Omelia alla Messa del Crisma del Giovedì Santo (Venezia, 13 aprile 2006)
13-04-2006

BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO
MESSA DEL CRISMA
Is 61, 1-3.6.8-9; Sa/88; Ap 1,5-8; Lc 4, 16-21

OMELIA DI S.E.R. CARD. ANGELO SCOLA, PATRIARCA DI VENEZIA

Venezia, 13 aprile 2006

Eminenza Reverendissima,
Cari fratelli nel sacerdozio,
Religiose e Religiosi,
Diaconi e ministri istituiti,
Amatissimi figli,

1. «Canterò per sempre l’amore del Signore». Le parole del Salmo 88 risuonano questa mattina nella nostra Basilica con una particolare intensità. Esse infatti sono piene degli straordinari avvenimenti che si sono succeduti dalla Messa Crismale dell’anno scorso fino ad oggi. Non li ricordo per dovere di cronaca, ma consapevole che la memoria – che ha sempre per il fedele una dimensione sacramentale: «fate questo in memoria di me» – è la stoffa della vita cristiana.
Esattamente un anno fa questa Basilica ci vedeva riuniti numerosi in occasione dell’Assemblea Ecclesiale, convocata per raccogliere il ricco scambio di reciproca testimonianza. Non possiamo dimenticare che quella giornata fu decisamente segnata dalla scomparsa dell’amato Servo di Dio Giovanni Paolo II e dall’imminente Conclave. Così la Provvidenza riempì il nostro gesto, in modo inatteso e sorprendente, di quel respiro universale che deve caratterizzare ogni genuina Chiesa particolare.
Vi fu poi l’elezione di Benedetto XVI, salutata con entusiasmo da più di un migliaio di giovani del Patriarcato in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia.
Con l’inizio del nuovo anno sociale, e dopo la ricca esperienza del Sinodo dei Vescovi, cui dobbiamo aggiungere la decisione del Santo Padre di chiamare il Cardinal Marco a predicare gli Esercizi spirituali in Vaticano, ha preso avvio il secondo tempo della Visita Pastorale, quello della sosta del Patriarca nelle parrocchie e nei vicariati. Settimana dopo settimana, prima al Lido e ora a Marghera le parole del salmista – «canterò per sempre l’amore del Signore» – si rivelano sempre più appropriate.
Infatti la bene-volenza del Signore per il Suo popolo traspare in modo chiaro nell’incontro con le persone e le comunità che finora sono state protagoniste della sosta pastorale. Traspare nella ricchezza di vita cristiana capillarmente presente nel nostro territorio. Sia che emerga in forme organizzate, sia che venga vissuta più personalmente, essa è sempre comunque intensamente espressiva della fede di cristiani che vivono la loro esistenza di uomini e donne ‘ fatta, come ci diciamo sempre, di affetti, di lavoro e di riposo ‘ con realismo, nelle contraddizioni e nelle speranze di oggi, consapevoli della fragilità e del peccato, ma sostenuti dall’inestimabile dono della persona di Gesù Cristo morto e risorto. Questa evidente documentazione del Suo amore genera anzitutto gratitudine. Così la Visita Pastorale suscita un «canto di lode» e «non un cuore mesto».
Un dono però non è fino in fondo ricevuto se non viene comunicato. E per comunicarsi deve farsi compito. Proprio perché la gratitudine trabocca nel nostro cuore, fiorisce in noi, in modo più acuto, il senso della responsabilità.
Per questo la Visita Pastorale chiede di essere vissuta, soprattutto dai presbiteri, in ogni parrocchia, vicariato, comunità ed aggregazione di fedeli, come un evento globale che coinvolge fin da ora tutto il Patriarcato. Tutti dobbiamo contribuire perché assecondi al meglio la crescita di ogni singola comunità, ambito di speranza per la vita dei cristiani e dei nostri fratelli uomini. La sosta del Patriarca, pertanto, non deve essere ripetitiva per rispondere al meglio al bisogno attuale e specifico di ogni singola realtà. Bisogno che tutti insieme dobbiamo per tempo individuare.

2. Il contenuto ultimo della nostra responsabilità di presbiteri ci è stato richiamato dalle Letture per ben due volte: «I1 Signore [ci] ha consacrati con l’unzione, [ci] ha mandati a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di misericordia del Signore».
Carissimi, entrando nel solenne atrio del Triduo Pasquale, sostiamo brevemente, prima di rinnovare le promesse sacerdotali, per riflettere sull’origine e sulla dinamica di questa responsabilità. «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione». All’origine della nostra responsabilità c’è il dono dello Spirito, cioè l’avvenimento gratuito e immeritato dell’amore del Padre per ciascuno di noi. Egli ci chiama in causa personalmente per rivelarci che l’uomo possiede un carattere responsoriale (Brünner). Siamo responsabili perché ognuno di noi è in se stesso risposta a Colui che ci ha amati e ci ama permanentemente per primo.
La precedenza dell’amore del Padre non è mai superabile e per questo non può mai essere lasciata alle spalle, come un punto di partenza remoto e sbiadito. Da qui il primo e principale richiamo che viene alla nostra libertà dal gesto della benedizione degli oli che, servendo il sacramento, indicano il permanente coinvolgimento di Dio con la storia quotidiana degli uomini. Affrontiamo quotidianamente il nostro ministero consapevoli di essere dei consacrati, degli unti dallo Spirito, che della Trinità è la Persona-Amore, la Persona-Dono?
Se perdiamo di vista la Pasqua, l’antefatto costitutivo, vita e responsabilità diventano preda della nostra fragilità, del nostro peccato, che seminano in noi incertezza e dubbio.
Nella sua prima Lettera enciclica, il Santo Padre ha voluto richiamare autorevolmente tutto il popolo cristiano a questo primato dell’amore che Dio ha versato nei nostri cuori. Dice il Papa: «Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni (cfr 19, 37), comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa Lettera enciclica: ‘Dio è amore’ (1Gv 4, 8). È lì che questa verità può essere contemplata. E partendo da lì deve ora definirsi che cosa sia l’amore. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare» (Deus caritas est 12).
Sulla base di questa convinzione la nostra libertà si lascerà tra poco pro-vocare dalle promesse del giorno dell’ordinazione: «Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi e confermando i sacri impegni che, spinti dell’amore di Cristo, avete assunto liberamente verso la sua Chiesa?» Qui trova la sua radice più intima sia il valore che il concreto esercizio del nostro ministero. In ogni azione del presbitero deve risplendere la precedenza dell’amore di Cristo. In quest’ottica la liturgia di oggi ci invita ad esercitare i tria munera – santificandi, docendi et regendi – di cui siamo stati insigniti. In questa prospettiva riceve luce piena anche il nostro celibato sacerdotale. Questo prezioso e singolare tesoro che noi custodiamo è chiamato, oggi più che mai, ad esprimere la testimonianza oggettiva del primato dell’ amore di Dio.

