime la piena consapevolezza di Gesù di fronte agli avvenimenti che stanno per accadere – e quindi la sua totale libertà nell’affrontarli – dall’altra raccoglie tutti gli avvenimenti della passione e morte sotto il segno dell’amore.

La lavanda dei piedi degli apostoli – un servizio riservato agli schiavi – è un gesto estremo, eccedente ogni misura. Lo sconcerto di Pietro è tutt’altro che incomprensibile; è anzi lo stupore sincero di fronte a un atteggiamento di umiltà che eccedeva ogni ragionevolezza.
Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò il suo essere uguale a Dio come qualcosa da salvaguardare con gelosia, ma annientò se stesso prendendo la forma di schiavo… (Fil 2,5-7).
Quando poi ebbe lavato i piedi agli apostoli – fra loro c’era ancora Giuda, che andrà via subito dopo (Gv 13,30) – Gesù riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi (Gv 13, 12-15).

4. Pasqua, Eucaristia, amore fraterno: un trinomio inscindibile, un unico mistero.
La Chiesa nasce da questo mistero: noi ne dovremmo essere i testimoni per la grazia che abbiamo ricevuto nel Battesimo, e per il dono dello Spirito che costantemente ci viene donato.
Io ripeterò il gesto di Gesù lavando i piedi a dodici fratelli: lo farò in nome della nostra Chiesa e di ciascuno di voi. Un gesto che deve esprimere la nostra volontà di fedeltà al Signore, anche se povera e soggetta a quotidiane debolezze; un gesto che però può anche essere puramente teatrale, nel qual caso diventerebbe la nostra condanna.
Oggi il mistero del Giovedì Santo diventa di estrema attualità: la sfida dell’integrazione degli stranieri nel rispetto reciproco della legalità, quella della crescente povertà dei popoli sottosviluppati, ma anche la presenza dei nostri poveri, del crescente numero degli anziani, spesso soli e tanto bisognosi di aiuto, degli ammalati psichici talora senza sufficienti presidi’ tutte queste sfide vagliano la nostra fede e chiamano a giudizio i nostri stili di vita come si prova l’oro nel crogiolo.
Questa sera non possiamo non interrogarci sul nostro stile di vita. I mezzi della comunicazione sociale, oggi, ci mettono sotto gli occhi ogni situazione del mondo, anche le più desolate, talora agghiaccianti. Nessuno potrà dire: non sapevo. I volti distrutti degli abitanti del Corno d’Africa, la disperazione dei sinistrati del Mozambico e così via’ sono davanti a noi.
Il Vangelo ci dice: quei tuoi fratelli sono Gesù che ha fame, è nudo, senza casa, è ammalato di AIDS, è carcerato’ “Tutto quello che avete fatto a loro, o non avete fatto a loro, l’avete fatto, o non l’avete fatto, a me”.

Mi pare doveroso in questo contesto del Giovedì Santo ricordare e raccomandare le diverse mense dei poveri a Venezia e in Terraferma (da Betania, alla mensa del Redentore; da Ca’ Letizia, a quella dei Frati Cappuccini di Mestre, dalla mensa “Miani” della parrocchia di Altobello ad altre ancora).
Ricordo ancora il dormitorio “Betlemme”, per chi non ha un letto, le varie strutture a favore delle persone affette da handicaps fisici o psichici; il volontariato che aiuta gli anziani non autosufficienti, a tante altre realtà, nascoste e talora senza nome, che si rendono presenti nelle situazioni più squallide della prostituzione e della miseria, come raggi di luce buona, che viene da Dio.
Mi è caro ricordare e raccomandare, in questa Eucaristia del Giovedì Santo, anche la struttura per le detenute che la nostra Chiesa sta attivando a ricordo del bimillenario della nascita di Gesù.