3. Chiediamoci ora. Qual è la dinamica interna di questa responsabilità? Qual è la legge della sua crescita e del suo sviluppo permanente, il principio che la anima e la sorregge permanentemente? Il Papa ce lo indica con precisione: «A questo atto di offerta Gesù ha dato una presenza duratura attraverso l’istituzione dell’Eucaristia, durante l’Ultima Cena. Egli anticipa la sua morte e resurrezione donando già in quell’ora ai suoi discepoli nel pane e nel vino se stesso, il suo corpo e il suo sangue come nuova manna (cfr Gv 6, 31-33). Se il mondo antico aveva sognato che, in fondo, vero cibo dell’uomo – ciò di cui egli come uomo vive – fosse il Logos, la sapienza eterna, adesso questo Logos è diventato veramente per noi nutrimento – come amore. L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione» (Deus caritas est 13).
La dinamica interna della responsabilità è dunque quella della donazione che non pretende nulla in cambio. Infatti dove c’è richiesta di reciprocità non c’è alla fine vero amore. Tutto il popolo cristiano, in forza del Battesimo e dell’Eucaristia, è attirato nell’atto oblativo della Pasqua di Gesù. Ma l’efficace presenza dell’evento pasquale è assicurata lungo i secoli proprio dal ministero sacerdotale. Il nostro ministero pastorale, infatti, sgorga dall’Eucaristia e vive principalmente al servizio dell’Eucaristia. Da essa scaturisce la forma eucaristica dell’umana esistenza che diventa in tal modo in ogni sua espressione, anche la più banale, «culto ragionevole» (cfr Rm 12, 1).
Con una delle sue consuete, geniali intuizioni Agostino ci ricorda che Cristo è «sacerdote e sacrificio per noi al cospetto del Padre» ed è «sacerdote in quanto sacrificio» (Confessioni X, 43). Il nucleo incandescente di questo mistero sacerdotale è l’amore e «l’amore per i nostri fratelli», che come ci farà dire la formula della rinnovazione delle promesse sacerdotali è la guida del nostro essere dispensatori dei misteri di Dio. Qui sta la radice di quella comunione presbiterale che è più forte, perché più oggettiva, di tutte le nostre fatiche, le nostre debolezze, perfino dei nostri peccati. Attraverso la comunione l’amore di Cristo ci raggiunge in ogni circostanza felice ed avversa e, siccome il suo amore è fedele, ci accompagna alla pienezza secondo il disegno di bene che il Padre ha su ciascuno di noi.

4. Il Prefazio dell’odierna Eucaristia ci farà dire: «Tu proponi loro come modello il Cristo, perché, donando la vita per Te e per i fratelli, si sforzino di conformarsi all’immagine del Tuo Figlio, e rendano testimonianza di fedeltà e di amore generoso».
Amore per Dio e amore per i fratelli; amore che ci precede e amore che domanda la nostra risposta; amore che si consacra e amore che si spende… Sono tutte dimensioni inseparabili del mistero di Gesù Cristo, del Suo sacerdozio, e della nostra partecipazione sacramentale al Suo sacerdozio in forza del Battesimo e dell’Ordine sacro.
Se è vissuto con questa coscienza anche il nostro sacerdozio diventa pegno di Risurrezione, come ci fa cantare oggi il sume carmen: «praesta lucem, claude mortem». Vivendo nel servizio sacerdotale di questo triduo – soprattutto nei sacramenti della Riconciliazione, dell’Eucaristia e del Battesimo ‘ l’insegnamento di Papa Benedetto sull’amore, protesi all’impegno della Visita Pastorale (come evento rigenerativo del popolo santo di Dio che vive nel Patriarcato) ci porremo all’ascolto e al servizio di ciascuno e di tutti. L’uomo nostro fratello ha oggi più che mai sete di questo amore che abbia il coraggio di essere totale e fedele.
Chiediamo pertanto al Signore Gesù, «il testimone fedele… che ci ama e ha fatto di noi un regno di sacerdoti» (Seconda Lettura), che ci renda veri testimoni dell’amore con cui si amano il Padre e il Figlio. Del bell’amore che, per la potenza dello Spirito, si sono degnati di versare nei nostri cuori. Amen.